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giovedì 3 gennaio 2019

Una cosa che tutti dovrebbero sapere e che io stranamente non sapevo

Di rado leggo libri nuovi. A parte quelli che leggo per lavoro, cioè. Non solo perché compro quasi soltanto libri usati, ma anche perché sono una lettrice prudente, e proprio perché lavoro nell'editoria non mi lascio incantare dalle sirene dell'ultimo caso editoriale, dal libro dell'anno, dal libro di cui tutti parlano (lo facevo anche con i film, poi mi sono ritrovata a vedere Pulp Fiction quando tutti l'avevano già visto da sei mesi e mi guardavano come se fossi appena uscita da una caverna. Adesso i film non li vedo quasi più, mannaggiamme). Se non leggo classici, leggo libri la cui fama è ormai consolidata. O libri che mi interessano perché ci arrivo seguendo qualche mio percorso personale. Ora sto finendo l'appassionante The Circle, per esempio, che mi ripromettevo di leggere da tanto tempo ma al quale sono arrivata perché viene citato nell'illuminante e spaventevole L'esperimento, che dovrebbero leggere tutti quelli che hanno votato M5S.

Sull'aereo invece ho finito il bellissimo Q, che dopo Manituana e il delizioso 54 (Cary Grant!) rappresenta il mio terzo incontro con quel famoso collettivo di scrittori. E qui veniamo a quella cosa del titolo. Il mio consueto, fantozziano viaggione in aereo. Cosa mi è successo stavolta? Be', avevo il raffreddore. Ora, detta così sembra una cretinata, ma visto che da queste parti sono nota per lagnarmi dei miei mali, forse ho già scritto da qualche parte che soffro di rinite vasomotoria, una di quelle
malattie assurde che non si sa perché vengono ma che comunque sono una discreta rottura di coglioni. Una delle conseguenze della RV è che il raffreddore, un tempo semplice fastidio a cui non facevo neppure caso, sia diventato una catastrofe da evitare a tutti i costi. E io l'ho evitata, sfuggendo l'amica untrice finché intorno a Natale non ce l'ho fatta più e sono andata a salutarla e a portarle il mio regalo. Male me ne incolse. Il subdolo raffreddore aspettava solo quel momento per attaccarmi, e manifestarsi in tutta la sua potenza proprio durante l'interminabile volo transoceanico. 
E allora?, diranno i soliti criticoni che sostengono che mi lagno sempre. Come, e allora? Non lo sapete che non si dovrebbe MAI volare con il raffreddore? E che se PROPRIO siete così sfigati che non potete perdere quella carriolata di soldi che vi è costato il biglietto per spostare il volo a un momento più propizio, dovreste almeno portarvi dietro un decongestionante nasale? Io non lo sapevo (cioè, il decongestionante nasale dal quale non mi separo mai se ne stava al fresco nella stiva). Be', avete presente quella cosa delle caviglie che si gonfiano durante il volo e all'arrivo sembrate un elefante (io almeno, cosa che risolvo con delle apposite calzette)? Be', provate a pensare che vi succeda la stessa cosa al naso. Anzi, no, a tutta la testa. La testa si gonfia all'interno come un pallone e il naso si tappa ermeticamente fino a cessare praticamente di esistere se non come un grosso bulbo pulsante. Tutto questo, nel mio caso, per una dozzina di ore di seguito. Nel frattempo le orecchie si tappano in modo semi-permanente (nel senso che certi allegri siti web dicono che chi vola con il raffreddore potrebbe riportare incurabili danni all'udito) e all'atterraggio fanno un male boia.

Vabbè, vi risparmio il seguito. Mi basta anche per questa volta essere riuscita a mascherare le mie lagnanze da servizio di pubblica utilità. 
NON VOLATE CON IL RAFFREDDORE!

sabato 24 marzo 2018

La maledizione del posto centrale e la dimensione delle persiane altrui

Torno a casa con un volo Norwegian + EasyJet. Un po' preoccupata per la nuova esperienza con il low-cost intercontinentale, che consiste in un volo fino a Londra-Gatwick, scalo di 5 ore (detto con voce fantozziana) con sbarco valigia e reimbarco su EasyJet. Invece va tutto bene. Voli in orario, servizio - nei limiti del low-cost - buono. Se non fosse per un dettaglio, perché ovviamente se non ci fosse stata una fantozzata non sarei qui a scrivere questo post.

