domenica 30 giugno 2013

Anch'io mi sono sposata qui

Foto da qui
Foto di mia suocera


















E lo dico con orgoglio.

Nella stessa sala, abbracciato dalle nostre mani, Harvey Milk sorride felice.


venerdì 28 giugno 2013

Abbasso Isdraele

La foto non c'entra però mi piaceva
Questo non è un post antisionista, bensì un post di protesta contro chi infila una D inesistente in mezzo a Israele. Gli annunciatori dei notiziari parlano molto spesso di questa nuova entità geografica. E non è un difetto di pronuncia. A quanto pare sono proprio convinti che si dica IsDraele.

Ho cercato una spiegazione online e ho trovato questa:
"È semplicemente un modo inconsapevole per superare una sequenza consonantica non tollerata in italiano (S + R) attraverso l'integrazione di una consonante eufonica che produce il nesso D + R che l'italiano ammette. Non voglio dire che sia giusto che la giornalista abbia detto "Isdraele": voglio dire solo che è normale, per una perdonabilissima e provvisoria assenza di sorvegliatezza, modificare una sequenza per renderla articolabile in modo più comodo."

Non mi convince. La sequenza consonantica S+R sarà anche non tollerata, però io non sento mai dire "sdrotolare", "genio e sdregolatezza, "sdradicare" o "sdragionare".  
 

giovedì 27 giugno 2013

Wendy Davis for President



Tra le belle notizie di questi giorni ci sono sette anni 









Muncipio di San Francisco

Matrimoni gay (che fra l'altro tornano legali in California, alla faccia dei redneck che votarono contro nel 2008)






lunedì 24 giugno 2013

Chiapas, un viaggio semiserio/7: Indiana Jones e l'ergoterapista degli inuit

[Siamo arrivati all'ultima puntata. La dedico alla cara Amanda, che mi ha dedicato un post di compleanno bellissimissimo che mi ha commossa. 
Se volete risalire alle altre puntate, seguite l'etichetta]

Agua Azul
Finalmente avevo trovato compagnia. Durante un’allegra serata alla posada insieme a un gruppetto multietnico di viaggiatrici solitarie come me - che si erano tanto divertite nel vedermi spalmare la crema sulle bolle facciali e mi avevano scattato questa foto qui – avevo conosciuto Cathy, una occupational therapist (che in italiano sarebbe una ergoterapista. Così si capisce meglio, no?) del Canada francese che lavorava con gli inuit vicino al circolo polare artico. Cathy si era presa sei mesi di pausa dal lavoro per farsi un viaggetto in centro e sud America. Non era mica l’unica. Arrivata in Messico tutta contenta delle mie tre settimane di vacanza, avevo subito incontrato una quantità di giovani zainomuniti, soprattutto statunitensi e canadesi, che facevano un viaggio di almeno sei mesi, a volte anche di più. Un’umiliazione terribile. Cathy, in particolare, mi disse che lei poteva licenziarsi quando voleva, partire in esplorazione di un continente a scelta e poi tornare a casa e venire subito riassunta. Immagino che sia normale, per una che fa la ergoterapista degli inuit.

Dopo aver capito che probabilmente in quel viaggio non avrei trovato il rivoluzionario dei miei sogni, riuscii finalmente a rilassarmi e partii con Cathy per tutte le gite turistiche che si potevano fare nei dintorni. Perché lei aveva ancora quattro mesi di viaggio, io solo pochi giorni, e dovevo recuperare. Il Cañón del Sumidero, le cascate di Agua Azul, e poi: Palenque. 

