sabato 14 dicembre 2019

Post autopromozionale

Buona domenica! Se vi capita date un'occhiata all'inserto La Lettura del Corriere. Ci troverete il mio solito faccione. 

domenica 8 dicembre 2019

La menopausa fa schifo


“Niente può prepararvi a questo”, scrive Mary Ruefle nel suo bel saggio PauseGermaine Greer l'ha chiamata “The Change”, il cambiamento, e i libri sull’argomento cercano di sfruttare questo concetto per presentarvi la menopausa come un momento di cambiamento che può anche essere positivo, a seconda di come lo prendiamo. Non è vero. Chi potrebbe sostenere che ansia, depressione, insonnia possano anche essere positive, a seconda di come le prendiamo?

La prima volta mi colse impreparata. La mia ginecologa mi aveva sospeso la pillola, perché “alla sua età ormai non serve più”. Dopo circa un mese il mio sonno cominciò ad accorciarsi, a diventare sempre più affannoso e faticoso, finché non si fermò del tutto. Mi trovavo negli Stati Uniti, dove l’accesso a medici e medicine è complicato e costoso, e così all’inizio gli amici mi regalavano olio di cbd e sonniferi. L’olio non mi faceva neppure il solletico, i sonniferi mi provocavano un sonno fasullo che non mi riposava e mi lasciava la mente annebbiata. L’agopuntura forse aiutava un pelino, ma solo perché l’agopuntura mi è simpatica. L’anziano medico generico con cui quando stavo bene parlavo di letteratura russa mi prescrisse l’ascolto di un mp3 per insonni, che con voce suadente mi invitava a circondarmi di animali amici (che nella mia immaginazione diventarono subito serpenti e pantere feroci) e poi di tutte le persone che mi avevano voluto bene (una sfilata di morti). Finalmente un altro medico, una donna, mi disse: “ma è ovvio, le hanno sospeso la pillola e le è venuta l’insonnia. Si chiama menopausa. Riprenda la pillola”. E nel giro di due o tre giorni ricominciai a dormire.

Adesso, a cinquant’anni, me l’hanno sospesa di nuovo. Io ci ho provato, a festeggiare i cinquant’anni come se ci fosse qualcosa da festeggiare. Ho passato due settimane da sola su un’isola greca in maggio: un paradiso. Ma poi a fine settembre ho smesso di prendere la pillola. Alle donne che prendono la pillola la menopausa arriva addosso come un tram in corsa: i sintomi che fino a quel momento sono stati mascherati dall’assunzione forzata di ormoni ora cominciano a strisciarti addosso uno dopo l’altro, dapprima come leggeri fastidi che per le più fortunate – invidiatissime – rimangono tali, ma che per altre possono diventare devastanti. “La menopausa non è una malattia”, è un altro slogan speranzoso e spesso fastidiosamente fasullo. Forse non lo è, ma quando la notte non riesci a chiudere occhio non è che ti senti proprio sanissima.

Il cambiamento è in realtà una scadenza. Tutti abbiamo una scadenza finale, ma in quel caso il vantaggio è che non ne conosciamo la data. Nel caso della menopausa invece l’età è quella e da lì non si scappa. Non si scappa dalla fine della fertilità, dalla fine della bellezza, dalla fine dell’illusione che saremo sempre sane. È il momento in cui mi sono resa conto che certe scelte erano ormai irrevocabili, che il margine di cambiamento si era chiuso. E che sono anch’io prigioniera, come non credevo di essere, di un’idea di potenzialità legata al mio aspetto fisico. Un uomo che invecchia non si pone il problema della perdita di bellezza. Per una donna il fatto di diventare all’improvviso invisibile può essere un duro colpo. Un cliché culturale che ho sempre disprezzato, al quale mi sentivo superiore, e nel quale ho invece scoperto di rientrare in pieno. 