Con la tariffa più bassa, Norwegian assegna automaticamente il posto a sedere. Ovviamente al check-in scopro che mi hanno assegnato l'orrido posto centrale. Cerco di impietosire la simpatica assistente di terra, la quale mi dice che posso provare a chiedere prima dell'imbarco, magari riesco a trovare un posto corridoio libero. E infatti va proprio così. Che fortuna! 
Salgo sull'aereo, mi accomodo nel mio bel posto corridoio e poco dopo vedo arrivare il mio vicino. Un tizio pallidiccio, con l'aria un po' malata. Si siede senza togliersi il voluminoso giaccone. Mah, penso. Bizzarro. 
Il volo è notturno, quindi il mio piano è guardarmi un filmetto o due e poi cercare di dormire un po'. Il tizio accanto a me, nel frattempo, comincia a bere. Coca cola e bottiglietta di superalcolico. Poi, a un certo punto, rutta. Non un ruttino, eh. Un gran ruttone tonante. Non faccio a tempo a pensare "che schifo" che quello ne fa un altro. Quattro o cinque in totale. Poi si alza, facendomi alzare. Normale amministrazione. Peccato che dopo essersi alzato se ne sta in giro per una ventina di minuti (dove cavolo andrà, sull'aereo, lo sa solo lui), costringendomi a stare all'erta per aspettare il suo ritorno. Poi torna, si mette tranquillo per un po', e poi ordina di nuovo da bere. E ricomincia tutto da capo. Serie di ruttoni e passeggiata sull'aereo. Quando torna a sedere, invece di mettersi tranquillo e guardarsi anche lui un filmetto come fanno tutti, si mette a guardare il MIO film (che io sto vedendo con i sottotitoli, facilitandogli le cose) e a commentarlo ad alta voce. Poi ordina di nuovo da bere e rutta. Al quinto o sesto giro di rutti, quando ormai la puzza di alcol si è fatta insostenibile, vado dalla hostess e le chiedo se non c'è un limite alla quantità di alcol che si può vendere a un passeggero. Lei dice: "consigliamo di bere con moderazione". Eh, sì, infatti. Io le spiego che vicino a me c'è un ruttatore seriale e lei, sinceramente dispiaciuta, mi propone di cambiarmi il posto. Io accetto. E dove vado a finire? Ma in un sedile centrale, naturalmente.

Ecco, ora forse vi chiederete cosa c'entra la dimensione delle persiane altrui che ho messo nel titolo. Niente, è che stamattina ho trovato un commento al post sull'insonnia in cui mi si annuncia solennemente che non si leggerà più il mio blog, e non solo, ma che i miei malanni dipendono dalla mia negatività e dal mio atteggiamento di italiana cinica all'estero che dovrebbe andare a farsi un giro in India e così smetterebbe di notare la dimensione delle persiane altrui. Stai a vedere che se vado a fare un giro in India mi passa la negatività e dunque l'insonnia? (Che comunque è passata, era dovuta a problemi ormonali e non di negatività.) O forse se imparo ad affrontare le cose senza cinismo e negatività, la prossima volta il tizio che rutta se lo becca qualcun altro?

mercoledì 13 settembre 2017

Tutti mi dicono beata te

Tra una settimana torno a casa.
Di solito quando arrivo qui sto benone, normalmente in forma. Ultimamente, però, verso la fine dei tre mesi comincio a sviluppare imperscrutabili disturbi dell'epidermide, chiazze rosse che si diffondono sulla faccia e/o sul corpo senza alcuna plausibile spiegazione. L'altra volta era la psoriasi, stavolta chissà. Allergia, herpes, micosi, muschi o licheni? Vediamo se anche stavolta in Italia mi passa tutto. Verso la fine dei tre mesi inoltre digerisco male, mi viene mal di testa appena bevo un sorso di vino californiano, mi viene il torcicollo a furia di dormire con un cuscino in testa (oltre che con i tappi e la macchina del rumore bianco, chi ha letto il mio libro sa cos'è, gli altri si arrangino) per non sentire le vicine che mi camminano sopra al mattino presto (che tanto le sento lo stesso e mi sveglio e poi scrivo questi post incazzati).
Soprattutto, verso la fine dei tre mesi non ce la faccio più a fingere come tutti gli altri che la marea di disperati che mi circonda ovunque in questa città non esista, non riesco più a fingere che sia normale che le strade siano piene di gente malata e sporca che non ha una casa, gente che spesso ha problemi mentali ma è lasciata a se stessa, pericolosa per sé e per gli altri. Sono stanca di vedere la gente che li evita schifata come se avessero la peste, per poi accorgermi che faccio la stessa cosa anch'io. E che la sera quando torno a casa cammino tesa e veloce, perché non si sa mai che quel pazzo che grida in mezzo alla strada non decida di prendersela con me.
Sì, beata me, torno a casa. 
(Sì, certo, anche l'Italia è piena di problemi. Grazie, lo sapevo già.)

martedì 18 luglio 2017

Le smanie per la villeggiatura

La foto non c'entra niente, ma è uno dei miei amici
pappagalli che banchettano sul melo del vicino
Ora, dovete sapere che Mr K non va mai in vacanza. Cioè, lui sostiene che tutto quello che fa è una vacanza, e non capisce questa smania tutta italiana di smettere di lavorare (ma occhio, per lui il lavoro non è lavoro, bensì vacanza) per andare a fare cose insulse tipo riposarsi e viaggiare.
Capirete bene che questo mal si adatta al mio irrefrenabile desiderio di vacanza, e quindi mi vedo costretta a prendere dei provvedimenti.