Cathy (che non aveva bisogno di funghetti) e la guida
Che meraviglia, Palenque. Tutti i miei sogni di adolescente innamorata di Indiana Jones prendevano vita in quella radura disseminata di templi maestosi e circondata da una giungla fittissima sempre pronta a inghiottirsi di nuovo tutto, templi e turisti compresi. E infatti quella radura è solo una piccolissima parte della città, che è ancora sommersa dalla giungla. Palenque la esplorammo scalando ripidissimi gradoni e infilandoci in cunicoli claustrofobici, sempre accompagnate da un’abbondante sudorazione e dalle voci tonitruanti delle scimmie urlatrici che riecheggiavano nella foresta come macchine di distruzione fantascientifiche. Poi entrammo nella parte giunglesca, verde scura e fitta e umidona come uno s’immagina la giungla, questa volta accompagnate da un simpatico indio che ci mostrò i templi nascosti e ci offrì qualche funghetto per rendere più colorata l’esperienza. Dopo una sofferta consultazione, io e Cathy rifiutammo a malincuore l’offerta. 
Ed è per proprio per questo, per lo stato di assoluta sobrietà in cui mi trovavo uscendo dalla giungla, che posso garantire la veridicità di quanto vidi poco dopo.


Cathy sulle scale
Scendeva agilmente le disastrate scale di un tempio, con un passo elastico che ben si addiceva al suo corpo longilineo. La pelle elegantemente abbronzata, i capelli signorilmente brizzolati. Camicia di lino blu, mossa da una brezza che doveva soffiare solo intorno a lui, visto che nella radura dei templi c’era un caldo umido giunglesco che poteva abbattere una mandria di bufali.
“Chi è quello?” chiesi boccheggiando all’indio spacciatore di funghetti.
“Un archeologo”.
E in quel momento, mentre la visione si allontanava con la camicia svolazzante che gli accarezzava le ampie spalle da americano benestante, compresi l’enormità del mio errore. Avevo inseguito agronomi puzzolenti e canadesi farfalloni, e mi ero lasciata sfuggire lui, il sogno della mia adolescenza. Addio, Indiana, pensai. Sarai anche bello, ma hai proprio un nome ridicolo.

FINE
 

sabato 22 giugno 2013

Quote of the day: Amelia Earhart

Da Brainpickings.

“I cannot guarantee to endure at all times the confinements of even an attractive cage.”

 

[Da una lettera a George Putnam, in cui, cedendo alle sue insistenze, accetta di sposarlo. Però gli dice, appunto: "Non posso garantire che sopporterò sempre le restrizioni di una gabbia, per quanto piacevole"]


giovedì 20 giugno 2013

Just for Pun

Mr. Keats odia i pun, i giochi di parole che sono l'incubo del traduttore ma che gli anglofoni, a partire dal Bardo, amano tanto. Io li trovo divertenti, quando non li devo tradurre.
Un post di Clyo, che cita il negozio di timbri londinese Blade Rubber, mi ha ricordato che la mia fonte preferita di pun per far inorridire Mr. Keats sono i nomi dei negozi. Eccone alcuni. Voi ne conoscete altri?


Les Cent Culottes ("Lingerie Française")
The Grateful Head (parrucchieri)
Citizen Chain (biciclette)
Citizen Cake (ristorante)
Lettuce Eat (ristorante)
Juan in a Million (ristorante)
Lord of the Fries (ristorante)
Thai Tanic (ristorante)
Pane in the Glass (lavaggio finestre, giardinaggio ecc.)

lunedì 17 giugno 2013

Emptying the Skies, il reportage di Jonathan Franzen diventa un documentario

Tutto è cominciato con il reportage Emptying the Skies, uscito sul New Yorker nel 2010. Jonathan Franzen aveva viaggiato in alcuni paesi dell'Europa meridionale (Italia, Malta, Cipro) per raccontare il bracconaggio dei piccoli uccelli di cui questi paesi sono campioni. Io lo avevo accompagnato per una parte del viaggio, e poi ho tradotto il reportage, che è uscito su Internazionale con il titolo Cieli silenziosi ed è stato ripubblicato nella raccolta di saggi Farther Away, uscito in italiano come Più lontano ancora.

