giovedì 28 novembre 2013

Il ginocchio della lavandaia

"Eravamo in quattro: George, e William Samuel Harris, e io, e Montmorency. Ce ne stavamo seduti in camera mia, fumando e parlando di quanto eravamo mal ridotti... dal punto di vista medico voglio dire naturalmente.
Ci sentivamo tutti malaticci, e cominciavamo a essere molto innervositi per questo. Harris disse che veniva preso, a volte, da attacchi di capogiro talmente forti che non sapeva quasi più quel che stava facendo; subito dopo, George disse che anche lui aveva attacchi di capogiro e non sapeva quasi quel che faceva. Quanto a me, era il fegato a essere fuori di posto. Ero certo che fosse il fegato a essere fuori di posto perché avevo appena letto il volantino pubblicitario di una specialità medicinale che elencava nei particolari vari sintomi mediante i quali un uomo poteva capire se il suo fegato fosse fuori di posto. Io li avevo tutti.
È una circostanza davvero straordinaria, eppure non ho mai letto la pubblicità di una specialità medicinale senza pervenire, irresistibilmente, alla conclusione di soffrire della particolare malattia che essa cura, e nella forma più virulenta.
La diagnosi sembra ogni volta corrispondere esattamente a tutte le sensazioni che ho sempre provato.
Rammento di essermi recato, un giorno, al Museo Britannico per leggere come si curasse una lieve indisposizione dalla quale ero stato colpito in forma leggera: la febbre del fieno, mi sembra che fosse. Ritirai il libro e lessi tutto quel che v'era da leggere; poi, in un momento di balordaggine, sfogliai pigramente le pagine e cominciai, con indolenza, a studiare le malattie in generale. Non rammento quale fu il primo morbo nel quale mi immersi – qualche flagello pauroso e devastatore, questo lo so – e prima ancora di essere arrivato a metà dell'elenco dei "sintomi premonitori", sorse in me la persuasione di esserne affetto in pieno.
Per qualche momento rimasi paralizzato dal terrore; poi, nell'apatia della disperazione, ricominciai a sfogliare le pagine. Capitai alla febbre tifoidea: lessi i sintomi e scoprii di avere la febbre tifoidea: mi resi conto che dovevo averla avuta da mesi senza rendermene conto e mi domandai da quali altre malattie fossi affetto; passai al ballo di San Vito: constatai – come mi ero aspettato – di avere anche quello; e cominciando a interessarmi al mio caso, decisi di essere meticoloso e di sondare fino in fondo. Pertanto ricominciai in ordine alfabetico, lessi la voce asma e venni a sapere che covavo la malattia e che lo stadio acuto sarebbe cominciato di lì a una quindicina di giorni. Quanto al morbo di Bright – fu un sollievo constatarlo – lo avevo soltanto in forma attenuata e, sotto questo punto di vista, potevo vivere ancora per anni. Dal colera ero già stato colpito, con gravi complicazioni; passando poi alla difterite, dovevo essere nato con essa, a quanto pareva.
Continuai coscientemente per tutte le ventisei lettere dell'alfabeto, e la sola malattia che riuscii a concludere di non avere fu il ginocchio della lavandaia.
A tutta prima mi risentii alquanto per questo; sembrava trattarsi, in qualche modo, di una sorta di ingiustizia. Perché non avevo il ginocchio della lavandaia? Perché questa invidiosa eccezione? Dopo qualche tempo, tuttavia, prevalsero sentimenti meno avidi. Mi dissi che ero affetto da ogni altro morbo noto alla farmacologia, divenni meno egoista e decisi di fare a meno del ginocchio della lavandaia. La gotta, nel suo stadio più maligno, a quanto pareva mi aveva colpito senza che io ne fossi consapevole; e di zimosi, evidentemente, soffrivo sin dalla fanciullezza. Dopo la zimosi non esistevano altre malattie e così pervenni alla conclusione che non v'era altro di anormale in me.
Rimasi seduto, cogitando. Quale caso interessante dal punto di vista medico ero diventato, pensai. Quanto sarei stato prezioso per un corso di medicina! Disponendo di me, gli studenti non avrebbero
avuto alcuna necessità di "fare il giro negli ospedali". Ero io stesso un ospedale. Sarebbe bastato che facessero un giro intorno a me e, subito dopo, avrebbero ottenuto la laurea.
Poi mi domandai quanto tempo avessi ancora da vivere. Cercai di visitare me stesso. Mi tastai il polso. A tutta prima non riuscii affatto a sentirlo. Poi, all'improvviso, parve mettersi in moto. Tolsi dal taschino l'orologio e controllai. Erano centoquarantasette pulsazioni al minuto. Cercai di sentirmi il cuore. Non funzionava più. Aveva smesso di battere. In seguito sono stato indotto a concludere che doveva essere rimasto sempre al suo posto, e che stava battendo; ma non so spiegare come fu. Mi palpai dappertutto sul davanti, da quella che si suol chiamare la "vita" fino alla testa, e mi spinsi anche un po' più in là a ciascun lato, e un pochino all'insù sulla schiena. Ma non riuscii a sentire o a udire un bel niente. Cercai di esaminarmi la lingua. La tirai fuori il più possibile, poi chiusi un occhio e mi sforzai di guardarla con l'altro. Riuscii a scorgere soltanto la punta, e potei dedurne una sola cosa: divenni ancor più sicuro di prima di avere la scarlattina.
Ero entrato in quella sala di lettura sano e felice; quando ne uscii, sembravo un decrepito relitto umano."

