sabato 31 dicembre 2011

Let's dance!/1

Per augurare a tutti un 2012 pieno di gioia e danze, inauguro qui una nuova serie: i classici che mi piace ballare. Cominciamo con un super classico. E buon anno!
  
Benny Goodman: the legendary 1938 Carnegie Hall version of Sing, Sing, Sing.


venerdì 30 dicembre 2011

Ho comprato un orgasmatron

La pubblicità è ingannevole, lo ammetto, visto che il vero Orgasmatron (in italiano "orgasmometro") è quello di Woody Allen nel film The Sleeper (Il dormiglione). Wikipedia menziona anche gli effetti di una cosa chiamata spinal cord stimulator, che però deve essere impiantata chirurgicamente e costa intorno ai 3000 dollari.
Questo aggeggino qui, invece, pur non ottenendo gli effetti promessi da uno dei tanti siti che lo vendono (che lo chiama appunto "orgasmatron"), costa solo 7.36 euro (su Amazon, spese di spedizione comprese), e serve per fare i massaggi alla testa. L'ho provato in aeroporto, quando ho ceduto alla sirena del massaggino shiatsu da dieci minuti pre-imbarco (niente male, lo consiglio). Finito il massaggio, mentre ancora giacevo con la faccia schiacciata nel poggiatesta, la massaggiatrice mi ha appoggiato questo cosino sul cuoio capelluto e ha cominciato a muoverlo delicatamente su e giù. I tentacolini metallici sono ultraflessibili, e l'effetto è quello di tante dita delicatissime che ti accarezzano la testa. Dopo l'arrivo, appena sono stata in grado di connettere, la prima cosa che ho fatto è stata andare su Amazon e comprarmi un orgasm... pardon, uno head massager.


giovedì 29 dicembre 2011

Welcome back!

È la prima volta che entro nel paese con la mia bella Green Card nuova (l'altra volta avevo ancora il famigerato Advance Parole). Naturalmente amici e conoscenti si erano affrettati a raccontarmi storie dell'orrore, del tipo "vedrai, il fatto che sei stata via così tanto ti creerà dei problemi. Vorranno sapere perché una residente lascia il paese per tre mesi, ti faranno un sacco di domande, se fai l'immigration in uno scalo intermedio lascia del tempo per un possibile interrogatorio".

È stato quindi con comprensibile inquietudine, per fortuna smorzata dall'indicibile spossatezza dell'epico viaggio (sveglia alle quattro - fra l'altro inutile perché lo scalo era a Francoforte e non c'era bisogno che arrivassi a Malpensa due ore e mezza prima - partenza per Francoforte in ritardo causa sciopero a Malpensa, con conseguente stress per la paura di perdere la coincidenza - pericolo scampato grazie al pilota tedesco che sicuramente veniva dalla formula uno - e poi undici ore filate di volo), che mi sono accostata al banco dell'Immigration, oltretutto con la borsa piena di frutta, kiwi del vicino di casa e mandarini natalizi, mentre sopra di me il video di benvenuto mostrava riprese di persone fermate e multate perché avevano nel bagaglio frutti proibiti tipo, appunto, mandarini.

Il poliziotto dell'Immigration prende i miei documenti sudaticci e mi chiede quanto tempo sono rimasta in Italia. Eccoci, penso, mentre ripasso storie apocalittiche di parenti malati da raccontare se le cose dovessero mettersi male. "Mmm... dall'inizio di ottobre? Circa tre mesi...?"
Lui mi fa i soliti timbri e mi restituisce i documenti, dicendo: "Welcome back!"
(Anche i mandarini si sono salvati: alla dogana hanno fermato per il controllo bagagli il tizio prima di me.)


martedì 27 dicembre 2011

If you're going to San Franciscooo

... Be sure to leave some food for the birds!



 


E sperando che cince e cinciarelle non soffrano la fame senza di me, domattina alle 9 salirò sull'aereo per San Francisco. Non so cosa diavolo avessi in mente quando ho comprato il biglietto per un volo delle 9 del mattino, cioè per una levataccia alle 4. 
Ci risentiamo appena mi riprendo!

(P.S. La dieta degli uccellini che frequentano il mio balcone: palle di grasso, semi di girasole, croste di formaggio, biscotti secchi e panettone. Niente pane, che si gonfia nello stomaco e può far male.)

lunedì 26 dicembre 2011

What the World Eats

In questi giorni in cui il cibo assume più che mai un ruolo di primo piano, vi segnalo questi articoli di "Time" - parte prima, seconda e terza - intitolati What the World Eats, dove troverete le foto, tutte molto belle, di una trentina di famiglie di altrettanti paesi del mondo davanti a un assortimento dei cibi che consumano, insieme alla loro spesa media settimanale per l'acquisto di vettovaglie (i costi sono aggiornati al 2006, quando è stato pubblicato il libro).