La storia di questo reportage prosegue: oggi è diventato un documentario. QUI trovate l'articolo di Repubblica che ne parla, e qui sotto trovate il trailer.


sabato 15 giugno 2013

Un'occasione perduta

Ieri sera sono uscita a bere un aperitivo. Un gruppetto di persone, un tavolino all'aperto, per me un prosecco, grazie. Una scena normale, quattro chiacchiere inutili per passare il tempo.
Arriva il solito venditore di cianfrusaglie. Probabilmente del Bangladesh, non so, non l'ho guardato bene. Ha uno stupido ventilatore di plastica con una lucina rossa, e poi ha tante altre cianfrusaglie appese al collo. Non so, non l'ho guardato bene. Dico subito il mio solito "no grazie" con un sorriso gentile e sbrigativo e continuo a parlare. Ma lui non se ne va. Resta lì, con il suo stupido ventilatore di plastica. Nessuno lo guarda. Tutti continuano a parlare. Qualcuno spara una balla irritante del tipo "non ho moneta, ti darei una moneta se l'avessi". Irritante. Sono a disagio. Ma continuo a non guardarlo. Dico ancora "no grazie", qualcun altro lo dice. Ma lui non si muove, resta lì, ti spinge sotto il naso quel brutto ventilatore. E nessuno lo guarda. E io li trovo sempre più irritanti, eppure non lo guardo neanch'io. Voglio solo che se ne vada. D'un tratto bere un aperitivo mi sembra una cosa vergognosa, un insulto a quest'uomo che se ne sta zitto accanto al mio tavolo, carico di stupida paccottiglia. Eppure non lo guardo, non gli parlo, aspetto che se ne vada. Quando finalmente se ne va mi giro a guardarlo per un istante. Cammina piano, con il suo carico di paccottiglia inutile.
Avrei potuto invitarlo a sedersi, chiedergli come si chiamava, offrirgli un aperitivo. Avrei potuto chiedergli chi era. Invece l'ho guardato andar via.

venerdì 14 giugno 2013

Word of the month: Chapulling


Dopo il post di ieri, era inevitabile. Se poi me consiglia anche il vecchio Tom, be', allora ciapullo anch'io.

giovedì 13 giugno 2013

Una lettera dalla Turchia

Riporto questa bella lettera scritta da Gianluca D'Ottavio, che vive a Istanbul e tiene insieme a Özke il blog Scoprire Istanbul. Gianluca mi ha autorizzata a ripubblicare integralmente le sue riflessioni su quello che sta succedendo in Turchia in questi giorni. E mi è ritornato in mente quello che è successo nel 2011, quando, mentre in tutto il mondo si manifestava pacificamente, una banda di delinquenti devastava Roma
La foto l'ho trovata su feisbuc (mi giunge ora notizia che questa signora è attualmente in ospedale. Le auguro di guarire prestissimo).