Da Tre uomini in barca, di Jerome K. Jerome. Traduzione di Bruno Oddera.




martedì 26 novembre 2013

Cronache della tiroide/1

Tutto è cominciato a metà ottobre, durante la visita all'oasi naturalistica della Nature Conservancy a Santa Fe. Una passeggiatina corta, eppure all'arrivo avevo il fiatone. Sarà l'altitudine, ho pensato, visto che Santa Fe è a più di 2000 metri slm. Poi più niente per un po', finchè, tornata a casa, non mi sono accorta che mi veniva il fiatone anche a salire le scale. Vero che sono sportiva come un bradipo in letargo, però mi è sembrato un po' strano. Avevo anche le caviglie gonfie, cosa che in genere mi succede solo quando fa caldo, e comunque si trattava di un gonfiore un po' diverso. Una nuotata in piscina mi ha dato la conferma che qualcosa non andava: vero che lo stile libero non è mai stato il mio forte, ma qui ansimavo come una locomotiva e sentivo il cuore uscirmi dalle orecchie.
Il medico di base mi prescrive una spirometria e una visita dal cardiologo, in fretta. L'appuntamento all'ospedale me lo danno per tre giorni dopo, lunedì. Lo pneumologo mi mette una molletta sul naso e mi fa respirare dentro un tubo di cartone tipo quelli della carta igienica. Ripete la prova tre volte, scrollando la testa. Il risultato è che ho circa il 50% di capacità vitale, come la chiamano loro. Cioè, a quanto pare i miei polmoni funzionano a metà regime. Già non è bello sentirselo dire, se poi ti dicono anche che hai la "capacità vitale" ridotta della metà, l'effetto non è proprio rassicurante. Lo pneumologo mi prescrive altre analisi e mi dice di andare in fretta da un cardiologo. E così il sabato mi presento dal cardiologo, un signore gentilissimo che vede il mio elettrocardiogramma e si spaventa. "Ma lei non lo sente, il suo cuore?" Certo che lo sento, soprattutto davanti al secondo medico che mi guarda spaventato. Mi fa un'ecocardiografia e mi fa vedere quel poveraccio del mio cuore, che batte così forte che sembra voler saltar fuori per andare a correre una maratona. 140 battiti al minuto. La cosa positiva è che mi fa un'altra spirometria, in cui la mia capacità vitale risulta del 75%. Qualunque cosa sia, mi dice, possiamo quasi escludere i polmoni. Quanto alla tachicardia, secondo lui è causata all'80% da un ipertiroidismo, "che con questi sintomi è decisamente la cosa migliore che le possa capitare". Poi mi dice: "Mi sembra un po' agitata. Lei è una persona emotiva, vero?"
Mi prescrive dei betabloccanti per rallentare il cuore (quelli che prendeva Glenn Gould per avere le mani fermissime quando suonava il pianoforte) e mi prenota una serie di analisi urgenti all'ospedale, il lunedì successivo. "Cominci subito a prenderli", mi dice. "Ce la fa ad arrivare fino a lunedì?" La visita si conclude con il medico che esce e dice a mia madre che mi sta aspettando fuori: "Dovrebbe finire bene".

