mercoledì 28 ottobre 2015

Una nuova Nancy Mitford e un'intervista alla sottoscritta




«Dunque, Fanny, secondo te con questo quanti fanno?».
«Quanti cosa, zio Matthew?».
«Quanti mariti ha avuto finora la Fuggiasca?».
«I giornali dicevano sei…».
«Sì, ma è assurdo. Hanno dimenticato gli africani: sono almeno otto o nove. Io e Davey stavamo cercando di contarli. Tuo padre, il suo testimone di nozze e il migliore amico del testimone fanno tre. Questo ci porta in Kenya e a tutte quelle storie piccanti, le frustate e l’aeroplano e il francese che l’ha vinta alla riffa. Davey non è sicuro che l’abbia sposato, ma concediamole il beneficio del dubbio: quattro. Rawl e Plugge fanno cinque e sei, Gewan sette, il giovane che scrive libri sulla Grecia – relativamente giovane, potrebbe essere il padre di quest’ultimo – fa otto, e il nuovo ragazzo nove. Non mi viene in mente nessun altro, e a te?».
(Traduzione mia)


E visto che si parlava di copertine, questa è proprio una meraviglia.


Ecco, e poi Matteo Telara mi ha intervistata per il blog La poesia e lo spirito. C'è anche una domanda sul mio libro e una su Mr K (che in questo momento si trova qui e io lo invidio tantissimo).


domenica 18 ottobre 2015

Un'altra possibile copertina

Stavo riascoltando un po' di Bruce, perché nel mio libro ci sarà anche lui, e mi sono sorpresa a provare ancora le stesse emozioni, dopo tanti anni. Insomma, ho pianto come una fontana. Sono contenta di non essere cambiata. 
Allora, cosa ve ne pare di questa meravigliosa foto? Sono Bruce e Clarence "Big Man" Clemons, che oggi non c'è più, alla fine di Thunder Road, durante il mitico tour del 1985. 
Ah, e l'altra che mi fa sempre piangere naturalmente è questa
(E comunque, ripensandoci a occhi asciutti, questa foto non andrebbe bene come copertina, però è meravigliosa lo stesso.)


mercoledì 14 ottobre 2015

Scrivere e tradurre. Ovvero: come va il tuo libro?

Bene, grazie, ho ancora tre racconti da scrivere e poi sarà finito. Mi piacerebbe che questa fosse la copertina, ma non c'entra quasi niente e quindi non lo sarà. Oppure mi piacerebbe questa.


Ma volevo dire una cosa. Scrivere è faticoso. Almeno per me. Molto più faticoso che tradurre. Quando traduco lavoro sulle parole e quelle vengono fuori senza sforzo. La trama è già pronta, l'ha scritta qualcun altro. Io devo lavorare "solo" sulla lingua, sul tono, sull'ironia o sulla drammaticità, sull'eleganza o sulla sciatteria da rattoppare un po'. Creo, sì, ma creo lingua, non storie.
Quando scrivo è diverso, perché non solo devo lavorare sulla lingua, ma devo anche inventare un mondo, dei caratteri, delle vicende, delle emozioni. Quando ho finito di farlo sono soddisfatta, o quasi soddisfatta, perché quello che ho scritto non mi piace mai fino in fondo, perché quando scrivo sono pignola come quando traduco, ma nella traduzione so quando mi sono avvicinata il più possibile alla perfezione, e nella scrittura no. C'è sempre qualcosa che si può ancora aggiungere o togliere o limare. E così tradurre è per me un lavoro relativamente facile, alla fine della giornata sono stanca ma di una stanchezza tenue, di quelle che passano con una doccia. Scrivere mi stanca molto di più, è come sollevare pesi con la mente. Sento che il mio cervello deve fare uno sforzo fisico, utilizzare muscoli poco allenati, esercitarsi a prevedere, modellare, incastrare, levigare, collegare. E poi per tradurre non ho bisogno di essere dell'umore giusto. Quando traduco entro subito nella storia, nella lingua, mi mimetizzo perfettamente e vesto i panni dell'autore e della sua narrazione. Quando scrivo, invece, i panni sono i miei, e se non mi piacciono devo aspettare che cambino, altrimenti la mancanza di autostima, già normalmente un fattore problematico, diventa paralizzante. In questi casi la traduzione diventa un rifugio sicuro, un posto tranquillo dove mi muovo a mio agio e conosco perfettamente il terreno. Per fortuna posso sempre tornare lì a riprendere sicurezza, prima di uscire di nuovo a esplorare faticosamente il mondo della creatività totale, dove la libertà inebria ma fa anche un po' paura.