"È da alcuni giorni che molte persone, parenti, amici, turisti, mi chiedono se sono preoccupato per ciò che sta accadendo in Turchia. La risposta è no. Non sono preoccupato, per niente. Anzi sono felice.
Sono orgoglioso di essere qui in questo momento, di essere stato a Gezi Park fin dal primo giorno, quando eravamo meno di mille. Non avrei mai immaginato che quei mille in due giorni sarebbero diventati milioni. Una partecipazione improvvisa, spontanea, coinvolgente.
Ho visto resistere con forza alle violenze della polizia, ho visto l’immensa solidarietà di un popolo, ho visto chi non scendeva direttamente in piazza aiutare chi lo faceva in ogni modo. Ho visto lasciare sui davanzali delle finestre limoni, latte e aceto per le persone che dovevano difendersi dai lacrimogeni. Ho visto hotel che lasciavano aperte le loro porte 24 ore su 24 per dare rifugio ai manifestanti, ho visto ristoranti offrire a loro pasti gratis.
Ho visto ragazzi con la mascherina sulla bocca per difendersi e con l’iPhone in mano per attaccare.
Ho visto le ragazze attiviste dei musulmani anticapitalisti pregare in Piazza Taksim con il velo in testa e con la sciarpa degli ultrà anarchici del Besiktas al collo. Ho visto i curdi ballare in cerchio mano nella mano con i kemalisti.
Ho visto intelligenza, creatività. Ho visto boicottaggi che in due giorni hanno avuto successi clamorosi, costringendo televisioni e banche a chiedere scusa pubblicamente. Ho visto un enorme coraggio.
Ho visto la città lampeggiare e risuonare all’unisono, luci e pentole diventare armi di coesione di massa.
Ho visto i ragazzi ripulire tutte le mattine il parco e le strade che avevano occupato di notte. Ho visto la vita andare avanti nonostante tutto, centinaia di persone cenare all’aperto al ristorante con le mascherine antigas e gli occhialini da nuoto.
Ho visto le barricate, simbolo supremo di difesa, di contrasto, di divisione fra ciò che si desidera e ciò che si ripudia. Quelle barricate non dureranno ancora per molti giorni, ma il loro significato rimarrà nella memoria di chi le ha viste.
Ho visto una polizia violenta e senza scrupoli, a cui è stato risposto con grande maturità e consapevolezza.
Ho visto una generazione piena di vita, che è scesa in piazza per decidere il proprio futuro, che non si rassegna, che vuole libertà, giustizia, e vera democrazia.
Per tutto quello che i miei occhi hanno visto, non sono preoccupato, al contrario sono fiducioso. Colmo di speranza.
Questa gente è fortissima, questa gente ha un’immensa dignità.
Ad essere sincero mi preoccupa una cosa: non aver visto e continuare a non vedere qualcosa del genere in Italia.
Mi preoccupa un Paese che si lamenta da venti anni, un Paese sull’orlo del baratro, che continua a tollerare e a votare gli stessi personaggi putridi che l’hanno rovinato.
Mi preoccupa un Paese narcotizzato dalle tv, un Paese passivo, vuoto, rassegnato, che ha perso qualsiasi speranza insieme alla sua dignità.
Mi preoccupa un Paese che riesce a riempire le piazze solo per andare ad ascoltare il guru di turno. Un Paese senza più nessun tipo di solidarietà, in cui l’egoismo è la regola, in cui i giovani sono più vecchi dei vecchi.
Mi preoccupa, più del fascismo che vedo in Turchia oggi con i miei occhi, il nichilismo che vedo in Italia.
Auguro al mio Paese di non continuare a farsi prendere in giro, di alzare la testa.
Lottate, cazzo."

martedì 11 giugno 2013

Salviamo Marcus Books, la più vecchia libreria nera d'America

Da tempo San Francisco sta vendendo la propria anima progressista e alternativa, ai riccastri di Silicon Valley e non solo. Come vedete nel grafico qui di fianco, pubblicato da radio KQED, un'affiliata di NPR, l'affitto medio di un bilocale in città è di $2.764. Per un trilocale $4.000.

Ora la città sta per perdere un altro dei suoi tesori: Marcus Books nel quartiere di Fillmore, la più vecchia libreria nera della nazione.
Un mutuo "predatorio", la bancarotta: la storia la trovate QUI. Poi arrivano gli speculatori, una coppia che possiede un'agenzia di taxi e si è specializzata nell'acquisto di immobili foreclosed da rivendere poi al doppio del loro valore ("potevamo trovare una casa a un prezzo più basso", mi raccontava mesi fa un'amica che stava tentando di acquistare una casa senza dover vendere un rene, "ma poi avremmo dovuto sbattere fuori la famiglia che ci abitava. Non ce la siamo sentita").
La libreria non vende solo libri, ma è anche un punto di ritrovo per la comunità nera cittadina, ormai decimata dopo il negro removal degli anni '60 e '70 (e poi dall'aumento vertiginoso del costo della vita in città) che ha raso al suolo il vibrante quartiere di Fillmore per trasformarlo in quello che è oggi, una sfilza di ristorantini e negozietti e baretti fighetti. 
La Westside Community Services, che usa lo spazio della libreria per offrire assistenza alla comunità, ha offerto agli avidi tassisti 1.64 milioni di dollari per l'edificio, che loro hanno pagato 1.59 milioni in aprile. Ma i tassisti si rifiutano di vendere per meno di 3.2 milioni (che gli andassero tutti in medicine. D'altronde, con i prezzi della sanità americana, ci vuol poco), e hanno chiesto al giudice di ordinare lo sfratto. Che sarà esecutivo dal 18 giugno.