I sintomi della menopausa variano da donna a donna. Come dice Mary Ruefle nel suo saggio, spesso la medicina e le riviste femminili ci raccontano che il problema principale sono le vampate. Ma per carità. Chi se ne frega delle vampate. È vero che la notte mi sveglio in un bagno di sudore, ma dura poco, e se quando mi passa fossi in grado di riaddormentarmi sarei la persona più felice del mondo. Invece non dormo. La mancanza di ormoni mi impedisce di lasciare lo stato di veglia, crea una tensione costante che mi attraversa il corpo come una leggera corrente. Il giorno dopo la notte da incubo è un giorno da incubo, con pensieri nerissimi, ansia e incapacità di concentrarmi. Chi ha provato l’insonnia sa di cosa sto parlando. Le ore passate a rigirarsi nel letto con la disperazione crescente che riduce sempre di più le possibilità di addormentarsi, la decisione di alzarsi nel cuore della notte a scrivere un pezzo sulla menopausa perché tanto non si riesce a dormire, l’assurda, fugace illusione che in realtà così si guadagna tempo per fare cose, e la presa di coscienza che il tempo guadagnato non serve a niente perché quando non hai dormito sei inutile come le tue ovaie spente. È il classico gatto che si morde la coda. L’ansia e la depressione causate dal “cambiamento” alimentano l’insonnia, che a sua volta alimenta l’ansia e la depressione.

Io ve lo dico: le cure alternative non funzionano. Nessuna è mai guarita dalla menopausa con le pasticche di erbe. Nessuna è mai guarita dalla menopausa punto. E siccome non sanno guarirti ti dicono che non è una malattia. Però ti danno medicine per l’umore e medicine per il sonno. Oppure ti danno gli ormoni e ti terrorizzano con i possibili effetti collaterali. Io li sto prendendo da tre giorni e sto ancora aspettando che facciano l’effetto primario. Tra un paio d’ore sorgerà il sole.

venerdì 26 luglio 2019

Io qui non ci torno più

Ok, il titolo potrebbe sembrare un po' drastico, ma ormai non so più cosa fare.
Da tre anni combatto con il rumore provocato dalle vicine del piano di sopra (mi sforzerò qui di non usare epiteti nei loro confronti). Prima di tutto, io ho un sonno molto leggero. Dormo da sempre con i tappi nelle orecchie, anche quando c'è il più assoluto silenzio, e qui a San Francisco dormo, oltre che con i tappi, con una macchina del rumore bianco accanto al letto. Ora, queste due giovani vicine (epiteti omessi) camminano come elefanti obesi, pestando i talloni a terra con forza indicibile. Non fanno particolari schiamazzi, per la verità. Solo camminano, spesso percorrendo distanze inspiegabili all'interno del piccolo appartamento, oppure muovendo oggetti misteriosi che io immagino come grossi cubi di metallo che vengono fatti rotolare senza sosta da un angolo all'altro della stanza.

Ho passato questi tre anni, a partire dall'infausto giorno del loro arrivo a cercare un modo per non sentire i loro rumori. Impossibile qualunque intervento di insonorizzazione della stanza, visto che l'appartamento non è nostro. Impossibile traslocare, visto che in questa casa abbiamo ilrent control e qualsiasi altro appartamento ci costerebbe almeno 4 volte tanto. Ho provato tutti i tappi esistenti sul mercato, compreso un costoso paio di tappi in silicone fatti su misura, ma inutilmente: i tappi funzionano bene per i suoni acuti,
non per questi tonfi che fanno persino vibrare le pareti. Abbiamo naturalmente tentato la strada del confronto, cosa che ho delegato a Mr K perché io non riesco a parlare con le persone che odio. Mr K ha provveduto a scrivere ben tre (o forse quattro) gentili letterine nelle quali supplicava le vicine (che l'inferno le inghiotta) di non fare rumore almeno al mattino presto. Risultato: fanno rumore la sera tardi, mentre al mattino presto sembrano in effetti limitare la loro produzione di tonfi fragorosi, che comunque riesce a svegliarmi. Una volta sveglia, la rabbia mi impedisce di riaddormentarmi anche quando le vicine si tolgono dai escono di casa. A questo punto, al sonno leggero si è aggiunta la rabbia costante e l'ansia, perché se la sera non riesco ad addormentarmi subito quando loro smettono di fare rumore, so già che verrò comunque svegliata al mattino presto. Quello che mi fa soprattutto incazzare è che devo regolare la mia vita sulla loro, seguire esattamente i loro orari pena la privazione del sonno.