1) Piccole vacanze quotidiane. Vado sempre più spesso in palestra, ormai quasi tutti i giorni. Ho ripreso pilates con le compagne ottuagenarie e l'insegnante che mi chiama Celia. Ho provato Barre, che è l'ultima mania americana in fatto di attività palestrabili ed è una vera e propria tortura. Lo sconsiglio anche al mio peggiore nemico (no, in realtà a Trump consiglierei ben di peggio). Dopo un'ora di Barre non sono riuscita a salire le scale per due giorni. Infatti ora la mia YMCA di Chinatown non lo propone più. Forse qualcuno è finito all'ospedale.

2) La gita con l'amica. Io e l'Alessandra tra poco andiamo a Boonville per due giorni. Boonville è sulla strada per la mia adorata Mendocino (che è troppo lontana per due giorni di gita). Ho letto un romanzo che si intitola Boonville, è ambientato in questo paese di pazzi (naturalmente) e lo ha scritto un tizio che Mr K conosce, un bel ragazzone cresciuto a Boonville con le pezze al sedere che poi ha sposato una fantastiliardaria e adesso è ricco che tipo Obama quando era in città andava a giocare a pallacanestro a casa sua. A parte questo, Boonville sta nel cuore della Anderson Valley, che è piena di vinerie.

3) In vacanza con La Mamma. Al mio ritorno in Italia, in ottobre, me ne andrò al mare a Lampedusa per una settimana, probabilmente con tappa a Palermo.

Nel frattempo Mr K, benché imperturbabile davanti alle mie minacce di trovarmi un fantastiliardario che mi mantenga perennemente vacanza, mi propone idee geniali per conciliare il suo lavoro con le mie vacanze. Oltre a quella di passare qualche giorno a Zurigo (!!), la più bella è sicuramente la proposta di passare qualche giorno a Mount Washington, facendo campeggio selvaggio ad alta quota insieme a una banda di sportivi assatanati, senza gabinetti e con il paese più vicino a 80 km di distanza. Ah, e a quanto pare nei dintorni soggiorna anche una banda di miliziani fascistoidi, quei simpatici personaggi tipicamente americani che fanno subito pensare a cose tipo Un tranquillo weekend di paura. Gli ho risposto che non corrisponde alla mia idea di vacanza. Chissà quale sarà la sua prossima proposta.


martedì 4 luglio 2017

Addio estate

Ecco, a furia di lamentarmi della caldazza è arrivato il momento di tornare al freddo e alla nebbia, e naturalmente non ne ho nessunissima voglia. Ma proprio nessuna nessuna nessuna.

Ieri ho fatto una gita al Mottarone, dove c'era questo panorama qui


ma da domani, dopo il viaggio-massacro, comincerà la mia estate-massacro con doppio lavoro, traduzione e insegnamento.
Da qualche giorno, però, un nuovo pensiero si sta delineando nei miei meandri cerebrali finora evidentemente intasati dal caldo: "ma chi c***o me lo fa fare?" 
Infatti, da quando ho scoperto questo sito, il mio passatempo preferito è diventato esplorare il mondo dalla mia scrivania. L'altro giorno sono finita sulla spiaggia di un'isola greca e per poco non mi mettevo a piangere. Quindi da ora in poi lo scopo massimo, per non dire unico, della mia vita sarà quello di andare in vacanza. Non temete, ci riuscirò.

martedì 27 dicembre 2016

Cose belle da fare laggiù

Autoincoraggiamento pre-partenza.

Sperando che l'arrivo vada meglio dell'anno scorso, sembra che per il resto ripeterò per filo e per segno le stesse lamentazioni ma anche le stesse note positive di allora. Cioè, a San Francisco in questi giorni fa un freddo becco (mentre oggi sul mio balcone italico c'era l'inquietante temperatura di 22°), passeremo l'ultimo dell'anno con dei cari amici e la sera del primo ancora al concerto del grande Maceo Parker.

Le novità invece cominceranno dal 10 gennaio, quando andrò a sentire Zadie Smith (che sto traducendo or ora) in conversazione con Dave Eggers per la serie City Arts & Lectures.