Oltre a mandare tanti accidenti ai due avidi tassisti, c'è poco altro da fare. Ah, sì, possiamo appellarci a loro, sperando che all'ultimo momento si dimostrino esseri umani e cambino idea. Io non ci credo, però ho firmato. E ho anche spiegato cosa ne penso su Bibliocartina, dove Federica D'Alessio racconta la storia meglio di me.

lunedì 10 giugno 2013

Chiapas, un viaggio semiserio/6: L'avventuroso canadese


Continua da QUI.

Ma non tutto era perduto: c’era ancora Mark, il vicino di stanza canadese che mi aveva portato la spremuta nei giorni di Montezuma. Mark, grande viaggiatore e grande narratore, durante un paio di piacevoli serate sulla terrazza della posada mi aveva incantata con le sue tremende banalità sull’Africa e sul Giappone. Già, perché Mark riusciva a rifilarmi frasi tipo: “Non potrai dire di aver davvero vissuto finché non avrai visto il Kilimangiaro”, senza che io, probabilmente obnubilata dalla febbre, gli ridessi in faccia. Un’altra volta, mostrandomi un colibrì sospeso a mezz’aria su ali invisibili, mi aveva spiegato: “Il Giappone è così diverso da tutto ciò a cui siamo abituati. È come vivere su un altro pianeta. Ho vissuto là per un anno, insegnavo inglese in una scuola privata, e in quell’anno ho avuto due ragazze giapponesi. Ma non ci capivamo. Adesso ho imparato ad apprezzare la solitudine. Non sono in cerca di una ragazza, sai. Ho solo voglia di viaggiare e di conoscere il mondo.” In quei giorni il mio cuore apparteneva soltanto all’agronomo, eppure dopo quelle serate ero andata a dormire sognando di viaggiare in paesi lontani accanto al bel canadese solitario.
Dopo la partenza di Sergio, per consolarmi del fallimento della mia causa rivoluzionaria, decisi di esplorare la vita mondana di San Cristòbal de las Casas. La cittadina, infatti, pullulava di giovani turisti della rivoluzione - soprattutto europei – e di giovani turisti in generale, cosa che la rendeva molto animata e simpatica. Se un posto deve essere pieno di turisti, insomma, molto meglio giovani e alternativi piuttosto che ricchi ignoranti e obesi.
Mentre i giovani alternativi si radunavano in bar pieni di foto del Comandante Marcos (già santificato mentre era ancora in attività, roba che non era riuscita neanche al Che), i veri messicani preferivano andare a ballare. E così, malgrado la mia storica avversione per qualunque ballo che imponga dei passi predefiniti e non mi consenta di scatenarmi come mi pare e piace, decisi di invitare Mark a ballare. L’avventuroso canadese, infatti, aveva visitato molti paesi del Sudamerica (soprattutto la Colombia, sulla quale mi aveva raccontato tante affascinanti banalità), e naturalmente sapeva ballare benissimo. Io naturalmente no. E dunque non so perché mi fosse venuta l’ideona di invitarlo proprio lì, in quella balera buia rischiarata solo da un globo anni ’70, con l’aria intrisa di sudore e di ormoni e tanta bella musica latinoamericana. Forse pensavo che, ammaliato dal mio fascino cerebrale, avrebbe passato la serata bevendo mojiti e raccontandomi qualche altra pallosissima avventura da bel viaggiatore solitario prima di portarmi finalmente a letto.
Ma nella balera, com’era prevedibile, ballavano tutti. Adolescenti dalle zone erogene ipersviluppate, vecchie imbellettate e saltellanti, uomini baffuti e impomatati. Sembrava un raduno di tarantolati.
“Non mi piacciono molto i balli di coppia,” gli dissi con un sorrisetto imbarazzato. “Sai, preferisco le cose un po’ selvagge...” Mancava solo che gli facessi l’occhiolino. “Però mi piacerebbe tanto imparare da un ballerino esperto come te.” (In realtà nessuno era mai riuscito a irreggimentare le mie membra anarchiche in una serie di mosse coordinate, né l’insegnante di danza moderna che quando ero adolescente mi aveva consigliato di darmi al nuoto, né lo splendido cubano che mi esortava “mueve la cintura”, o qualcosa del genere, mentre io lo guardavo adorante e mi sentivo flessibile come un pilastro di cemento.)
“Certo,” rispose il canadese. “Vado a prendere una birra e poi t’insegno.”