Le foto sono tratte dal libro Hungry Planet, di Peter Menzel e Faith D'Aluisio.

Ecuador: Famiglia Ayme,Tingo. Spesa settimanale: $31.55


Mali: Famiglia Natomo, Kouakourou.Spesa settimanale: $26.39
Bhutan: Famiglia Namgay, Shingkhey. Spesa settimanale $5.03

United States: Famiglia Revis, North Carolina. Spesa settimanale: $341.98
Italia: Famiglia Manzo (!), Sicilia. Spesa settimanale: $260.11

venerdì 23 dicembre 2011

Se siete alti guadagnate di più

Il termine heightism, che si riferisce alla discriminazione basata sulla statura, venne coniato dal sociologo Saul Feldman nello studio del 1971 "The presentation of shortness in everyday life—height and heightism in American society: Toward a sociology of stature". In teoria si riferisce sia alle persone alte sia a quelle basse, ma in pratica la discriminazione si rivolge soprattutto contro i bassi. Negli Usa c'è uno stato, il Michigan, che proibisce esplicitamente lo heightism, e anche due città, Santa Cruz e San Francisco (sempre avanti, la California), vietano questo tipo di discriminazione.

Il pregiudizio colpisce soprattutto sul luogo di lavoro e nelle relazioni sentimentali, ma è interessante vedere questo video, dove per misurare la discriminazione viene chiesto di considerare due uomini di statura molto diversa e indovinare quanto guadagnano. Da una parte si condanna la discriminazione, dall'altra si ribadisce la centralità della ricchezza per valutare il successo di una persona.

giovedì 22 dicembre 2011

Italo Calvino e l'incipit del buonumore

Dopo il misero, ancorché parzialissimo risultato ottenuto dall'Italia nella mia lista dei libri del buonumore, e dopo gli interventi rincuoranti di Maria Sepa e unarosaverde, che mi hanno proposto Achille Campanile e Vamba con il suo Giamburrasca, mi è capitato proprio stasera di rileggere l'incipit di Se una notte d'inverno un viaggiatore e, come sempre quando leggo Calvino, ho ritrovato il buonumore.
 
"Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell'indistinto. La porta è meglio chiuderla; di là c'è sempre la televisione accesa. Dillo subito, agli altri: «No, non voglio vedere la televisione!» Alza la voce, se no non ti sentono: «Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!» Forse non ti hanno sentito, con tutto quel chiasso; dillo piú forte, grida: «Sto cominciando a leggere il nuovo romanzo di Italo Calvino!» O se non vuoi non dirlo; speriamo che ti lascino in pace.
Prendi la posizione piú comoda: seduto, sdraiato, raggomitolato, coricato. Coricato sulla schiena, su un fianco, sulla pancia. In poltrona, sul divano, sulla sedia a dondolo, sulla sedia a sdraio, sul pouf. Sull'amaca, se hai un'amaca. Sul letto, naturalmente, o dentro il letto. Puoi anche metterti a testa in giú, in posizione yoga. Col libro capovolto, si capisce.
Certo, la posizione ideale per leggere non si riesce a trovarla. Una volta si leggeva in piedi, di fronte a un leggio. Si era abituati a stare fermi in piedi. Ci si riposava cosí quando si era stanchi d'andare a cavallo. A cavallo nessuno ha mai pensato di leggere; eppure ora l'idea di leggere stando in arcioni, il libro posato sulla criniera del cavallo, magari appeso alle orecchie del cavallo con un finimento speciale, ti sembra attraente. Coi piedi nelle staffe si dovrebbe stare molto comodi per leggere; tenere i piedi sollevati è la prima condizione per godere della lettura.
[...]
Dunque, hai visto su un giornale che è uscito Se una notte d'inverno un viaggiatore, nuovo libro di Italo Calvino, che non ne pubblicava da vari anni. Sei passato in libreria e hai comprato il volume. Hai fatto bene. Già nella vetrina della libreria hai individuato la copertina col titolo che cercavi. Seguendo questa traccia visiva ti sei fatto largo nel negozio attraverso il fitto sbarramento dei Libri Che Non Hai Letto che ti guardavano accigliati dai banchi e dagli scaffali cercando d'intimidirti. Ma tu sai che non devi lasciarti mettere in soggezione, che tra loro s'estendono per ettari ed ettari i Libri Che Puoi Fare A Meno Di Leggere, i Libri Fatti Per Altri Usi Che La Lettura, i Libri Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D'Aprirli In Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D'Essere Stato Scritto. E cosí superi la prima cinta dei baluardi e ti piomba addosso la fanteria dei Libri Che Se Tu Avessi Piú Vite Da Vivere Certamente Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da Vivere Sono Quelli Che Sono. Con rapida mossa li scavalchi e ti porti in mezzo alle falangi dei Libri Che Hai Intenzione Di Leggere Ma Prima Ne Dovresti Leggere Degli Altri, dei Libri Troppo Cari Che Potresti Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A Metà Prezzo, dei Libri Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili, dei Libri Che Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta, dei Libri Che Tutti Hanno Letto Dunque E' Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu. Sventando questi assalti, ti porti sotto le torri del fortilizio, dove fanno resistenza
i Libri Che Da Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere,
i Libri Che Da Anni Cercavi Senza Trovarli,
i Libri Che Riguardano Qualcosa Di Cui Ti Occupi In Questo Momento,
i Libri Che Vuoi Avere Per Tenerli A Portata Di Mano In Ogni Evenienza,
i Libri Che Potresti Mettere Da Parte Per Leggerli Magari Quest'Estate,
i Libri Che Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri Libri Nel Tuo Scaffale,
i Libri Che Ti Ispirano Una Curiosità Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile.
Ecco che ti è stato possibile ridurre il numero illimitato di forze in campo a un insieme certo molto grande ma comunque calcolabile in un numero finito, anche se questo relativo sollievo ti viene insidiato dalle imboscate dei Libri Letti Tanto Tempo Fa Che Sarebbe Ora Di Rileggerli e dei Libri Che Hai Sempre Fatto Finta D'Averli Letti Mentre Sarebbe Ora Ti Decidessi A Leggerli Davvero.
Ti liberi con rapidi zig zag e penetri d'un balzo nella cittadella delle Novità Il Cui Autore O Argomento Ti Attrae. Anche all'interno di questa roccaforte puoi praticare delle brecce tra le schiere dei difensori dividendole in Novità D'Autori O Argomenti Non Nuovi (per te o in assoluto) e Novità D'Autori O Argomenti Completamente Sconosciuti (almeno a te) e definire l'attrattiva che esse esercitano su di te in base ai tuoi desideri e bisogni di nuovo e di non nuovo (del nuovo che cerchi nel non nuovo e del non nuovo che cerchi nel nuovo).
Tutto questo per dire che, percorsi rapidamente con lo sguardo i titoli dei volumi esposti nella libreria, hai diretto i tuoi passi verso una pila di Se una notte d'inverno un viaggiatore freschi di stampa, ne hai afferrato una copia e l'hai portata alla cassa perché venisse stabilito il tuo diritto di proprietà su di essa."