[1/Continua. Avvertenza: se avete delle storie liete da raccontarmi sui miracoli della medicina moderna, fate pure. Se invece avete una storia non lieta, vi prego di astenervi dal commentare. Mi sono già spaventata abbastanza.]

domenica 24 novembre 2013

Miles in the Sky: ascolti di Miles Davis

Venerdì sera, nell'ambito della ricchissima Bookcity, siamo andati alla presentazione del libro Miles Davis. La storia illustrata (AAVV, trad. di Michele Piumini).
Quello che mi attirava era soprattutto la promessa di "ascolti musicali tratti dall’opera del grande musicista americano", proposti da Enrico Merlin, chitarrista e autore di Bitches Brew. Genesi del Capolavoro di Miles Davis. Ascolti guidati, cioè, alcuni da registrazioni inedite, condotti con maestria e grande presenza scenica da Merlin, che è riuscito in a trascinare il pubblico con la musica ma anche con gustosi aneddoti sul sommo Miles, di cui lui è uno dei massimi esperti mondiali. Mi ha ricordato le bellissime lezioni del grande maestro Carlo Boccadoro che seguivo alla scuola Holden, e mi ha fatto venire una gran voglia di seguirne altre. Perché dopo essere stati guidati per mano nella comprensione di questi capolavori, si sente di poter apprezzare e gustare meglio tutta la musica. Di Merlin, un critico musicale con cui chiacchieravo alla fine della serata mi ha consigliato Mille dischi per un secolo, che "malgrado il titolo" (come dice lui), è davvero un ottimo libro.
Qui sotto vedete una foto della serata, con Merlin che parla e Mr K che ascolta.

P.S.: mi hanno mandato una foto dove ci sono anch'io.

 

giovedì 21 novembre 2013

Don DeLillo: Running Dog

Arrivo sempre tardi per i compleanni. Quello di Don  DeLillo era ieri (è nato il 20 novembre del 1936), ma ciò non mi impedisce di fargli gli auguri citando l'incipit di un suo romanzo che ho tradotto nel 2006, Running Dog.


"Non troverai gente normale, qui. Non dopo il tramonto, in queste strade, sotto le antiche tettoie dei magazzini. Questo lo sai, naturalmente. È chiaro. Altrimenti non saresti venuto. Il vento soffia a raffiche dal fiume, alzando la polvere dei cantieri di demolizione. Vicino alle banchine, i vagabondi accendono il fuoco dentro fusti di petrolio arrugginiti. Si stringono gli uni agli altri, infagottati nei cappotti, nei maglioni di seconda mano o in qualunque combinazione di indumenti siano riusciti a procurarsi. Ci sono camion parcheggiati vicino ai magazzini, alcuni occupati da uomini che fumano al buio, in attesa degli omosessuali che escono dai bar oltre Canal Street. Allunghi il passo, ma non cerchi riparo dal freddo. Ti piace quel vento che soffia sempre più forte. Giri l’angolo e lo affronti per un istante, sentendo con piacere la forma delle cosce contro la stoffa tesa del vestito. Vetri rotti scintillano come mica bianca nei terreni vuoti. Stasera il fiume ha un forte odore di muschio.
Ora, a est, vedi quattro lettere tracciate con la vernice spray sul lato di un edificio. Uno scarabocchio senza senso. ANGW. Ma ha qualcosa di familiare, scava un buco nel tempo. Ed ecco che ti torna alla mente, da una distanza di più di vent’anni. La gita a Salisburgo. I cugini, i giochi, il museo. Quattro lettere incise su un’alabarda da cerimonia. La spiegazione di tuo padre: Alles nach Gottes Willen.
Da allora le armi sono diventate empie. Hanno perso la fede. E i bambini sono cresciuti, scoprendo di aver percorso singolari distanze. Ora è imminente, lo senti, qualcuno ti aspetta dietro l’angolo, una contrattazione silenziosa che non ha nulla a che vedere con merci o servizi; solo ciò che siete realmente, anime che si aggirano nella notte concludendo accordi. Un’oscura esaltazione cresce a ogni passo.
Tutto secondo la volontà di Dio. Il Dio del Corpo. Il Dio del Rossetto e della Seta. Il Dio del Nylon, del Profumo e dell’Ombra."



martedì 19 novembre 2013

L'effetto Bergman

Nel bel libro di David Bellos Is That a Fish in Your Ear di cui vi ho parlato tempo fa (QUI, per esempio, e poi QUI e anche QUI), e che purtroppo a nessun editore è venuto in mente di pubblicare in italiano, si parla del cosiddetto "Bergman effect". I limiti formali della traduzione dei film - nel caso in cui vengano usati i sottotitoli, cioè in buona parte del resto del mondo fuori dell'Italia - hanno talvolta importanti effetti retroattivi sull'opera originale. I registi che dipendono dal mercato estero sanno bene che la lingua parlata non può venire completamente ed efficacemente trasposta nei sottotitoli. E qualcuno, piuttosto che accettare questo limite, prende decisioni drastiche.
E così, scrive Bellos, "Ingmar Bergman girò due tipi di film molto diversi: allegre commedie con tanti dialoghi per il mercato svedese, e drammi cupi e poco loquaci per il resto del mondo. La diffusa immagine degli svedesi come persone depresse e poco comunicative è in una certa misura un sottoprodotto di una scelta bergmaniana: quella di tenere in considerazione i limiti dei sottotitoli nella composizione dei suoi film più ambiziosi. Si chiama 'effetto Bergman' e si può osservare anche nei primi film di István Szabó e Roman Polanski."

