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domenica 8 ottobre 2017

Postcards from New York/26. La teleferica, la leggenda del pugilato e la casa del sogno

Sabato sono andata a Queens per il compleanno della mia amica Chiara, che ha in casa una collezione di poster delle mostre di Mr K



Sulla via del ritorno, visto che mi trovavo sulla linea F della metropolitana che è l'unica ad avere una fermata a Roosevelt Island, ho deciso di fermarmi a fare un giro. L'isola a quanto pare ha un bel parco, ma non avevo molto tempo per girarla, e così mi sono limitata a contemplare la teleferica che porta a Manhattan lungo il magnifico Queensboro Bridge. Avrei voluto prenderla, ma la coda era troppo lunga e così mi sono risparmiata un'esperienza che, devo ammetterlo, mi faceva un pochino paura



Così ho ripiegato sull'altrettanto panoramico e meno inquietante traghetto



La sera, dopo l'immancabile salto da Strand, sono andata a TriBeCa a incontrare la mia amica Laura Andel e il suo fidanzato Carlos all'ottimo ristorante Takahachi. Lungo la strada mi sono imbattuta in questa reliquia della vecchia New York, il Trinity Boxing Club, che nella vetrina espone un cartello con la sua fantastica leggenda


E per concludere la serata, un salto nel mondo di sogno della Dream House


sabato 30 settembre 2017

Postcards from New York/25. Giardini botanici e macchine del tempo

La mia sempre agognata tappa newyorkese lungo la strada del ritorno a casa comincia con una giornata a Brooklyn. Pranzo a Crown Heights e passeggiata con la mia amica Noa e il suo piccolo Ira, che mi portano a visitare il giardino botanico



Da lì mi sposto a Brooklyn Heights, dove aspetto un altra mia amica, Chris, sulla mitica Promenade dove si trova la mia futura seconda casa. Nell'attesa fotografo la signora Libertà, ultimamente messa un po' alla prova ma pur sempre fotogenica



Da lì andiamo a Dumbo a vedere Photoville, un festival di fotografia all'aperto. Dumbo non è più il vecchio quartiere industriale che ospitava topi giganti e artisti (e me quando facevo la pet-sitter), e dove Chris ha abitato per tanti anni. Ora è diventato un quartiere fighetto dagli affitti carissimi, dove resistono ancora pochi edifici non ristrutturati e dove i turisti si aggirano ignari dell'antico fascino del quartiere


Mentre gironzoliamo in cerca di un ristorante che non ci svuoti il portafoglio, Chris mi indica un vecchio edificio un po' cadente, un vestigio della vecchia Dumbo, dicendomi che trent'anni prima aveva vissuto lì dentro, quando si era appena trasferita dal Queens a Manhattan. E il palazzo è ancora identico. Quando ci avviciniamo per dare un'occhiata, scopriamo che il portone d'ingresso è aperto, e ovviamente entriamo. Dentro c'è odore di polvere, una scala di legno scricchiolante e le pareti dipinte con una vernice verdolina che dev'essere ancora quella originale. Siamo tornate indietro nel tempo. Saliamo le scale, e Chris mi mostra la porta dell'appartamento al secondo piano, quello dove abitava lei. In quel momento sentiamo qualcuno entrare dal portone. Chris si sporge a guardare dalle scale e grida: "Sei tu!". La donna che sta salendo accompagnata da un cane è la sua coinquilina di trent'anni prima, che non ha mai lasciato l'appartamento. Ci fa entrare. La casa è esattamente come Chris la ricorda, stessi stanzoni enormi, un po' cadenti e poco arredati (c'è anche una Tv degli anni Ottanta), stesso bagno angusto e scrostato. Meravigliosa. Dio, quanto amo questa città. Sta cambiando anche lei (come è documentato in questo triste libro appena uscito), e in fretta, ma venderà cara la sua pellaccia.


giovedì 31 marzo 2016

Postcards from New York/24. Il parco in primavera e le galline di East Harlem. E una scrittrice meravigliosa