mercoledì 21 dicembre 2011

martedì 20 dicembre 2011

I libri del buonumore: un parziale elenco per nazionalità


Dopo quattro post sui Libri del buonumore, fra i volumi elencati nei post e quelli suggeriti nei commenti ho già raccolto un discreto numero di libri umoristici (categoria che in certi casi si è un po'  dilatata). Allora mi è venuta voglia di fare un piccolo, parzialissimo elenco per nazionalità, per vedere se avessi almeno in parte rispettato il mio proposito di non essere troppo "anglocentrica". Be', ecco, non proprio. La Gran Bretagna, com'era prevedibile, per ora stravince. Chi mi aiuta a riequilibrare un po' le sorti della letteratura umoristica mondiale? Qualcuno mi suggerisce qualche scrittore asiatico (oltre a Banana Yoshimoto, citata nel primo post) o africano, per esempio?
 

Ecco l'elenco per nazionalità:

Gran Bretagna: 15 (in ordine sparso: Jerome K. Jerome, Wodehouse, McCall Smith, Hamilton-Paterson, Bennett, Durrell, Mitford, Townsend, Beckett, Austen, Nigel Williams, Julia Stuart, Dickens, Lodge, Adams).

Stati Uniti: 6 (Salinger, Capote, Robbins, J. K. Toole, Garrison Keillor, Palahniuk). 

Italia: 3 (Benni, Guareschi, Andrea Vitali).

Francia: 2 (Queneau, Pennac); Cecoslovacchia: 2 (Hrabal, Hašek); Brasile: 2 (Amado, Jô Soares); Russia: 2 (Ilf e Petrov, Nabokov).
 
Irlanda: 1 (Doyle); Cuba: 1 (Ángel Pérez); Germania: 1 (Kästner); Ungheria: 1 (George [György] Mikes (naturalizzato inglese); Giamaica: 1 (Anthony Winkler).

lunedì 19 dicembre 2011

I libri del buonumore/4

The Hitchhiker's Guide to the Galaxy (The Trilogy Of Four) di Douglas Adams

"There is a theory which states that if ever anyone discovers exactly what the Universe is for and why it is here, it will instantly disappear and be replaced by something even more bizarre and inexplicable.
There is another theory which states that this has already happened."
 
