lunedì 29 settembre 2014

Una minorenne in America/4. Greetings from San Francisco, 1986

 
Il racconto delle mie avventure da minorenne in America è rimasto in sospeso per molto tempo. Forse perché la vita quotidiana ha modificato parecchio la mia opinione su questo paese - che era stata ulteriormente edulcorata da alcuni splendidi soggiorni in residenze per artisti avvenuti molto più tardi, a partire dal 2003 - ma la cartella con le fotografie digitali che riproducono le tremende fotografie originali scattate con la mitica Kodak Disc è rimasta a languire sul desktop per più di due anni. Sono le foto scattate a San Francisco nell'estate del 1986 (la storia di come ci sono arrivata l'ho raccontata QUI). 
Raccontare di New York nel 1985 è stato più facile, perché New York l'amo ancora tantissimo. Raccontare di San Francisco lo è un po' meno, perché non so se l'ho mai amata. Però naturalmente quella vacanza è stata indimenticabile, una delle esperienze più belle della mia vita. Se a New York (anzi, a Freehold, New Jersey) avevo trovato i jeans di Bruce Springsteen, a San Francisco ho conosciuto un signore che ci ha portate in volo fino a Disneyland su un aereoplanino a quattro posti. E poi da San Francisco io e Cristina abbiamo preso il Greyhound che ci ha portate, in tre giorni e quattro notti, direttamente a New York. Il viaggio più massacrante della mia vita, del quale però non ho alcuna prova fotografica (ma forse Cristina sì...?).




Libreria socialista (che ovviamente oggi non c'è più)

Oggi, rivedendo queste foto, mi chiedo: ma perché non ho fotografato il signor Gerard, il nostro intrepido pilota? E neppure l'orrido tedesco un po'  maleodorante che ci portò in giro in macchina per qualche giorno (ricordo una breve visita allo Yosemite), per poi riportarci indietro in fretta e furia per incompatibilità di carattere (soprattutto con me)? E di quel viaggio in Greyhound, perché non ho fotografato niente? Di quello mi resta solo la cartina con segnati i luoghi delle fermate e il biglietto dell'autobus spedito dall'Italia, con il messaggio di mio padre che mi augurava buon viaggio.





Gay Pride, 1986
Comunque di San Francisco ricordo poco altro. Il solito trauma del turista che crede di visitare la California del sud e arriva con un abbigliamento ridicolmente inadeguato (nel mio caso culminato con un concerto dei Beach Boys in cui mi misi letteralmente a piangere per il freddo). Un bosco di sequoie con un piccolo bar pieno di adorabili capelloni danzanti. Una serata in campeggio (probabilmente durante la gita con l'orrido tedesco) in cui conoscemmo alcuni ragazzi simpatici e cantammo con loro davanti al fuoco. Il Gay Pride, scene inimmaginabili per una diciassettenne italiana del 1986: uomini seminudi e un'enorme donnona nera che mi afferrò e mi trascinò a ballare con lei. I bar del Castro District, dove omaccioni baffuti minacciati dall'Aids tentavano di distrarsi guardando Dynasty e tifando per la cattivissima Joan Collins.

Ma naturalmente il culmine del viaggio furono la visita a Disneyland, e soprattutto il viaggio coast-to-coast con il Greyhound. E quelli ve la racconto la prossima volta. Oppure, chissà, magari ve li racconto in un libro ;-)
(1/Continua)

Una "stretch limousine" degli anni '80

venerdì 26 settembre 2014

Cartoline dal paradiso/4. Equinozio leopardiano

La festa dell'equinozio è stata carina, con letture di poesie, disegni collettivi e un teatro delle ombre. Io ho letto una poesia in italiano e la sua traduzione in inglese. La scelta della poesia è stata facilissima, non ho dovuto pensarci neppure un istante. Era la poesia perfetta per questo paesaggio qui (manca la siepe, ma va bene lo stesso)


Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte 
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude. 
Ma sedendo e mirando, interminati 
spazi di là da quella, e sovrumani 
silenzi, e profondissima quïete 
io nel pensier mi fingo; ove per poco 
il cor non si spaura. E come il vento 
odo stormir tra queste piante, io quello 
infinito silenzio a questa voce 
vo comparando: e mi sovvien l’eterno, 
e le morte stagioni, e la presente 
e viva, e il suon di lei. Così tra questa 
immensità s’annega il pensier mio: 
e il naufragar m’è dolce in questo mare.