Ora, fallite le letterine, visto che non possiamo chiedere alle fanciulle di non camminare con quei loro pesanti piedoni, Mr K (che la mattina se la dorme beato, e anche se si sveglia per il rumore poi si gira dall'altra parte e si riaddormenta), impotente di fronte alla mia frustrazione, si è improvvisamente trasformato in un new age e mi sta consigliando di cercare qualche sistema per imparare a gestire la rabbia. Questo malgrado io faccia yoga da 20 anni e abbia avuto molti anni fa un orrido fidanzato new age che mi introdusse a tutte le possibili tecniche di meditazione, con il solo risultato di provocarmi crampi alle gambe quando mi mettevo nella posizione del loto.
Ora, scherzi a parte, la rabbia, la frustrazione e la mancanza di sonno rischiano di rovinarmi la salute. Sto contando i giorni che mancano al mio ritorno in Italia (argh, ancora due mesi!). Non so per quanto tempo potrò andare avanti così.

lunedì 24 giugno 2019

sabato 25 maggio 2019

Il mulino misterioso

Nel post precedente avevo già parlato del mulino che mi piace contemplare dalla terrazza del ristorante. Dei ristoranti, dovrei dire, perché qui tutti i ristoranti hanno una terrazza, e da quasi tutti si vede la collina dei mulini. Sono quattro, tutti diroccati, con una strada sterrata che li collega e che termina con quello meglio conservato e più affascinante.


Dopo averlo visto quella prima sera illuminato dalla luna piena, l'ho rivisto da altre terrazze, e ogni volta succedeva una cosa strana. Poco dopo il calare delle tenebre, vicino al mulino si vedevano delle luci. Una macchina aveva risalito la stretta strada sterrata e si era fermata proprio davanti al rudere. Stava lì un po' e poi tornava indietro, guidando lentissimamente fino alla strada che passa sopra il paese. Incuriosita, un giorno sono andata a vedere se ci fossero tracce di qualche attività particolare (vi lascio immaginare) che si poteva svolgere di notte vicino al vecchio mulino, ma non ho trovato niente. Però lungo il vialetto d'accesso ci sono due pilastri di cemento incompiuti, e dietro c'è un abbozzo di edificio, sicuramente abusivo (potete vederne il comignolo nella foto sopra, in basso).
Ieri sera dalla terrazza ho visto la solita scena della macchina, ma stavolta qualcuno è sceso è si è aggirato per un po' con una pila intorno al mulino, poi è risalito in macchina e se n'è andato.
Oggi, sempre più curiosa, ho rifatto la strada dei mulini per andare a vedere. E... sorpresa. L'ultimo tratto, quello che conduce al mulino misterioso, è stato chiuso con una staccionata improvvisata. Non c'è scritto da nessuna parte "proprietà privata", però qualcuno deve essersi accorto che degli estranei sono saliti al mulino, e hanno chiuso l'accesso. Secondo voi cosa c'è, lassù?

Comunque il panorama è questo. Quella in fondo è Naxos.





martedì 21 maggio 2019

I due scapestrati

Oggi stavo facendo la mia passeggiata sotto un cielo che a tratti buttava giù qualche gocciolina. Volevo vedere da vicino il mulino che vedo dalla mia finestra e che la prima sera, dalla terrazza del delizioso ristorante Γεύσεις Της Συντροφιάς, ho visto stagliarsi sotto la luna piena in una scena da sogno. Anche da vicino non è male



Mentre fotografo una casa per la mia collezione di Cabin Porn


sento abbaiare in lontananza e penso che sia meglio tornare indietro. Poco dopo sento di nuovo abbaiare molto più vicino, mi giro e vedo due cani che corrono verso di me. Attimo di terrore. Quando gironzoli da sola in mezzo al campagna, un incontro con due cani arrabbiati è sempre meglio evitarlo. Comincio a gridare (in inglese, perché non so il greco e forse due cani greci capiscono meglio l'inglese dell'italiano) e impugno la borsa (come al solito, ahimè, appesantita dalla borraccia) come arma. Ma i due cani arrivano scodinzolando e cominciano a farmi le feste. Sono due cani neri, un maschio a pelo lungo e una femmina a pelo corto, giovani e baldanzosi, entrambi con il collare. Sono in giro a divertirsi e decidono di seguirmi. Dopo qualche minuto passato a riprendermi dallo spavento, comincio a godermi la compagnia. Ma non per molto. Perché in breve mi rendo conto che questi due scapestrati mi hanno adottata. Corrono avanti sul sentiero, si buttano nei campi per rincorrere le pecore