Sulla via del ritorno faccio tappa a New York, come sempre generosamente ospitata a casa dei suoceri, e per qualche giorno mi godo la mia città preferita. Mi basta camminare per la strada per ricordarmi perché qui sto bene. Qui le persone ti guardano, ti parlano, riconoscono la tua esistenza, nel bene e nel male. Se perdo la mia MetroCard sul sedile della metropolitana c'è subito una ragazza che si sbraccia davanti a me per farmelo notare. Mi vengono subito in mente paragoni penosi con la città da cui sono partita, con la sua bolla sterile di isolamento tecnologico e politically correct. Ma non voglio infierire.
Ecco invece qualche immagine di Central Park in primavera




Qui invece siamo a East Harlem. Sotto la linea sopraelevata della metropolitana c'è un signore che alleva galline e ha un piccolo caffè nel suo giardino urbano. In questa zona ci sono ci sono combattimenti di galli (illegali, naturalmente), e ogni tanto qualcuno gli butta dentro un gallo. Un paio di anni fa qui vicino c'è stata una terribile esplosione, e uno di questi galli salvò la vita a un paio di persone.


La pubblicità di un siliconatore di tette fa incazzare le donne newyorkesi


Ieri sera sono andata a una serata con la grande scrittrice Edna O'Brien, presentata da Colum McCann. Che donna straordinaria! Il suo libro dovrebbe uscire tra poco in Italia: non perdetevelo.


mercoledì 15 ottobre 2014

Postcards from New York/23. ll ragazzo che fotografava piedi


La gloria decadente di West Harlem

Domenica era una splendida giornata, con il profumo dell'autunno che mi fa sentire vicina a casa. Sono uscita nel pomeriggio per andare su su in alto a Harlem, a sentire il concerto che la signora Marjorie Eliot tiene tutte le domeniche nel suo salotto. Purtroppo sono arrivata solo un quarto d'ora prima dell'inizio e il piccolo appartamento della signora Eliot era già strapieno, quindi ho deciso che la bella giornata avrebbe avuto la precedenza su un concerto ascoltato in piedi senza vedere niente, strizzata in mezzo ad altre persone. 


Pare che i vicini della signora Eliot non gradiscano i visitatori della domenica pomeriggio

Una delle tante chiese di West Harlem: la First Corinthian Baptist Church

Allora ho preso un autobus e sono scesa verso sud, attraversando West Harlem che è bellissima, piena di vecchi edifici signorili, negozi che vendono cibi africani, chiese battiste e scuole coraniche. Poi, passando di fianco a Central Park, ho avuto una splendida visione di giardini e fontane e sono scesa di corsa dall'autobus per entrare in un posto incantato, una parte del parco che non conoscevo: il Conservatory Garden. Ho fatto una passeggiata con Beethoven nelle orecchie, e ho notato che nel giardino sorridevano tutti. I giardini rendono la gente felice.

Sull'autobus mi giro e vedo questo...

... e nel giardino incontro le farfalle monarca

Ho continuato a passeggiare nel parco, finché non mi sono accorta che un ragazzo mi stava seguendo. La cosa non mi preoccupava particolarmente, visto che era pieno giorno e c'era molta gente intorno. Poi il ragazzo si è avvicinato e mi ha rivolto la parola. Un tipo distinto, molto gentile, che si è presentato come uno studente del Pratt Institute (una scuola di arte e design) e mi ha chiesto se poteva fotografarmi i piedi. Per un compito scolastico, ha detto. Ovviamente ho accettato, e così siamo andati a sederci su una roccia, mi sono tolta scarpe e calzini e mi sono fatta fotografare i piedi. Però gli ho chiesto se potevo fotografare le sue mani che fotografavano i miei piedi, così avrei avuto le prove di quella bizzarra storia newyorkese che adesso avrei raccontato a tutti. Ah, quanto mi piace New York.





lunedì 13 ottobre 2014

Postcards from New York/22. Piccole cose per cui vale la pena di vivere in (un paio di) città