domenica 17 novembre 2013

Luke Winslow King che non ho fotografato

 
Sì, proprio così. Perdo colpi. La colpa sarà le mie ultimi vicissitudini tiroidee che mi fanno pensare solo a mangiare, ma ieri sera sono andata al concerto di quel grandissimo pezzo di gno... ehm, del bravissimo Luke Winslow King, accompagnato dalla bella e brava Esther Rose alla tavola per lavare e al ferro di cavallo, e dai mitici fratelli Luti alla chitarra e al basso che sembravano usciti da un film dei fratelli Cohen, e non ho portato la macchina fotografica. Ed ero seduta in seconda fila! 
Spero che sul blog del festival mettano presto qualche foto e magari anche un video, perché il concerto è stato molto divertente, lui ha una grande... ehm, presenza scenica ed è anche simpatico, pur essendo sempre vestito malissimo (Mr K dice che è uno stile "thrift-store hipster", ma non capisco: nei thrift store non vendono vestiti della taglia giusta?). E naturalmente hanno cantato Ella Speed.

venerdì 15 novembre 2013

Il Maestro e Margherita videro l'alba promessa



Zinaida E. Serebrjakova, Autoritratto.
Il Maestro e Margherita videro l’alba promessa. Essa cominciò subito, immediatamente dopo la luna di mezzanotte. Il Maestro camminava con la sua compagna nello splendore dei primi raggi mattutini attraverso un muschioso ponticello di pietra. Lo attraversarono. Il ruscello restò alle spalle dei fedeli amanti, ed essi andarono lungo una strada sabbiosa.
— Ascolta la quiete, — diceva Margherita al Maestro, e la sabbia frusciava sotto i suoi piedi nudi, — ascolta e godi ciò che non ti hanno mai concesso in vita: il silenzio. Guarda, ecco là davanti la tua casa eterna, che ti è stata data per ricompensa. Già vedo la trifora e la vite che s’attorce e s’alza fino al tetto. Ecco la tua casa, la tua casa eterna. So che alla sera ti verranno a trovare coloro che tu ami, che ti interessano e che non ti inquieteranno. Suoneranno per te, canteranno per te, vedrai che luce ci sarà nella camera quando saranno accese le candele. Ti addormenterai, col tuo berretto consunto ed eterno, ti addormenterai col sorriso sulle labbra. Il sonno ti rinvigorirà e saggi saranno i tuoi pensieri. E mandarmi via ormai non potrai. Il tuo sonno lo proteggerò io.
Cosí parlava Margherita, seguendo il Maestro verso la loro casa eterna, e al Maestro parve che le parole di Margherita fluissero come fluiva e bisbigliava il ruscello lasciato alle spalle, e la memoria del Maestro, l’inquieta e martoriata memoria del Maestro cominciò a spegnersi. Qualcuno lo lasciava libero, come poco prima egli aveva lasciato libero l’eroe da lui creato. Questo eroe era scomparso, era scomparso irrevocabilmente, perdonato nella notte tra il sabato e la domenica, il figlio del re astrologo, il crudele quinto procuratore della Giudea, il cavaliere Ponzio Pilato.

Da Il Maestro e Margherita, di Michail Bulgakov, traduzione di Vera Dridso

mercoledì 13 novembre 2013

Bohemian Life Sucks: my interview on Zyzzyva

 
That's not the real title of the interview, it's the last line. But I've been wanting to use it for a long time. Ilaria Varriale interviewed me for the literary magazine Zyzzyva, and it's one of the best interviews I've ever had. I talk about Jonathan Franzen, Junot Díaz, Boris Pasternak and much more. Enjoy!

Balancing Being Herself and Being True to the Author: Q&A with Silvia Pareschi

martedì 12 novembre 2013

Happy birthday Mr. Vonnegut!

(Era ieri, ma non credo che gli dispiacerebbe ricevere gli auguri in ritardo.)