domenica 11 ottobre 2015

Diciotto eroi normali

Il Presidente della Repubblica li ha premiati "motu proprio", nove uomini e nove donne che si sono distinti per "impegno civile e di dedizione al bene comune". C'è il cittadino del Bangladesh che, pur essendo immigrato clandestino e quindi passibile di espulsione, si è tuffato nel Tevere per salvare una donna che stava annegando; c'è il medico che si è ammalato di Ebola in Sierra Leone (e per fortuna è guarito); ci sono due donne che salvano i naufraghi del Mediterraneo; c'è il soccorritore alpino; c'è l'uomo che ospita a casa sua sei profughi; ci sono due anziani insegnanti che insegnano l'italiano ai profughi. L'elenco completo lo trovate QUI. E QUI le loro foto.
Insomma, per citare il solito Calvino, queste persone ci aiutano a "cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio."


giovedì 8 ottobre 2015

Mr K e l'albero più vecchio del mondo

Domattina all'alba Mr K partirà per un'avventura che un po' gli invidio e un po' no. Non gli invidio il fatto che si alzerà alle 5 per farsi 11 ore di macchina, ma soprattutto non gli invidio il fatto che dormirà in tenda per tre giorni. Però lo invidio tantissimo per il posto magnifico dove andrà per preparare il suo prossimo progetto, per ora segreto. Il posto è Mount Washington, nel Great Basin National Park, un posto selvaggissimo dove vivono gli alberi più antichi del mondo, i bristlecone pines, o pinus longaeva, che in italiano ha il nome un po' ridicolo di Pino dai coni setolosi dell'Ovest.
Se tutto va bene dovrà tornarci, e allora potete star certi che lo seguirò. Per adesso lo mando avanti a mo' di pioniere.
 
Questi (foto da QUI) sono i bristlecone pines rimasti nella zona dove si trovava Prometheus, l'albero di circa 5000 anni abbattuto da una testa di cazz... ehm, da uno studente a scopo di ricerca nel 1964

lunedì 5 ottobre 2015

Raccogliere erbe selvatiche al Golden Gate Park/1

In una delle mie domeniche libere, prima di partire, ho partecipato a un piccolo corso di foraging, cioè raccolta di erbe selvatiche da mangiare, nel Golden Gate Park. Avevo già fatto un corso del genere anche in Italia, nei boschi vicino a casa, e dalla mia nonna avevo già imparato le delizie delle ortiche e dei verzitt.

Qui la signora Leda Meredith, esperta di foraging, ci fa vedere un sacco di erbe commestibili (la maggior parte arriva dall'Europa e ce le abbiamo anche noi) e ci spiega come prepararle. Le proprietà medicinali le trovate nei link.

Tipo questo dock, che in italiano si chiama lapazio ed è citato anche da Manzoni nei Promessi Sposi. I semi sono proteici e si possono aggiungere al muesli. Quando fa freddo si possono consumare le foglie cotte, che con il caldo diventano troppo amare per poterle mangiare, ma restano buone per le loro proprietà medicinali.



Questa è l'Ajuga reptans, da noi detta bugola. Con le foglie si fa un tè che cura il mal di gola. 



Il woodsorrel, cioè la nostra acetosella dei campi, di cui si mangiano in insalata baccelli, foglie e fiori



Ok, questa la conoscete tutti. Anche lei è buona in insalata (foglie e fiori)



Questa è nativa americana, si chiama Evening Primrose (da noi enagra). Le foglie si mangiano in insalata come la rucola, le radici somigliano ai ravanelli, i semi si usano come i semi di papavero.



Questi invece sono gli italianissimi chiodini che il mio vicino mi ha portato l'altro giorno e che ho fatto trifolati


Altre erbe nella prossima puntata!

1/Continua.