Il 21 gennaio parteciperò alla Women's March di San Francisco, per protestare contro l'insediamento del Mostro. La manifestazione principale sarà a Washington, ma mi sono lasciata convincere da Mr K - che non è proprio un manifestatore nato - a rimanere più vicina a casa. La mia impronta ecologica tirerà un sospiro di sollievo, e sono sicura che anche la marcia di San Francisco sarà molto intensa e partecipata. 





giovedì 6 agosto 2015

Io comunque questa città la odio

Ormai è diventato un classico: io attacco questa città ormai oscenamente ricca e avida, e Mr K la difende. E ogni volta che trovo la notizia di un locale storico della "vecchia" San Francisco in procinto di essere demolito per fare spazio a un condominio per ricchi, gli dico,con un amaro senso di trionfo: "eccone un altro. Tornaci presto, perché sarà l'ultima volta."
Stavolta toccherà a Grubstake, uno storico diner dalle nostre parti che restava aperto fino alle 4 di notte, cosa incredibile in questa città dove la gente mangia alle 6 e va a letto con le galline. I proprietari lo hanno venduto facendosi promettere che il nuovo acquirente lo avrebbe mantenuto così com'è, e subito dopo l'acquirente ha portato in comune un progetto per un bel palazzone di sette piani. La città sta ancora esaminando il progetto. Haha, chissà cosa risponderà il caro sindaco (nel senso di costoso) ora indagato per corruzione (e basta con la stronzata che "queste cose succedono solo in Italia", per favore).



Qualche mese fa è toccato al Chameleon, il nostro caffè preferito sotto casa, un tempo frequentato dagli scrittori della zona che si piazzavano lì a scrivere per tutto il giorno sotto il benevolo sguardo di Melanie, la simpatica gestora. Mr K ci aveva passato anni, lì dentro. In questo caso pare che il proprietario fosse infastidito dai bambini che scrivevano con "scivolosi gessetti" sul marciapiede, e dal food truck (uno dei tanti furgoni-ristoranti ambulanti che vanno tanto di moda in città) che si fermava lì davanti una volta alla settimana. Ora rimarrà così, sbarrato, chissà per quanto: la città più ricca degli Usa sta cominciando ad assumere l'aspetto di una città depressa, perché - come raccontavo a Spicy Ginger Ale che a New Orleans ha un problema analogo - tutti i baretti e i negozietti per gente normale chiudono e non vengono sostituiti da niente perché con un'attività normale nessuno può permettersi di pagare gli affitti osceni di questa città.

Il Chameleon ieri

Il Chameleon oggi
Insomma, se a casa mia, in Italia, posso stare certa che se esiste un bel prato arriverà presto qualcuno a distruggerlo, qui ormai non ho più dubbi che se esiste un locale che mi piace - non fighetto, non caro, con un'atmosfera simpatica, magari con bella musica - prima o poi arriverà qualcuno a farlo chiudere. Che palle, però. Ma quand'è che scoppia, questa bolla della tech economy? Voglio sedermi sulla sponda del fiume e vederne passare il cadavere.
(L'ultima notizia è che la città non riesce più a trovare insegnanti per le scuole pubbliche, perché con uno stipendio di insegnante non ci si può permettere di abitare a San Francisco. Naturalmente lo stesso vale per anche per altri fornitori di servizi essenziali, tipo infermieri, pompieri, spazzini... vi ricordate come finiva re Mida?)

venerdì 3 luglio 2015

La caldazza mi salverà

Quando avrò tempo vi racconterò dell'agente letterario, del cocktail di gala e soprattutto dei sandali di Fantozzi. Oggi mi sono svegliata troppo presto e ho troppe cose da fare perché domani, ahimè, parto. In questi giorni di caldo sopportabile e brezzoline paradisiache ho sperato nell'avvento della caldazza, che mi permettesse di non ripetere le mie solite scene disperate all'aeroporto della Malpensa al momento di lasciare questo panorama estivo dalla scrivania



per quest'altro panorama estivo dalla scrivania



Oggi la caldazza è arrivata, e forse partirò più a cuor leggero. L'anno prossimo però, giuro, a luglio vado al mare.


mercoledì 3 settembre 2014

Conto alla rovescia


Tra dieci giorni vado a lavorare QUI. E poi torno a casa. Devo solo resistere ancora un po' senza fare molto male ai vicini del piano di sopra.

mercoledì 30 luglio 2014

Le cheerleader

Sopra di noi vivono le cheerleader. Le cheerleader sono ventenni, bionde, toniche, parlano come se avessero quattro patate in bocca e soprattutto hanno ingoiato un megafono da piccole. Di giorno indossano maglietta e calzoncini e si dedicano al loro sport preferito, che consiste nel camminare avanti e indietro per l'appartamento pestando bene i piedi. Di sera organizzano cene alle quali è rigorosamente vietato parlare in un tono di voce inferiore ai 110 decibel (motosega a 1 m. di distanza), anche se nessuno capisce cosa si dicono, sempre per via delle suddette patate (e anche perché, naturalmente, non ce ne frega un cazzo di cosa dicono queste subumane). Ieri sera, sentendo i suoni belluini che uscivano dalle loro gole, ho avuto l'impressione che litigassero, e allora i decibel hanno superato la soglia del dolore (130) per avvicinarsi pericolosamente alla soglia massima, 300, raggiunta solo durante l'eruzione del Krakatoa nel 1883. Poi in genere escono, verso le 23.30, lasciando le loro vittime nella pia illusione che ci sarà silenzio fino al mattino. Di solito invece rientrano verso le 2-2.30 e ricominciano gli allenamenti del loro sport preferito, la camminata elefantiaca, scegliendo preferibilmente come palestra la camera da letto che sta direttamente sopra la nostra. Al mattino, con grande sfoggio di energia, le cheerleader attaccano a cantare con la loro voce megafonica verso le 8, poi ricominciano ad allenarsi. Per allenare anche le braccia, oltre che le belle gambe toniche da californiane, spostano mobili e fanno rimbalzare oggetti. Il tutto, naturalmente, mentre emettono quei fragorosi suoni inconsulti che probabilmente servono a comunicare un qualche significato intelligibile. 