Il campione, il più esilarante di tutti. Puro genio. La "Trilogia in quattro parti", che comprende The Hitchhiker's Guide to the Galaxy (1979), The Restaurant at the End of the Universe (1980), Life, the Universe and Everything (1982) e So Long, and Thanks for All the Fish (1984) è un oggetto di culto per molti, me compresa. 
Marvin the Paranoid Android c'est moi.


Un samba per Sherlock Holmes (O Xangô de Baker Street, traduzione dal portoghese di Daniela Ferioli) di Jô Soares. Segnalato dalla traduttrice Laura Prandino, questo romanzo dello scrittore brasiliano manda Sherlock Holmes in sudamerica, dove "la sua inchiesta diventa un'avventura piena di imbarazzanti imprevisti, tra l'attrice Sarah Bernhardt che passeggia sulle spiegge di Rio in costume osé, i litigi dell'imperatore con la gelosissima consorte, i riti di possessione del candomblé, nei quali si troverà invischiato, con effetti esilaranti, il fido Watson. (...) la sola avventura che Conan Doyle, per ovvi motivi, non ha voluto raccontare."

 

The Duppy di Anthony Winkler. Restiamo nel continente americano per proporre un altro consiglio di Laura, un libro di un autore giamaicano che non è stato ancora tradotto e non si capisce perché. 
Winkler racconta la storia di Taddeus Augustus Baps, un quarantasettenne giamaicano che dopo la morte improvvisa diventa un duppy, ossia uno spirito, e delle sue divertenti avventure in un Paradiso del tutto inaspettato.
 




Il professore va al congresso (Small World: An Academic Romance, traduzione dall'inglese di Mary Buckwell e Rosetta Palazzi), di David Lodge. Monica Pareschi (collega e omonima ma non parente) mi segnala "uno qualsiasi di David Lodge", e così ho scelto questo. Una satira sul mondo accademico, popolato da intellettuali o sedicenti tali che passano da un simposio all'altro fingendo interesse scientifico per le materie trattate ma in realtà gozzovigliando a spese dell'università; il tutto inserito in un gioco intellettuale, una rivisitazione delle principali saghe cavalleresche ed epiche, di cui i personaggi rivivono le peripezie, le ricerche, gli scontri, gli amori.


Candido a Cuba (El paseante Cándido, traduzione dallo spagnolo di Maria Nicola), di Jorge Ángel Pérez. E infine torniamo di nuovo nel continente americano per questo gioiellino consigliato da Lucy Van Pelt.
"Il giovane Candido lascia il villaggio in cui è nato per raggiungere L'Avana, armato solo di una prodigiosa bellezza e di una fede incrollabile nella propria buona stella. Nella capitale ritrova il padre e incappa nelle ire della matrigna, conosce ragazze bizzarre e seducenti e deruba una vecchia bigotta, finisce in carcere e viene liberato durante la visita del Papa, diventa famoso quando una sua fotografia, scattata in un postribolo, viene scelta per la pubblicità di una celebre firma. "Candido a Cuba" è la storia barocca e labirintica della scoperta di un mondo da parte di un'anima senza pregiudizi, senza idee innate, senza malizia e senza moralità.

domenica 18 dicembre 2011

Ciao, Cesária

Quest'anno ci hanno lasciato in tanti. Troppi. Adesso anche lei. Ciao, Cesária.





sabato 17 dicembre 2011

Quote of the day: Italo Calvino

"L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è gia qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento  continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."
(da Le citta invisibili)

venerdì 16 dicembre 2011

Seppellitemi in piedi

Riprendo l'argomento "zingari" (e uso questo termine ben sapendo che non è politicamente corretto: i nomi delle etnie presenti in Italia sono rom e sinti. Il nome "nomadi" con cui vengono genericamente chiamati è invece colpevolmente sbagliato e fuorviante: secondo Wikipedia (e non solo), "I rom in Italia spesso vengono chiamati nomadi, benché la maggior parte di loro voglia radicarsi in un territorio (...). La definizione, che contiene una “promessa della temporaneità e della estraneità della comunità dai residenti” costituisce un nesso inscindibile con la discriminazione che subiscono gli 'zingari'. La Commissione Europea contro il Razzismo e l'Intolleranza, nei suoi 'rapporti sull'Italia', ha invitato diverse volte ad abbandonare, nelle 'politiche a riguardo di rom e sinti', il 'falso presupposto che i membri di tali gruppi siano nomadi', in base ai quali viene attuata 'una politica di segregazione dal resto della società', con l'istallazione di 'campi nomadi', concepiti in base al principio della presenza temporanea dei rom, in molti casi senza accesso ai servizi più basilari, favorendo la deresponsabilizzazione delle amministrazioni locali dal dover fornire servizi scolastici e sociali finalizzati all'integrazione.") per segnalare un libro molto bello, già a partire dal titolo: Bury Me Standing di Isabel Fonseca, uscito nel 1996. Si tratta di un reportage in cui l'autrice racconta dei quattro anni da lei vissuti con le comunità zingare dell'Europa orientale, facendo luce su un mondo pressoché sconosciuto e spesso disprezzato.