E rieccomi nell'amata New York, tappa assai gradita sulla strada di casa.
Sabato sono andata a sentire Denis Johnson (di cui presto tradurrò il nuovo libro), poi sono andata a cena con la mia amica Noa e abbiamo concluso la serata scoprendo per caso un ottimo locale nel suo quartiere, Crown Heights. Il locale si chiama The Classon, fa grande musica dal vivo, ha un personale gentilissimo, serve un ottimo Primitivo ed è gestito da un bolognese (lo abbiamo scoperto dopo) che suona molto bene l'armonica. Avevamo parlato di quanto sarebbe bello trasferirsi in campagna, ma Noa, davanti al Primitivo e al concerto scoperto per caso, ha cambiato idea (io non ancora).


martedì 9 settembre 2014

La tirannia delle scatole di vetro (però la Libreria Rizzoli riapre)

La vecchia Libreria Rizzoli è ormai distrutta (QUI trovate la triste documentazione fotografica). Gli operai degli squali LeFrak hanno demolito tutto, e purtroppo il Save Rizzoli Committee non è riuscito neppure a salvare il meraviglioso soffitto.
Si tratta di un nuovo passo avanti in quella che un editoriale del NYT di qualche mese fa definiva "la tirannia delle scatole di vetro": "West 57th Street [dove si trovava la libreria] è l'epicentro del boom delle lussuose scatole di vetro, a causa del quale gli splendidi vecchi edifici che conferiscono carattere a New York vengono rimpiazzati da anonimi monoliti". 
Le scatole di vetro stanno sfregiando anche San Francisco, naturalmente. La domanda sorge spontanea: perché questi "luxury condos" sono così orrendi? Secondo un commento a QUESTO articolo (sulla ventilata demolizione di un palazzo che ospita uno storico locale cittadino per far posto alla solita inguardabile scatola di vetro), "il cattivo design è parte del 'processo'. Tutte le risorse vengono usate per comprare i permessi".

Allora, adesso vi faccio vedere una scatola di vetro. Ne basta una, tanto sono tutte uguali. Questa in particolare sorgerà al 328 di Spring Street, a New York

E per concludere, una buona notizia: la Libreria Rizzoli ha trovato un'altra casa e presto riaprirà. A partire dalla primavera del 2015 la troverete nel St. James Building, al 1133 di Broadway. Alla faccia dei costruttori di scatole di vetro.

 

venerdì 4 luglio 2014

Postcards from New York/21. The Marvelous Sugar Baby

Dopo aver salutato la spiaggiona, i cervi e gli amici, la domenica sono salita sul treno che mi ha riportata a New York. "Back to reality!", ha gridato il macchinista all'arrivo a Penn Station. Ma per me non proprio, visto che la tappa successiva del mio insolito fine settimana consisteva in una visita alla Marvelous Sugar Baby in compagnia di altri amici.
In occasione dell'imminente demolizione della Domino Sugar Factory, che spicca nello skyline di Williamsburg dal 1882 (e che verrà presto rimpiazzata dai soliti luxury condos, anche se pare che de Blasio sia riuscito a strappare ai costruttori una piccola quota di affordable housing), l'artista Kara Walker ha deciso di sfruttare lo spazio per un ultimo, grandioso progetto: la Marvelous Sugar Baby.

Dopo una mezzoretta di coda entriamo nel cortile dell'enorme fabbrica abbandonata



E poi nella fabbrica vera e propria


L'immenso stanzone in cui ci troviamo era un deposito di zucchero, e le pareti emanano un fetore disgustoso, forse di melassa putrefatta. Qua e là si trovano statuine di melassa raffiguranti piccoli raccoglitori di canna da zucchero. Le statue sono in diversi stadi di decomposizione, e di alcune resta solo un grumo informe e una chiazza appiccicosa sul pavimento. (Descritto così sembra una schifezza. Invece le statue erano molto belle. La puzza meno.)




E poi, in fondo alla sala, troneggia lei: The Marvelous Sugar Baby, mezza sfinge e mezza raccoglitrice di canna da zucchero, tutta fatta di zucchero bianco. Sul sito che ho linkato più sopra si trova il video della sua costruzione.