Preferisco non descrivere nei dettagli cosa penso delle cheerleader, e soprattutto cosa auguro loro. Basti dire che la cosa che più mi dà fastidio in assoluto, fra tutte le cose fastidiose del mondo, è il rumore. Soprattutto se mi impedisce di dormire. 

A chi mi esorta a non rinunciare ai miei sogni, posso dire che ho già trovato un nuovo sogno (a parte quello di fare molto male alle cheerleader). Andare a vivere in un posto così:


venerdì 11 luglio 2014

Il bucato repellente

Tra le varie cose che non mi piacciono della mia vita a San Francisco c'è l'orrida lavanderia a gettone. A parte la periodica perdita del calzino, che francamente è il male minore, nella ributtante lavanderia a gettone capita di andare a spostare il bucato dalla lavatrice fetida all'asciugatrice lurida (che mi fa ancora più schifo se penso al delizioso profumo dei panni asciugati al sole sul balcone di casa mia, in Italia) e scoprire che l'intero carico è stato estratto e sistemato su un carrello da un cafone deficiente che ha toccato il mio bucato con le sue manacce lerce perché non poteva aspettare cinque minuti per usare quella merdosa lavatrice. Oppure, schifo degli schifi, può capitare di estrarre il bucato e trovarci in mezzo un ripugnante paio di mutande da uomo - slip blu elettrico per la precisione, mi viene il voltastomaco solo a pensarci - dimenticate dall'utente precedente. Quella volta per poco non ho vomitato dentro l'immonda lavatrice. Ogni volta che entro nella nauseabonda lavanderia a gettone provo un disgusto assoluto, globale, mi sembra di sentire l'abominevole puzza di piedi di chi ha lavato i suoi calzini prima di me, vedo davanti a me file e file di mutande luride che spuntano fra i miei panni semilavati con quel ridicolo detersivo biologico che nulla può contro il poderoso esercito di stomachevoli germi che ammorba la laida lavanderia a gettone. Allora sogno di entrare con un lanciafiamme e bruciare tutto, calzini puzzolenti, mutande blu elettrico, lenzuola lise, asciugamani bucati, scarpe da tennis (brutto maiale che lavi le tue scarpe nelle sozze lavatrici  dell'urfida lavanderia a gettone), e di emergere dal rogo pulita, purificata e profumata come un cesto di bucato asciugato al sole.

lunedì 16 dicembre 2013

Italiani che adorano gli Iuesséi


Quelli che sono riusciti ad andarci a vivere e quindi sono molto fighi: 
"Espresso? What's espresso?"

Quelli che lo vorrebbero tanto: "Oddiooooooabitiasanfranciscoooooobellissimaaaaamacomesifaavenirciaviveresecondotepossoinsegnarel'italiano?"

Quelli che ci vanno in vacanza: "Oh-yeah-I-love-San-Francisco-ci-sono-stato-tre-giorni-quest'estate-summer-of-love-beat-generation-così-europea-molto-meglio-di-ellei-oh-yeah."


martedì 30 luglio 2013

L'anti-politically correct

Un giorno alla domanda "How are you doing today?" del giovane commesso ho risposto, soprappensiero, dicendo la verità. Qualcosa tipo: ho un po' di mal di testa. Oppure: male, stanotte non ho chiuso occhio.
La reazione, però, è stata molto diversa da quella del commesso medio italiano, che avrebbe come minimo ricambiato la lamentela, magari rincarando un po' la dose per far vedere che lui stava anche peggio. Oppure mi avrebbe incoraggiata con qualche banalità, tipo: su, dai, che oggi è venerdì. Il commesso medio americano invece mi ha guardata allarmato, quasi terrorizzato, senza sapere cosa dire. Poi mi ha rivolto un "I'm sorry" costernato, autentico come una banconota da tre euro.
Da quel giorno, per un po' mi sono divertita a farglielo apposta. "How are you doing today?" mi diceva, e io giù con qualche catastrofe. Lo lasciavo spaesato, poverino, la sua routine interrotta, le sue certezze in frantumi. Poi ho smesso di divertirmi. Adesso rispondo "bene, grazie, e tu?", con un sorriso autentico come il suo.