ma poi tornano sempre da me. Aiuto. Cosa me ne faccio di due cani? Tento invano di indicargli la strada del ritorno, ma loro mi ignorano e continuano a seguirmi. Intanto piove, per fortuna poco, ma insomma, abbastanza da farmi accelerare il passo verso il paese. La strada è lunga, e io spero che a un certo punto si scoraggino e tornino indietro, e invece no, mi stanno sempre incollati. Quando incontriamo le prime macchine mi rendo conto con orrore che quei due stupidi non sono abituati al traffico, stanno in mezzo alla strada e si fiondano fuori dai sentieri senza guardare. La gente mi osserva come per dire "tieni legati i tuoi cani, idiota", e io tento frustrata di dire che non sono miei, ma come al solito non parlo il greco e l'inglese non funziona. Telefono alla mia amica Ersi ad Atene (a proposito, leggete il suo libro!), che mi dice di non preoccuparmi perché l'isola è piena di cani sciolti. Sì, però mica tutti seguono me. Arrivata in paese, guardata da tutti come la pazza che non tiene i suoi cani al guinzaglio, spiego la mia situazione alla ragazza del bar, che mi guarda come se fossi una demente, e alla signora che gestisce il posto dove sto, che si mette a ridere e dice che non è un problema mio. Intanto sono arrivata, ho lasciato fuori i due scapestrati che mi hanno seguita fino alla porta e sono perseguitata da terribili immagini di cani investiti da automobili o catturati da sanguinari accalappiacani.
Salgo in camera e mi metto sul balcone per vedere se ci sono ancora. 
Dopo un po' un fuoristrada si ferma proprio sotto la mia finestra, vedo un ragazzo aprire la portiera e due code che saltano a bordo. Il ragazzo dice qualcosa ai passeggeri e poi si allontana. Ha fatto pochi passi che il clacson del fuoristrada comincia a suonare. Il ragazzo torna indietro, dice ancora qualcosa ai passeggeri e si allontana di nuovo.
Scendo a vedere. I passeggeri, seduti tutti composti sul sedile posteriore, sono proprio loro, i due scapestrati, che mi guardano e mi sorridono mentre li saluto e gli dico che sono due cretini. Mi viene in mente che non li ho neanche fotografati, ma i finestrini sono scuri e la foto non verrebbe. Adesso piove, e loro sono tornati a casa. Fino alla prossima avventura.

lunedì 20 maggio 2019

domenica 19 maggio 2019

Attualmente risiedo in una cartolina

A Paros un quarto di vino costa 2 euro. A San Francisco un bicchiere costa 14 dollari. 
La vita è più bella dove il vino costa meno.




giovedì 16 maggio 2019

L'invasione di Atene

Atene è stata invasa dagli americani brutti. Il loro quartier generale è l'Acropoli. Tra la folla davanti alle Cariatidi ho sentito tre ciccioni dire "Nobody can beat Trump".

(Aggiornamento: era così piena di americani brutti che c'era anche Zuckerberg)


I papaveri dell'Acropoli

Le Cariatidi sdegnate
Il gatto dell'Acropoli

sabato 5 gennaio 2019

Suoni random a gogò e mariachi: una serata a San Francisco

Ieri sera sono uscita di casa praticamente per la prima volta da quando sono arrivata, il 28 dicembre. Il raffreddore-bronchite mi ha ammazzato la cena del 31 e la gita di Capodanno, e alla fine non avevo neanche più voglia di uscire. Mi stavo trasformando in uno di quei tizi giapponesi che se ne stanno sempre tappati in casa. Mr K, un tantino preoccupato per la mia nuova avversione all'aria aperta, ha insistito perché andassimo per il secondo anno di seguito all'esilarante Tape Music Festival, una roba d'avanguardissima in cui te ne stai seduto al buio e ascolti per un paio d'ore "suoni random a gogò", come dice il mio amico Vincenzo che è spesso l'artefice di queste mie uscite improbabili.


Ma poi l'autobus era in ritardo (peggio del solito), io avevo la tosse e pensavo al pubblico intellettualissimo del festival che si sciroppava i miei ragli da tisica, e così all'ultimo momento ho deciso di non andare. 
"Facciamo una passeggiata nella Mission", ho detto a Mr K. Passeggia passeggia, però, cominciavo ad annoiarmi, non avevo voglia di sentire musica in locali affollati, volevo - francamente - solo tornare a casa e infilarmi sotto le coperte con un libro. Finché, d'un tratto, l'illuminazione. Siamo passati davanti a un ristorante messicano dove suonava una band di mariachi. 
Mr K: "Vuoi andare sentire i mariachi?" Io: "Ma no... anzi, perché no?"
Un posto abbastanza modesto, con tre enormi schermi Tv che normalmente mi avrebbero tenuta lontana. Ma i mariachi: sublimi. Erano in sei, leggermente sgarrupati ma estremamente seri. Due violini, una tromba, due chitarrine e un chitarrone enorme. Si spostavano da un tavolo all'altro, dove tutti erano messicani (tranne ovviamente noi) e conoscevano le canzoni. C'era un tizio meraviglioso che assomigliava tantissimo a Jesus (aveva anche una camicia lilla) e cantava e faceva ballare le ragazze, c'era la barista, giovanissima e con l'apparecchio ai denti, che a un certo punto ha smesso di spillare birre e si è messa a cantare con un vocione da cantante lirica, c'era la padrona che rideva tantissimo e ogni tanto ballava e cantava pure lei, c'era il buttafuori con un sorriso stampato in faccia che sicuramente pensava "ma che figata di lavoro che mi sono trovato".  
Insomma, la prossima volta che mi viene la sindrome della reclusa, una bella band di mariachi e passa la paura.