Visione posteriore



La sera, per chiudere in bellezza il fine settimana, un concerto jazz, Stephane Wrembel da Barbès



lunedì 30 giugno 2014

Postcards from New York/20. Una gita negli Hamptons

Rallegrata dalla notizia or ora ricevuta che la mia valigia è ricomparsa e verrà consegnata entro questa sera, devo però constatare che la sparizione di gran parte dei miei effetti personali non stava alterando più di tanto il mio equilibrio. Sarà forse perché ho passato parte del fine settimana in questo posto qui: 



Si chiama Westhampton ed è uno dei famosi Hamptons, le esclusive località balneari di Long Island a un paio d'ore di treno da Manhattan. Una coppia di miei amici ha comprato una... ehm... casetta vicino alla spiaggia, da dove si vedono tramonti




E da dove, se il jet lag vi sveglia alle cinque del mattino, potete anche vedere i cervi



sabato 28 giugno 2014

Postcards from New York/19. Il viaggio di Fantozzi

C'è un motivo se ho giurato che non sarei mai più passata per l'aeroporto di Heathrow. Troppo grande per riuscire a prendere una coincidenza se non si hanno almeno tre ore di tempo. Questa volta, però, io avevo tre ore di tempo. Peccato che l'aereo da Malpensa fosse in ritardo di due. Così, dopo una corsa angosciosa per arrivare all'imbarco, in mezzo a dieci miliardi di passeggeri la metà dei quali, chissà come mai, era davanti a me sulla corsia veloce che scorreva lenta come un bradipo morto, sono arrivata all'imbarco. Io sì, ma la mia valigia no. All'arrivo a JFK, i passeggeri del nostro volo British Airways hanno trovato ad attenderli 5 valigie. Le altre? Problema tecnico. Compilo il modulo per la ricerca della valigia, poi vado a prendere il SuperShuttle (il bus condiviso) per andare a casa dei miei suoceri. Di solito sono la prima a scendere, ormai conosco il percorso. Questa volta, però, c'è un autobus messo di traverso sulla corsia imboccata dal nostro furgone, tutte le macchine fanno retromarcia e prendono un'altra strada. L'autista mi dice che voleva accompagnarmi per prima, e invece sarò l'ultima. Vedo profilarsi davanti a me un altro paio d'ore da aggiungere alle cinquemila che ho già trascorso senza dormire, vabbè, cosa vuoi che sia. Invece l'autista si ostina a risvegliarmi dal coma per farmi scendere all'altezza di una fermata della metropolitana, e così eccomi proiettata nella gradevole serata estiva newyorkese con temperatura e umidità da giungla di Sumatra.
Il giorno dopo il clima migliora, ma io scopro che, oltre a essere senza telefono (per scelta), senza orologio (batteria scarica, sembrava facile trovare chi me la cambiasse) e senza vestiti (indosso quelli della suocera), ora per qualche motivo sono anche senza bancomat (non funziona) e quindi senza soldi. Per consolarmi mangio il mio primo bagel con salmone e cream cheese, ormai tradizionalmente il mio primo pasto quando arrivo a New York.


Poi passo qualche ora ad ascoltare la musichetta del call center dell'aeroporto, la cui addetta, una volta raggiunta, mi promette mentendo che la mia valigia è stata trovata e arriverà presto. Il bancomat viene prontamente sbloccato dalla banca, che lo aveva bloccato perché avevo fatto acquisti online dall'estero senza avvisarli che ero andata all'estero (cioè in Italia). Infine la sera mi rallegro assistendo a una commedia, la storica Der Ring Gott Farblonjet, una parodia wagneriana messa in scena da The Ridiculous Theatrical Company nella St. John's Lutheran Church del Village per le celebrazioni della Pride Week. 


Questo fine settimana vado al mare da un'amica. Il costume è nella valigia, ma il mio unico completo intimo sopravvissuto (quello con cui viaggiavo) è nero e sportivo e somiglia a un costume da bagno.  
 

mercoledì 23 aprile 2014

#MyNYPD: il Twitter-autogol della polizia di New York

Il NYPD, Dipartimento di Polizia di New York, ha lanciato su Twitter l'hashtag #MyNYPD per raccogliere un po' di foto e attestati di simpatia. Quello che ha raccolto, invece, è una valanga di tweet con fotografie di abusi della polizia.