Qualche giorno fa, parlando con un amico americano, ho detto che una certa persona è stupida. L'amico si è sganasciato dalle risate. Io non riuscivo a capire che cosa ci fosse di strano: non è che io vada in giro dando dello stupido a tutti, però può capitare, no?  D'altronde ce ne sono in giro tanti, di stupidi. Cosa c'è di tanto divertente?
Me l'ha spiegato Mr. K: "hai detto quello che tutti pensano ma nessuno osa dire". 
Ed ecco che all'improvviso quella che per me è una normale conversazione diventa un atto di grande originalità. Fico. Mi sa che più sto negli Usa e più divento italiana.

sabato 6 luglio 2013

Volate Air Canada (se proprio dovete volare)

La piena del Tevere (lo vedete il tronco?)
Ho concluso la mia estate a Roma sotto un cielo perfetto. Ho frequentato persone belle, sono stata ospite nella bella casa dei miei amici, ho pranzato alla Casa Internazionale delle Donne che mi piace tanto, e quando i trasporti mi hanno tradita, facendo saltare l'incontro con Andrea a Villa Borghese, ho passato qualche ora solitaria e fresca all'Orto Botanico. Ho chiacchierato con tutti, perché Roma mi mette allegria e i romani mi fanno venir voglia di chiacchierare. Ho chiacchierato un po' anche con il tassista che mi portava a Fiumicino, ma non tanto, perché aveva messo Cara di Lucio Dalla ("Signo', questa è la canzone più bella di Dalla") e mentre guardavo la vita di Roma scorrere davanti al finestrino mi si è stretto il cuore, e non è una metafora, il cuore si stringe davvero e fa anche un po' male.
(Le caviglie, Silvia, ricordati che con il caldo ti si gonfiano le caviglie, adesso ti sembra di lasciare un paradiso ma poi il caldo si farà intollerabile e tu sarai felice di essertene andata. Già. Felicissima.)

L'orto botanico (estate)
E comunque, se proprio volete lasciare Roma d'estate per approdare a San Francisco in inverno (come dice quella citazione abusatissima ma sempre valida, che tutti attribuiscono a Mark Twain ma che lui mai pronunciò: L'inverno piu' freddo della mia vita fu un'estate a San Francisco), volate con una compagnia europea, oppure con Air Canada, come ho fatto io questa volta. Le compagnie americane, oltre a essere notoriamente pessime, fanno scalo in territorio americano. Soprattutto a New York. Non si contano le storie dell'orrore degli italiani residenti in California sugli scali newyorkesi. C'è gente che si farebbe tagliare una mano, piuttosto che rifare a scalo a Newark o a JFK. Provate anche solo a menzionare uno di quegli aeroporti a un italo-californiano, e vedrete la sua faccia contorcersi dall'orrore, lo sentirete pronunciare parolacce orrende accompagnate da gesti apotropaici di varia volgarità. Code apocalittiche, personale simpatico come i diavoli delle bolge infernali, valigie da ritirare e reimbarcare, coincidenze perse, bagagli smarriti, interrogatori minuziosi, a volte condotti dentro inquietanti stanzini. Benvenuti negli Usa.

Gli aerei dell'Air Canada sono comodi, soprattutto per me che viaggiavo vicino all'uscita di emergenza senza nessuno di fianco e potevo scegliere se allungare le gambe sul sedile accanto oppure stenderle in alto appoggiate alla parete. Le hostess dell'Air Canada sono le più gentili che io abbia mai visto. Il cibo dell'Air Canada non so com'è perché mi ero portata due enormi panini preparati dai simpatici commessi del banco gastronomia del supermercato in piazza Cola di Rienzo, uno con mozzarella affumicata e pomodorini secchi e l'altro con zucchine grigliate. Cibo dell'aereo, tiè.

Sogno
Lo scalo a Montreal è il sogno della viaggiatrice stanca. Le valigie te le imbarcano direttamente sul volo successivo. Il controllo di sicurezza è un unico sportello con due persone davanti a me, e la poliziotta che dice, con un sorrisetto ironico: "Toglietevi le scarpe, che state andando negli Stati Uniti". La dogana si fa in una stanzetta - territorio Usa - dove c'è un unico poliziotto che ti guarda svogliato e se ne frega bellamente del motivo della tua visita. Tempo totale fra sicurezza e dogana: 4 minuti. Durante l'attesa per l'imbarco, San Francisco incombe minacciosa nella persona di una californiana dalle spalle larghe con un frisbee appeso allo zaino che fa yoga sulla moquette dell'aeroporto.