"Electronic communities build nothing. You wind up with nothing. We are dancing animals. How beautiful it is to get up and go out and do something. We are here on Earth to fart around. Don't let anybody tell you any different."
Kurt Vonnegut, A Man Without a Country

«Le comunità virtuali non costruiscono nulla. Non ti resta niente in mano. Gli uomini sono animali fatti per danzare. Quant'è bello alzarsi, uscire di casa e fare qualcosa. Siamo qui sulla Terra per andare in giro a cazzeggiare. Non date retta a chi dice altrimenti.»
Kurt Vonnegut, Un uomo senza patria, traduzione di Martina Testa
 

domenica 10 novembre 2013

San Francisco: techies go home!


Gli abitanti di San Francisco, quelli rimasti almeno, cioè quelli non sfrattati o non costretti ad andarsene perché non possono più permettersi di vivere nella città più cara degli Usa (sì, anche di New York, anche di New York: nell'ultimo anno l'affitto medio di un 2-bedroom apartment è arrivato a $3250 al mese. A New York è di $3150), sono incazzatissimi. Ne hanno piene le balle dei ragazzetti pieni di soldi che hanno invaso la città grazie al tech-boom, sbattendo fuori i suoi abitanti e trasformando la città, con l'aiuto del sindaco Ed (ritiro-quello-che-ho-detto-perché-ho-appena-sentitodi-un'amica-querelata-per-diffamazione-per-molto-meno) Lee, in un parco giochi per stronzi. Questa è la mappa interattiva degli sfratti. E il lancio in borsa di Twitter non farà che peggiorare una situazione già esasperata.
Ma questo ve l'ho già raccontato mille volte. Anche se a quanto pare sono l'unica che lo racconta da queste parti, visto che in Italia San Francisco è ancora sinonimo della beat generation che è morta da cinquant'anni. Invece in quella città succedono cose molto interessanti, adesso. Come per esempio che la gente si è rotta le palle. E ha votato un bellissimo NO a stragrandissima maggioranza a due referendum sostenuti dal sindaco Ed (vedi-sopra) Lee che chiedevano il loro parere sulla costruzione di una serie di condomini per ricchi davanti all'oceano.
No Wall on the Waterfront ha stravinto. Purtroppo il sindaco ha ancora due anni di mandato.

venerdì 8 novembre 2013

Meet my husband/26: Un film di Woody Allen, ma in 3D


In attesa di presentare la rassegna stampa completa sull'ultima opera di Mr. K, vi propongo QUESTO articolo comparso su Icon, l'inserto di Panorama in edicola proprio in questi giorni.
L'autore, Nicolò Minerbi, descrive le opere di Mr. K come "arte del cazzeggio, ma at his best. Fermo restando un approccio americàn-socratico, si capisce." Se avete tempo leggetelo, è molto divertente.

mercoledì 6 novembre 2013

Oggi sono su Nazione Indiana/6

Vi ricordate la mia serie sul Palazzo del Por*o? Ora si è trasformata in un articolo per Nazione Indiana: Porno e dot-com. Trasfigurazione di San Francisco. Rivisto e corretto, ma Ramón c'è ancora. E anche Polanski. Buona lettura.


lunedì 4 novembre 2013

La mobilità sociale negli Stati Uniti, ovvero la fine del Sogno Americano

Una frase di un libro che sto leggendo mi ha fatto tornare in mente la questione della famosa mobilità sociale americana, quella, per intenderci, che una volta era alla base dell'American Dream. Una volta.
Adesso la situazione è questa. La tabella misura il legame tra i guadagni di un individuo e quello dei suoi genitori, ossia la mobilità sociale da una generazione all'altra. In questa come in tutte le altre tabelle che ho trovato, la situazione peggiore, all'interno dei paesi dell'OCSE, è quella della Gran Bretagna. Seguita dall'Italia, a sua volta tallonata di strettissima misura dagli Usa
Come osserva Anthony Carnevale (direttore del Center on Education and the Workforce della Georgetown University di Washington), in questo articolo dove il pareggio a fondo classifica Italia-Usa si estende anche all'istruzione: "Da sempre, il fattore che ha reso tollerabile il livello di competizione che esiste nel nostro spietato sistema economico è la mobilità verso l'alto”. Che oggi non c'è più: è praticamente pari a quella dell'Italia.
I dati vengono dal New York Times




domenica 3 novembre 2013

Mi piacerebbe avvelenare un delfino

Voi la conoscete l'Isola di Plastica del Pacifico (detta anche Grande chiazza di immondizia del Pacifico), vero? Ecco, questi sono i suoi amici. Ci somigliano, no?