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La foto non è mia, ma volevo mostrarvi i waspafarian |
Il Golden Harvest Cafe è il regno di
Felicity, la decana delle hippy di Arcata. Alta, con i lunghi capelli grigi
raccolti in una coda di cavallo e il corpo massiccio sempre coperto da informi
camicioni indiani, Felicity è famosa per aver vissuto sei mesi su una sequoia
per salvare un tratto di foresta dal disboscamento. Quando è scesa dalla sua sequoia,
Felicity ha aperto questo caffè, che vende esclusivamente prodotti biologici e
dà lavoro a mezza dozzina di studentesse del college locale. Felicity è materna
e generosa, sempre pronta a dare una mano a chi è in difficoltà, e in paese
tutti le vogliono bene e l’assecondano volentieri nella sua strana mania: il
gioco del bridge. Ogni sabato sera vecchi hippy canuti, coltivatori legali e
illegali, persino giovani lavoratori stagionali che migrano a Humboldt nella
stagione del raccolto si ritrovano intorno al tavolo di Felicity, nella sua
casetta tra le sequoie, per qualche mano di bridge. Non si può arrivare
ubriachi né troppo fumati, perché Felicity vuole solo giocatori lucidi. Anche così,
però, nessuno si è mai accorto che Felicity bara con grande voluttà.
Il Golden Harvest è frequentato
soprattutto da giovani in vari stadi di alterazione da THC. Alle dieci del
mattino le studentesse-cameriere hanno lo sguardo abbastanza sveglio, eppure
impiegano mezz’ora per farti un panino. Tre minorenni dal sorriso beota si
inginocchiano davanti al frigo delle bibite e rimangono lì a indicarsi a
vicenda una bottiglia con aria estatica. Poi ci sono i waspafarians, cioè i rastafarian wasp, i ragazzetti bianchi con i
dreadlock che accorrono qui da tutto il mondo per lavorare nelle piantagioni
durante il raccolto. C’è anche un’italiana, drizzo le orecchie e la sento descrivere
al telefono il motel dove sta dormendo con tre amici, nell’attesa di trovare
un’altra piantagione in cerca di manovalanza. «Comunque non sai cosa ci è
capitato venendo qui con il Greyhound» racconta. «L’autista si è incazzato con un
passeggero, lo ha buttato giù dall’autobus, lo ha spinto dentro una cabina del
telefono e ha legato una corda intorno alla cabina per non farlo scappare. Poi
ha chiamato la polizia ed è ripartito. Erano le tre di notte.»
Oh oh. Domani devo prendere il Greyhound
per tornare indietro. Sicuramente non mancherà l’intrattenimento a bordo.