Il primo giorno ci sono 16°. Di giorno. Di sera, mentre passeggiamo verso il ristorante afgano, ce ne saranno 12, con vento gelido e nebbia. I vestitini romani sono già lavati e riposti in valigia. Stasera maglione di lana e giubbotto. Le mie caviglie saranno contente, immagino.

mercoledì 9 gennaio 2013

Un'insolita veduta di San Francisco

Nei primi giorni post-arrivo non avevo nessuna voglia di andarmene a zonzo per la città. Le prime due uscite sono state per motivi puramente materialistici: una visita al nuovo Trader Joe's che ha finalmente aperto da queste parti, e una all'Ikea. Trader Joe's ha portato un po' cibo decente a prezzi decenti in una zona infestata da Whole Foods e, peggio ancora, dal supermercatino-gioielleria di quartiere, gestito da una banda di squinternati (tutti uomini tranne l'inquietante addetta alla verdura, sempre presa a spettegolare con l'altrettanto inquietante suo collega che passa il tempo a innaffiare l'insalata) che rivolgono la parola solo a Mr. Keats e mai a me. L'Ikea è stata invece necessaria perché quei due indispensabili cassettoni che vogliamo comprare da due anni non si potevano ordinare online. E così ci siamo spinti fino a Emeryville, subito ribattezzata da Mr. Keats "retail hell", e io mi sono finalmente divertita un po'. A volte lo shopping funziona anche per me.

Tutto questo per dire che in questi giorni non me ne importa un accidente del ponte, della nebbia e della magica luce di San Francisco. Fosse per me, rimarrei a letto tutto il giorno a guardare gli episodi di Twin Peaks che mi mancano. Però siccome magari vi aspettate qualche veduta di San Francisco, ecco, ho trovato questa che mi è piaciuta molto. Un uomo, 100.000 stuzzicadenti e 35 anni.

La foto viene da qui, dove ne trovate altre (e se vi chiedete dov'è il mulino a vento, è nel Golden Gate Park)

lunedì 3 dicembre 2012

Qualche notizia sulla sanità americana

Dopo le dichiarazioni di Monti sull'insostenibilità della sanità pubblica in Italia, ho deciso di raccontarvi qualcosa su come si vive in un paese con la sanità privata. Un'avvertenza: non sarò molto loquace nel rispondere ai commenti, perché questo argomento mi fa subito salire la pressione.

Prendiamo l'esempio di un traduttore freelance. In generale, con il suo reddito non potrà permettersi una buona assicurazione sanitaria. Potrebbe forse permettersene una "economica", sui $200 al mese: la cosiddetta "catastrofica", che lo proteggerebbe (sempre che l'assicurazione non trovi qualche scusa per piantarlo in asso) solo per le spese dai cinque o seimila dollari in su (fino lì pagherebbe comunque di tasca sua).

Chi ha un lavoro come dipendente, invece, ha l'assicurazione pagata dal datore di lavoro. Migliore è il lavoro, migliore sarà l'assicurazione. Ciò significa che per i disoccupati e i sotto-occupati l'assicurazione non c'è. Tanto per fare un esempio: un'amica ben assicurata (cioè con marito ben pagato; per i freelance invece non esiste la possibilità di includere il coniuge nell'assicurazione) ha avuto un cesareo d'emergenza, con quattro giorni di ricovero in ospedale. Conto: 80.000 dollari. L'assicurazione ne ha pagati 40.000, la mia amica 2000. Dove sono finiti gli altri $38.000, nessuno lo sa. (Si sa invece che le spese mediche sono gonfiate.)

Un altro esempio. Una persona che non può permettersi l'assicurazione ha bisogno di farsi visitare. Finalmente ci riesce quando una squadra di medici volontari dell'UCLA allestisce un ospedale da campo alla L.A. Sports Arena, per visitare migliaia di malati che sono in fila ad aspettare dalle cinque del mattino. Alcuni aspettano una visita da due anni.

Naturalmente esiste Medicaid, il programma federale di sostegno per chi non può permettersi un'assicurazione, ma per accedervi bisogna davvero essere poverissimi, e comunque essere poveri non basta.

Tra i siti che forniscono informazioni sul problema della sanità negli Usa c'è quello di Amnesty International, dove si legge:
"Secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ogni individuo ha diritto alla salute e all'assistenza sanitaria L'assistenza sanitaria è un bene pubblico, non una merce. Il sistema sanitario degli Stati Uniti deve soddisfare i seguenti principi:
  • Universalità: tutti gli abitanti degli Stati Uniti hanno diritto all'assistenza sanitaria.
  • Equità: Benefici e contributi devono essere condivisi in modo equo per creare un sistema che funzioni per tutti.
  • Responsabilità: Il governo degli Stati Uniti ha la responsabilità di assicurare che l'assistenza venga garantita in ogni caso.