Mentre lo aspettavo, seduta al tavolo, cominciai a battere i piedi e a scuotere le spalle per entrare nel caldo ritmo latino, ansiosa di piroettare fra le sue braccia. Dopo un quarto d’ora di quel batti-scuoti solitario mi girai a guardare verso il bar, ma
Marsupio, zainetto e Lonely Planet: sono già a Palenque
il ballerino canadese sembrava scomparso. Aspettai altri cinque minuti, poi mi alzai e andai a cercarlo. Quando giunsi nei pressi della pista da ballo, un messicano enorme con un paio di baffoni a manubrio mi si parò davanti e disse: “Señorita, vamos a bailar.”
“Ecco, veramente…” risposi, ma l’uomo mi strinse il braccio in una morsa di ferro e mi trascinò verso la pista. Lasciati andare, pensai, tanto è l’uomo che guida. E così, mentre rimbalzavo come una marionetta tra le braccia del messicano baffuto, mi ritrovai accanto al canadese solitario, che danzava decisamente fuori ritmo e letteralmente spalmato addosso a una piccola messicana dagli occhi languidi e dai seni piuttosto grossi. Quando il mio cavaliere mi salutò con un inchino senza chiedermi l’onore del prossimo ballo, presi la giacca e mi incamminai da sola verso l’albergo.
Il mattino dopo infilai un biglietto di addio sotto la porta della stanza accanto, dietro la quale mi era parso di udire una risatina femminile, e andai a preparare lo zaino per l’ultima tappa del mio viaggio: Palenque.

(6/continua)

domenica 9 giugno 2013

Zadie Smith a Massenzio


"Persona di ceto basso dotata di capitale intellettuale ma priva di denaro in eccedenza cerca persona di ceto alto con abbondante denaro in eccedenza per godimento di reciproci vantaggi, tra cui, fra gli altri, maggiore speranza di vita, migliore alimentazione, riduzione dell’orario lavorativo e anticipazione dell’età pensionabile."

Esce domani NW, il nuovo romanzo di Zadie Smith tradotto da me per Mondadori.  

Il 2 luglio Zadie Smith sarà a Roma al Festival delle Letterature di Massenzio, con un testo inedito (che sto traducendo ed è bellissimo). E ci sarò anch'io, come l'anno scorso.

venerdì 7 giugno 2013

Sorvegliare e punire


Los Angeles Times (1975)
Courtesy of Tribune Media Services 

QUI il post di Alaska che elenca le reazioni dei giornali allo scandalo.