In italiano il libro si intitola Seppellitemi in piedi ed è tradotto da Maura Pizzorno. Così viene descritto sul sito dell'Associazione Italia-Bulgaria: "'Seppellitemi in piedi. Sono restato in ginocchio per tutta la vita': è l'appello che uno zingaro, stanco delle vessazioni a cui il suo popolo è sottoposto, rivolge a Isabel Fonseca, giunta al termine di un viaggio tra le comunità rom dell'Europa dell'Est, alla scoperta di tante diverse realtà. Una ricerca itinerante presentata al lettore sotto forma di diario: dal ghetto dei rom albanesi alla situazione di relativo benessere conquistata dagli zingari bulgari, alle vere e proprie persecuzioni subite in Romania, dove le difficili condizioni di vita hanno ulteriormente identificato questo popolo con lo straniero, il diverso, l''altro' da combattere. L'universo che ci viene rivelato appare nascosto e indecifrabile per un 'gajo' (un non zingaro): i rom non si riconoscono in una storia collettiva da tramandare, ma in una serie di miti e leggende in cui la verità è semplicemente la versione più accattivante di un fatto forse accaduto. Il passato è narrativizzato e confuso con il presente, e la memoria storica, inesistente, lascia il posto all'affabulazione. L'identità non deriva quindi dall'appartenenza a un popolo, ma piuttosto dall'identificazione con piccoli clan, dalla lingua più o meno condivisa, il 'romane', e da usanze e rituali che escludono l'esterno come impuro, rendendolo la disinformazione dei 'gaje' un punto di forza e coesione. Le foto che accompagnano il testo sono la finestra a cui ci affacciamo per conoscere il volto di una comunità: il Kinostudio, il ghetto albanese nel quale vive la famiglia Duka; Antoinette, una rom bulgara che da sempre vorrebbe appartenere al mondo 'bianco'; e la tredicenne Emilia, nel giorno del suo 'ceiz', la presentazione dei regali per il suo matrimonio; o la famiglia di Luciano, il bambino morto per non essere stato curato dai medici 'gaje' rumeni."

giovedì 15 dicembre 2011

Una bella storia di solidarietà: i rom di via Rubattino

In questi giorni funestati da orribili episodi di razzismo, vorrei ricordare una bella storia successa un paio d'anni fa a Milano. Molti di voi la conosceranno già, ma trovo che valga la pena di essere ricordata.

Come racconta Marco Impagliazzo, il presidente della Comunità di Sant’Egidio, nell'introduzione al libro I rom di via Rubattino, uscito quest'anno per le edizioni Paoline:
"Milano, 19 novembre 2009: la baraccopoli di via Rubattino, occupata da circa trecento rom, viene sgomberata dalle forze dell’ordine. Per la prima volta, si crea una mobilitazione di cittadini in favore dei rom: alcuni milanesi aprono la porta della propria casa per dare ospitalità ad alcune famiglie che non avrebbero alternative reali alla strada.
Questo libro racconta la straordinaria avventura di incontro, solidarietà, amicizia tra un quartiere di Milano e i rom, avventura iniziata con l’iscrizione a scuola di alcuni bambini rom da parte della Comunità di Sant’Egidio. La scuola si è rivelata infatti il primo luogo di integrazione, non facile ma possibile.
La storia dei rom di via Rubattino ha risvegliato pensieri e azioni di solidarietà anche in altri quartieri di Milano e in altre città. La rete di simpatia, buon senso, generosità, voglia di cambiare che ha circondato i rom di via Rubattino ha molto da dire al clima di antigitanismo che sembra crescere in Europa."

Qui e qui potete guardare un servizio su quella storia, con una bella intervista a Flaviana Robbiati, una delle maestre di via Rubattino e una delle autrici del libro, che dice quello che dicono sempre tutti i giusti: "non abbiamo fatto niente di straordinario. Chiunque, al nostro posto, si sarebbe comportato così".
In momenti come questo vorremmo tanto credere che fosse vero.

mercoledì 14 dicembre 2011

Un'anticipazione di "Venivamo tutte per mare"

Eccolo qui, finalmente in uscita! Il 12 gennaio arriva nelle librerie "Venivamo tutte per mare", il "mio" amatissimo romanzo di Julie Otsuka di cui ho già parlato qui, qui e qui.
Qui trovate la descrizione del romanzo, una breve intervista in cui l'autrice racconta come è nato il libro, una rassegna stampa, e soprattutto un file pdf con le prime quindici pagine del libro, che comincia così:

"Sulla nave eravamo quasi tutte vergini. Avevamo i capelli lunghi e neri e i piedi piatti e larghi, e non eravamo molto alte. Alcune di noi erano cresciute solo a pappa di riso e avevano le gambe un po’ storte, e alcune di noi avevano appena quattordici anni ed erano ancora bambine. Alcune di noi venivano dalla città e portavano abiti cittadini all’ultima moda, ma molte di più venivano dalla campagna, e sulla nave portavano gli stessi vecchi kimono che avevano portato per anni – indumenti sbiaditi smessi dalle nostre sorelle, rammendati e tinti più volte. Alcune di noi venivano dalle montagne e non avevano mai visto il mare, tranne che in fotografia, e alcune di noi erano figlie di pescatori che conoscevano il mare da sempre. Forse il mare ci aveva portato via un fratello, un padre o un fidanzato, o forse un triste mattino una persona cara si era buttata in acqua e si era allontanata a nuoto, e adesso anche per noi era arrivato il momento di voltare pagina. Sulla nave la prima cosa che facemmo – prima di decidere chi ci piaceva e chi no, prima di raccontarci a vicenda da quale isola venivamo e perché eravamo partite, e anche prima di impegnarci a imparare i nomi delle altre – fu confrontare le fotografie dei nostri mariti. Erano bei giovanotti con gli occhi scuri, i capelli folti e la pelle liscia e perfetta. Avevano il mento forte. Un bel portamento. Il naso dritto e pronunciato. Somigliavano ai nostri fratelli e padri rimasti a casa, però erano vestiti meglio, con redingote grigie ed eleganti, completi tre pezzi, all’occidentale. Alcuni di loro erano in posa sul marciapiede, davanti a case di legno dal tetto spiovente con lo steccato bianco e il praticello ben curato, e alcuni nel vialetto d’accesso, appoggiati a una Ford Model T. Alcuni sedevano su una sedia dall’alto schienale rigido nello studio del fotografo, le mani giunte con compostezza e lo sguardo fisso nell’obiettivo come se fossero pronti a sfidare il mondo. Tutti quanti avevano promesso di venire a prenderci a San Francisco, il giorno del nostro arrivo al porto. Sulla nave ci chiedevamo spesso: ci piaceranno? Li ameremo? Li riconosceremo dalle foto, quando li vedremo per la prima volta sul molo?"

martedì 13 dicembre 2011

Un altro aneddoto di traduzione: il wedgie

A quanto pare finisco spesso per raccontare aneddoti di traduzione che hanno a che fare con parolacce. Dopo l'aficasìa di Junot Díaz e la fuck-accia di Jonathan Franzen (che è finita anche sul sito del Dizionario Zanichelli), qualche giorno fa, traducendo questo, mi sono imbattuta nella seguente frase:
"He was out cold when we got there, beaten unconscious with his helmet on, his stick and gloves missing. We were no experts at forensics, but we knew immediately that he'd been worsted. And because he was suspended by his underwear from one of the bolts on the swing set, we also knew that a wedgie had been administered along the way."
Il povero bambino aveva subito un wedgie, ossia quello scherzaccio  in cui qualcuno arriva da dietro e tira su con forza le mutande del malcapitato, in modo da infilargliele dolorosamente fra le natiche.
Wikipedia elenca una serie di varianti sul wedgie di base, come il Melvin (detto anche Minerva se praticato su una donna), in cui le mutande vengono tirate su dal davanti (pericoloso); l'Atomic Wedgie, in cui l'elastico delle mutande viene tirato su fin sopra la testa, e lo Hanging Wedgie, in cui la vittima viene appesa per le mutande: il caso specifico di cui si parla nel racconto. 
Questa volta, per risolvere il problema, ho deciso di chiedere aiuto su facebook. I primi consigli che ho ricevuto mi rimandavano alla versione italiana dei Simpson o di film come American Pie, dove la parola wedgie viene tradotta con "smutandata". Ora, in passato mi era già capitato di usare il termine "smutandata" per tradurre wedgie, e tuttavia mi restavano dei dubbi sull'accuratezza di tale traduzione. A me "smutandata" fa venire in mente una persona senza mutande, idea confermata da siti sulla lingua gergale come questo (che mi davano "smutandata" come "allegra ragazza dalla mutandina facile e senza pudore", oppure "sinonimo di spogliarello") ma anche da colleghe come Valentina Daniele, che nei commenti al mio post mi spiega che "'smutandare' a Roma significa 'mettere in mutande', far fare una figuraccia".
I commenti su facebook continuano ad arrivare, e a un certo punto parte un dialogo fra altri due colleghi, Costanza Prinetti e Piero Ambrogio Pozzi, nel quale si arriva, passando per "infraculo" [sinonimo di tanga, N.d.T] al commento definitivo di Piero: "... nel quale lo chiamano 'sparticulo'".
E allora eccola qui, come diceva Calvino, la parola unica e perfetta: d'ora in poi il wedgie sarà... lo sparticulo!