giovedì 3 gennaio 2019

Una cosa che tutti dovrebbero sapere e che io stranamente non sapevo

Di rado leggo libri nuovi. A parte quelli che leggo per lavoro, cioè. Non solo perché compro quasi soltanto libri usati, ma anche perché sono una lettrice prudente, e proprio perché lavoro nell'editoria non mi lascio incantare dalle sirene dell'ultimo caso editoriale, dal libro dell'anno, dal libro di cui tutti parlano (lo facevo anche con i film, poi mi sono ritrovata a vedere Pulp Fiction quando tutti l'avevano già visto da sei mesi e mi guardavano come se fossi appena uscita da una caverna. Adesso i film non li vedo quasi più, mannaggiamme). Se non leggo classici, leggo libri la cui fama è ormai consolidata. O libri che mi interessano perché ci arrivo seguendo qualche mio percorso personale. Ora sto finendo l'appassionante The Circle, per esempio, che mi ripromettevo di leggere da tanto tempo ma al quale sono arrivata perché viene citato nell'illuminante e spaventevole L'esperimento, che dovrebbero leggere tutti quelli che hanno votato M5S.

Sull'aereo invece ho finito il bellissimo Q, che dopo Manituana e il delizioso 54 (Cary Grant!) rappresenta il mio terzo incontro con quel famoso collettivo di scrittori. E qui veniamo a quella cosa del titolo. Il mio consueto, fantozziano viaggione in aereo. Cosa mi è successo stavolta? Be', avevo il raffreddore. Ora, detta così sembra una cretinata, ma visto che da queste parti sono nota per lagnarmi dei miei mali, forse ho già scritto da qualche parte che soffro di rinite vasomotoria, una di quelle
malattie assurde che non si sa perché vengono ma che comunque sono una discreta rottura di coglioni. Una delle conseguenze della RV è che il raffreddore, un tempo semplice fastidio a cui non facevo neppure caso, sia diventato una catastrofe da evitare a tutti i costi. E io l'ho evitata, sfuggendo l'amica untrice finché intorno a Natale non ce l'ho fatta più e sono andata a salutarla e a portarle il mio regalo. Male me ne incolse. Il subdolo raffreddore aspettava solo quel momento per attaccarmi, e manifestarsi in tutta la sua potenza proprio durante l'interminabile volo transoceanico. 
E allora?, diranno i soliti criticoni che sostengono che mi lagno sempre. Come, e allora? Non lo sapete che non si dovrebbe MAI volare con il raffreddore? E che se PROPRIO siete così sfigati che non potete perdere quella carriolata di soldi che vi è costato il biglietto per spostare il volo a un momento più propizio, dovreste almeno portarvi dietro un decongestionante nasale? Io non lo sapevo (cioè, il decongestionante nasale dal quale non mi separo mai se ne stava al fresco nella stiva). Be', avete presente quella cosa delle caviglie che si gonfiano durante il volo e all'arrivo sembrate un elefante (io almeno, cosa che risolvo con delle apposite calzette)? Be', provate a pensare che vi succeda la stessa cosa al naso. Anzi, no, a tutta la testa. La testa si gonfia all'interno come un pallone e il naso si tappa ermeticamente fino a cessare praticamente di esistere se non come un grosso bulbo pulsante. Tutto questo, nel mio caso, per una dozzina di ore di seguito. Nel frattempo le orecchie si tappano in modo semi-permanente (nel senso che certi allegri siti web dicono che chi vola con il raffreddore potrebbe riportare incurabili danni all'udito) e all'atterraggio fanno un male boia.

Vabbè, vi risparmio il seguito. Mi basta anche per questa volta essere riuscita a mascherare le mie lagnanze da servizio di pubblica utilità. 
NON VOLATE CON IL RAFFREDDORE!