giovedì 6 giugno 2013

A cena con il produttore di Pina

La sera dell'inaugurazione della mostra ho conosciuto Michael, un amico di Mr. Keats che avrei poi rivisto sabato a cena. "Verrà anche il mio amico Erwin", ha detto Michael, "il produttore di Wenders".
Ah sì, certo, il produttore di Wenders, ho pensato, mentre mi rituffavo nelle chiacchiere sull'unico divano della galleria monopolizzato in permanenza dal nostro gineceo italico.
E così sabato sera, davanti all'ottimo cuscus del ristorante Kasbah, ho ascoltato il simpatico Erwin discutere di cinema in 3D e stampanti in 3D con Michael e Mr. Keats, intervenendo con qualche domanda a dire il vero forse un po' stupida e citazioni di Herzog forse col senno di poi un po' fuori luogo finché Erwin ha detto: "Sì, perché quando abbiamo girato Pina..."
"Ehm... Pina?" Mentre lo dicevo devo aver sputazzato qualche granello di cuscus. "Ma è il film più bello che ho visto negli ultimi... cinque... dieci..."
Più tardi Mr. Keats mi avrebbe ricordato che Michael me l'aveva detto, che Erwin era il produttore di Wenders.

Comunque Erwin ci ha parlato del nuovo film in 3D che stanno girando, Cathedrals of Culture, "A documentary TV series in 3D and 2D about the soul of buildings". 
Sei film per sei registi, ognuno su un edificio, per rispondere alla domanda "If buildings could talk, what would they tell about us?
Questo l'elenco dei registi e degli edifici:
Karim Ainouz: Building in negotiation  
Michael Glawogger: National Library - St. Petersburg, Russia  
Michael Madsen: Halden Prison – Halden, Norway  
James Marsh: St. Pancras Railway Station – London, United Kingdomn  
Robert Redford: The Salk Institute – La Jolla, California, USA  
Wim Wenders: Berlin Philharmonic – Berlin, Germany

E così il giorno dopo è stato con piacere ancora più grande che sono andata ad ascoltare la bravissima pianista Maria Masycheva che suonava Chopin nella cattedrale della cultura della Berlin Philharmonic.
 

mercoledì 5 giugno 2013

Il mercatino più brutto di Berlino

No, questo non lo ha segnalato Chiara. Lei nella sua guida segnala giustamente il mercato di Mauerpark, dove però noi eravamo già stati. E poi domenica c'era un tempaccio orrendo, così Mr. Keats, fanatico di mercatini delle pulci, ne ha scovato uno al coperto, a Treptow. L'autore di questo post lo trova affascinante, mentre io, che i mercatini delle pulci non li reggo, l'ho trovato attraente quanto una discarica. Neppure Mr. Keats, che scova sempre qualche oggetto improbabile dappertutto, è riuscito a rimediare qualcosa. In realtà avrebbe potuto comprare qualche bel busto di Dante



Oppure questo capolavoro cubista che starebbe benissimo al MOBA

 

martedì 4 giugno 2013

Brevi da Berlino: la vasca amniotica del Liquidrom

La vacanza berlinese è finita, ahimè. Lo scambio di casa è andato bene, anzi, direi che quella casa me la sarei proprio tenuta. Questa sera, stanca per il viaggio e malinconica per il ritorno, ripenso volentieri al pomeriggio passato al Liquidrom, ossia il consiglio numero 67 della guida di Chiara sulla quale ho basato le mie giornate (e le mie cene) berlinesi (a proposito, squisito il ristorante Kasbah a Mitte).

Il Liquidrom è un centro termale, che oltre ad alcune normali saune (e al normale impiegato cafone all'ingresso) vanta la famosa vasca amniotica con acqua salata calda dove si galleggia in penombra con musica soffusa e ci si dimentica del mondo. Per un'ora buona, come nel mio caso. Poi si esce rammollite e con movimenti lunari si torna molto lentamente nel mondo. Un mondo dove ci sono almeno altri 99 centri termali che vale la pena di visitare. Questo però, il numero 9, è forse il meno caro della lista (grazie Berlino).