lunedì 12 dicembre 2011

Sign Language

Vi segnalo Sign Language, la rubrica del "Telegraph" che da anni raccoglie ogni settimana "the most inappropriate, confusing, poorly translated and mind-bogglingly bizarre signs from around the world". Le foto, inviate dai lettori, sono suddivise per categorie, da Restaurant Menus a Toilet Humour, da Road signs a Animals. Sono centinaia e tutte  meravigliose.

Ah, e questo è il mio personale contributo.


domenica 11 dicembre 2011

I ♥ Torino

Piccolo spiriti blu, di Rebecca Horn, sul Monte dei Cappuccini (www.comune.torino.it.)
Io lo dico sempre, agli americani. Quando attaccano con la solfa "Ooooh, I loooove Italy! I've been to Rome-Florence-Venice", io glielo dico. Okay, Rome-Florence-Venice è da vedere, in proporzioni variabili secondo me, e se potete evitate l'estate. Rimanete sempre nel centro storico e chiudete gli occhi quando passate dalle periferie orrende, ma questo cosa ve lo dico a fare, tanto gli occhi li chiudete comunque. E in ogni caso, una volta che vi siete tolti l'indispensabile, le tre città-mito e poi naturalmente anche la Toscana, andate a scoprire qualche angolo meno battuto dai turisti. Andate a Genova, santoddio. Andate a Matera. Andate a Palermo. Andate a Torino.
Torino, con la sua metropolitana-gioiellino tutta pulita, quasi giapponese, senza volgari cartelloni pubblicitari. Torino che ha un sacco di librerie e di cinema, e anche un museo del cinema e un festival del cinema e un salone del libro. Torino che sembra un po' protestante, con la sua gente quieta e gentile, che ama la propria città e ti accompagna fino all'angolo della via per indicarti la strada. Torino con la sua architettura maestosa ma sobria, con le sue insegne antiche, i caffè un po' viennesi un po' parigini, il cioccolato, il barolo chinato e la bagna cauda. Potrei andare avanti per molto (l'arte contemporanea, i parchi, l'hammam Villa Khamsa...), invece concludo con una foto. Eravamo a passeggio per la città, avevo appena comprato questo bellissimo libro in una bancarella di libri usati, quando abbiamo sentito una strana musica. Entrando in un cortile ci siamo trovati davanti questo:

 

Si tratta di "Bwindi Light Masks", di Richi Ferrero, una delle opere della manifestazione Luci d’Artista. Quaranta maschere provenienti da una zona fra il  Congo e l'Uganda, collocate nella cornice del cortile di Palazzo Chiablese e abbinate ai suoni bivocali dei Tuva. Un'immagine stranissima, quasi spettrale (su Youtube potete vedere il video). Forse però la mia luce d'artista preferita rimane ancora Piccoli spiriti blu di Rebecca Horn, nella foto che vedete qui in cima.

sabato 10 dicembre 2011

Quote of the day: Cesare Pavese

A Giulio Einaudi, Torino.
Torino, 14 aprile 1942 
Spettabile Editore,

Avendo ricevuto n. 6 sigari Roma del che Vi ringrazio e avendoli trovati pessimi, sono costretto a risponderVi che non posso mantenere un contratto iniziato sotto così cattivi auspici. Succede inoltre che i sempre rinnovati incarichi di revisione e altre balle che mi appioppate, non mi lasciano il tempo di attendere a più nobili lavori. Sì, Egregio Editore, è venuta l’ora di dirVi, con tutto il rispetto, che fin che continuerete con questo sistema di sfruttamento integrale dei Vostri dipendenti, non potrete sperare dagli stessi un rendimento superiore alle loro possibilità.
C'è una vita da vivere, ci sono delle biciclette da inforcare, marciapiedi da passeggiare e tramonti da godere. La Natura insomma ci chiama, egregio Editore; e noi seguiamo il suo appello.
Fatevi fare il Bini da un altro.