Vengono poi descritti i futuri effetti della riforma Obama, e si rimanda al sito del National Economic and Social Rights Initiative's Human Right to Health Program, dove fra l'altro si legge, alla voce Health Care in the United States:

  • Circa 50 milioni di persone sono prive di assicurazione sanitaria. Più della metà sono afro-americani. (Center for American Progress 2009)
  • Fra coloro che sono assicurati, almeno 25 milioni hanno un'assicurazione insufficiente. Spesso rinunciano alle cure [e alla prevenzione] a causa della franchigie elevate e del co-payment [la quota di pagamento che l'assicurato deve comunque versare. Un'assicurazione senza co-payment ha costi molto più elevati]. (Commonwealth Fund 2008)
  • 700.000 famiglie vanno in bancarotta ogni anno perché non sono in grado di pagare le spese mediche, anche se tre quarti di queste famiglie sono assicurate. (Salute Affari 2006). In confronto, nel 2009 le cinque più grandi compagnie di assicurazione hanno fatto un utile complessivo di circa $12 miliardi. (Department of Health and Human Services 2010)
  • Gli Stati Uniti hanno meno medici e infermieri rispetto ad altri paesi ad alto reddito. (WHO 2007)
  • Ospedali e medici sono sproporzionatamente più numerosi nelle zone più ricche. Gli ospedali pubblici stanno chiudendo nelle zone dove sono più necessari.
  • Gli Stati Uniti sono all'ultimo posto tra i paesi ad alto reddito per le infrastrutture di assistenza primaria. Si prevede una carenza di 44.000 medici di assistenza primaria entro i prossimi 15 anni. (WHO, Health Affairs 2008)
  • (...) Benché gli immigrati siano generalmente più sani del cittadino medio quando arrivano negli Stati Uniti, da quel momento in poi la loro salute tende a deteriorarsi molto più rapidamente. (“Unhealthy assimilation", Demography, May 2006)

domenica 30 settembre 2012

Meritocrazia per tutti?

Una scuola americana con sedi in vari paesi europei, fra cui l'Italia. La scuola risente un po' della crisi, deve fare dei tagli. Il direttore generale chiama il direttore di una sede italiana e gli dice che occorre licenziare un insegnante per ogni sede. Spetta a lui, in quanto direttore della sede locale, decidere chi. Il direttore della sede italiana gli risponde: "Va bene, allora licenziamo il prof. XYZ." "Ma come," gli risponde l'americano, "è il più bravo di tutti i vostri professori! Non potete licenziare proprio lui!" "È l'ultimo arrivato", risponde l'italiano, "e in più è giovane e senza figli. La legge mi impone di licenziare lui. Secondo lei cosa dovrei fare: licenziare il prof. WKJ, che lavora qui da dieci anni, non è più giovanissimo e ha tre figli?" 
Secondo l'americano sì. Secondo voi?

venerdì 14 settembre 2012

Perché abolire la pena di morte

Camera a gas a San Quentin, California
Nella progressista California, dove il 68% della popolazione è favorevole alla pena di morte, in novembre si voterà un referendum per abolirla: California Proposition 34, the End the Death Penalty Initiative.

Mentre gli europei si scandalizzano per questa barbara usanza, adducendo profonde argomentazioni filosofiche/religiose/giuridiche/morali/storiche/umanitarie per la sua abolizione, i californiani hanno trovato l'unico motivo che forse potrebbe funzionare: la pena di morte costa troppo.

Date un'occhiata al testo della Proposition 34: tra gli argomenti degli abolizionisti troviamo:

1) Repealing the death penalty will "save the state millions of dollars through layoffs of prosecutors and defense attorneys who handle death penalty cases, as well as savings from not having to maintain the nation's largest death row at San Quentin prison."
2) The death penalty is intrinsically wrong. (Questo sarebbe l'argomento filosofico/morale. Molto robusto e ben sviluppato, eh?)
3) "Our system is broken, expensive and it always will carry the grave risk of a mistake."
4) “SAFE California will provide public protection by keeping those truly guilty of death penalty crimes locked up for life, and in the meantime saving us millions of dollars that will be invested in crime-fighting measures leading to the apprehension of serious criminals.” -- John Van de Kamp, former Attorney General of California and former Los Angeles County District Attorney.
5) “[The death penalty] does not make our streets safer and it takes away resources from things that prevent violence, like keeping our kids in school and putting cops on the street. It also denies justice for thousands of grieving mothers who, like me, will never see their children’s murderer be held accountable for their crimes.” –Lorraine Taylor, Murder Victim Family
6) “We know that innocent people have been convicted of murder in California – three were released in 2011 after serving a total of 57 years – and that innocent people have been executed in other states. Nationwide, 140 inmates from death rows have been exonerated of the crimes for which they were wrongly convicted. In light of possible innocence, using the death penalty puts all Californians at risk of perpetrating the ultimate injustice of executing an innocent person[.]” – Bishop Cirilo Flores (ecco, almeno il vescovo parla del rischio di ammazzare qualche innocente).
7) “Life without parole protects public safety better than a death sentence. It's a lot cheaper, it keeps dangerous men and women locked up forever, and mistakes can be fixed.” -- Don Heller, SAFE California supporter and author of the 1978 initiative that reinstated the death penalty. 
8) A 2011 study by former prosecutor and federal judge Arthur Alarcón indicates that California has spent approximately $4 billion to execute 13 people since the death penalty was reinstated. The Alarcón report also indicates that implementing the death penalty in California costs $184 million dollars per year more than implementing sentences of life without the possibility of parole