Cordialmente.                                                                                                                                                                                                                                             C. Pavese

Casare Pavese, Lettere 1926-1950

venerdì 9 dicembre 2011

Meet my husband/10: Jonathon Keats and The Copernican Art Manifesto

"Maybe we invented him. He’s that unlikely, you know", says Bruce Sterling of Jonathon Keats in his Wired blog Beyond the Beyond, where he often talks about Mr. Keats' work under the headline "The latest from Jonathon Keats".
This time Mr. Sterling was talking about The First Copernican Art Manifesto, an exhibition that took place at Modernism Gallery in San Francisco on October 20th, and presented art made in accordance with Copernican principles. What does it mean? According to Mr. Keats, quoted by Mr. Sterling: "'After millennia of egocentric navel-gazing, astronomers learned from Copernicus that there’s nothing special about us. We’re on an average planet in a typical galaxy, and that’s to our advantage because it lets us assume that whatever we observe here, like the speed of light or the forces within atoms, will be the same everywhere.' In other words, scientists can make generalizations about the entire cosmos without ever leaving home, because everything about our home is perfectly mediocre."


 
Copernican Art has attracted quite a bit of attention.
Zyzzyva ha reprinted the Manifesto, which you can read above in its poster form.
Underwire, another Wired blog, explains: "Keats’ exhibit shows paintings, music, sculptures, and even cuisine completely blending in — rather than standing out as artifacts for the ages. (...) 'My paintings are the average color of the universe as perceived by eyes adjusted to darkness, which technically has the CIELab coordinates 97.7, -0.5, 9. — in lay terms, beige,' Keats said. 'My sculpture is hydrogen gas, the typical material composition of the universe. My music has the gross entropy of the universe — 2.6±0.3 x10^122 k, or approximately 25 percent of the total possible disarray. I’ve taken J.S. Bach’s The Well-Tempered Clavier (a Ptolemaic masterpiece if ever there was one) and randomized one quarter of its notes [in the article you can listen to an example of entropic music]. In the realm of cuisine, where a Ptolemaic inclination toward unique flavors is on the upswing, I’ve developed a universal anti-seasoning, which can be added to any dish to make it as bland as our homogeneous universe.'"

Scientific magazines have shown interest in the Copernican Art, from Science to New Scientist ("Even if a Copernican revolution never gains a foothold in the art world, at the very least, he’s created an opportunity for viewers to challenge their assumptions about the world. 'The real work is nothing that I do', Keats says. 'The real work is the discussion that comes about as a result of what I’ve done.'")

The Atlantic has published an interview with many pictures, including the one of the gaseous sculptures that I have reposted here.
Indeed, as Mr. Keats writes in his Manifesto, partially republished by The Wall Street Journal, "Sculpture must have the predominant composition of the universe. Let it be gaseous."


Religious publications also got interested, like Science and Religion Today, which wonders "Why Does Art Need to Be Aligned With Copernican Principles?"

If you want to listen to Mr. Keats explaining his work, here's the Colin McEnroe show on WNPR (Mr. McEnroe has covered other Keats' projects, such as the Quantum Entanglements and some of his plant projects).

And here is a link to the Space.com article, where Mr. Keats, asked if his own version of Bach might "drive him batty", answered: ""I was already pretty far gone before the music even started," he said. "That's the great pleasure of working in this vein, is that you can let yourself go into these realms that are not generally excusable in society." 

giovedì 8 dicembre 2011

Una gita nell'Alta Langa Astigiana, ovvero le nocciole di Frittole

Cessole
Avevamo un regalo da sfruttare, una notte in un agriturismo a scelta. Così abbiamo scelto le Langhe, e nello specifico l'Alta Langa Astigiana, in val Bormida. Dopo il solito deprimente fondovalle pieno di capannoni di tanta provincia italiana, a un certo punto si scollina e... si arriva in un posto che sembra fuori dal tempo. Il paesino si chiama Cessole, ma potrebbe anche chiamarsi Frittole. Vigne, naturalmente, ma anche tanti noccioli e un gran silenzio. Spero tanto che i costruttori di capannoni e di villini del geometra non trovino mai la strada di Cessole.

Se voi la trovate, invece, potreste provare il posto dove siamo stati noi, un bio-agriturismo aperto da una coppia fuggita dalla città che ha preso un vecchio casolare in rovina e ha fatto un bel lavoro di ristrutturazione "sostenibile": energia da pannelli solari, cibo biologico, vino e nocciole di loro produzione.
La vista dall'agriturismo
Le nocciole delle Langhe (varietà tonda gentile: quelle della Nutella, per intenderci) fino a dopo la seconda guerra mondiale costituivano un'importante fonte di sostentamento per le famiglie, che ne ricavavano un olio prezioso per chi non poteva permettersi quello d'oliva. Tra le preparazioni più semplici c'è la squisita torta di nocciole, "la regina delle Langhe". La ricetta tradizionale, che trovate qui, non prevede l'uso di farina in aggiunta alle nocciole, ma solo zucchero e uova.

Da Fritt... pardon, Cessole, sarete anche vicini al paesino di Loazzolo, sede dell'oasi WWF Forteto della Luja, dove potrete comprare dell'ottimo vino e vedere un panorama fantastico.
La vista dall'oasi del WWF