This lonely hill was always dear to me, 
and this hedgerow, which cuts off the view 
of so much of the last horizon. 
But sitting here and gazing, I can see 
beyond, in my mind’s eye, unending spaces, 
and superhuman silences, and depthless calm, 
till what I feel 
is almost fear. And when I hear 
the wind stir in these branches, I begin 
comparing that endless stillness with this noise: 
and the eternal comes to mind, 
and the dead seasons, and the present 
living one, and how it sounds. 
So my mind sinks in this immensity: 
and floundering is sweet in such a sea. 
(translated by Jonathan Galassi)


PS: per chi mi chiedeva foto della festa (impossibili per via del buio), ecco una foto astratta di me che leggo Leopardi alla luce di una torcia, scattata dalla co-residente Avantika Bawa.


mercoledì 24 settembre 2014

"Spot the Translator", il video vincitore

                   

Quest'anno il concorso internazionale "Spot the Translator", promosso dal CEATL per aumentare la visibilità dei traduttori, è stato vinto da un bel video girato due italiane, Cristina Savelli e Alessandra Maldina. La protagonista è Anna Rusconi (con un cameo di Gina Maneri). 
[Music composed by Javier Muguruza setting a poem by Bernardo Atxaga, arranged by Francesco Forges and Giuseppe Gallucci for ONE MORE LANGUAGE, performed by Beñat Achiary (lead voice, drum), Henri Olama (lead voice), Giuseppe Gallucci (guitar), Francesco Forges, Shinobu Kikuchi, Francesca Breschi (back vocals)]


lunedì 22 settembre 2014

Cartoline dal paradiso/3. Pioggia, passeggiate e Alice's Restaurant

 

Il giorno dopo che ho scritto il post sulla siccità ha piovuto. Forse potrei farmi assumere come maga della pioggia. Una maga un po' scarsa, però, visto che più che di vera pioggia si è trattato di qualche sputacchio sceso dal cielo, quasi una presa in giro a questo paesaggio disperatamente assetato. Però dopo la pioggia è arrivata anche la nebbia mattutina, che fa tanto bene alle sequoie.



Faccio lunghe passeggiate solitarie tra le colline e i boschi di sequoie, lungo i sentieri che attraversano la proprietà. Ogni tanto sento un rumore, e temendo che sia un puma ruggisco.


Qua e là si trovano le sculture lasciate da altri residenti, come Stations of Light (di Mark Reeves), che prevede l'ingresso in un tunnel buio e poi l'uscita nella luce. Ho provato a entrare, ma il buio era così profondo che ho avuto paura (ero da sola e pensavo: e se dentro si nasconde un puma?). Lunedì sera abbiamo in programma una festa dell'equinozio proprio lì, e in compagnia degli altri sono sicura che riuscirò a entrare.

La radura dove si trova Stations of Light

 
L'ingresso del tunnel

Venerdì sono andata in paese (il più vicino è a mezz'ora di macchina, lo staff è disponibile per accompagnare i residenti una volta alla settimana) e sono tornata con il mal di testa. Forse perché mi sono già disabituata alla "civiltà", o forse perché non ho digerito le uova Benedict che ho divorato (non resisto mai alle uova Benedict) nel delizioso Alice's Restaurant, l'ultimo avamposto di civiltà (frequentato soprattutto da motociclisti) prima di addentrarsi nella foresta. Ah, ve l'ho detto che il nostro "vicino" è Neil Young, vero? Ha un ranch dove alleva mucche per farne bistecche "organic" e "humanely raised". Forse le vendono anche qui.


Veggie eggs Benedict



venerdì 19 settembre 2014

Le drag queen in municipio

Le drag queen di San Francisco chiedono che Facebook consenta l'uso del "nome d'arte", anziché imporre l'uso del vero nome. Un problema molto contemporaneo. D'altronde, come si può pretendere che abbandonino nomi meravigliosi come quelli citati QUI?
La foto è stata scattata durante la conferenza stampa al municipio. Non sono adorabili?



mercoledì 17 settembre 2014

Cartoline dal paradiso/2. Sequoie e filantropi

Una delle 66 sculture disseminate in giro per la proprietà
I quasi due anni di siccità della California si vedono tutti, in questo paesaggio dove l'erba ormai non è più neanche gialla, ma quasi grigia. Ogni giorno salvo l'acqua che altrimenti finirebbe giù per il lavandino e la verso sul terreno accanto alla mia porta-finestra, sperando di veder crescere qualcosa di verde. Ho anche messo una ciotola d'acqua per gli uccelli, perché qui intorno tutti i torrenti sono asciutti. 

La proprietà si estende per 240 ettari, che un tempo erano coperti di sequoie. Dopo il terremoto del 1906, tutte le sequoie sono state abbattute per ricostruire San Francisco, e oggi quelle che sono ricresciute sono relativamente giovani e piccole. Nel 1998, il Djerassi Resident Artists Program firmò un accordo con un'organizzazione conservazionista, il Peninsula Open Space Trust, impegnandosi a lasciare completamente intatta la proprietà (non si abbattono alberi, non si costruiscono case, non si scava nel terreno) in cambio di 2.2 milioni di dollari. Il paradiso è salvo.

Lontano lontano si scorge un puntino: è il ranch di Neil Young
Far funzionare la residenza, che ospita 12 artisti al mese, è prevedibilmente molto costoso, e i soldi vengono raccolti soprattutto grazie alle donazioni di generosi board members (la filantropia americana - favorita da generose detrazioni fiscali - è sempre stata una cosa che mi piaceva di questo paese. Purtroppo pare che sia una cultura in declino, soppiantata dal libertarianismo molto in voga fra i giovani arricchiti come quelli che oggi popolano San Francisco. D'altronde oggi tutti venerano il fondatore di Apple, non particolarmente noto per la sua generosità, e disprezzano Bill Gates, che fino a oggi ha donato qualcosa tipo 30 miliardi di dollari in beneficenza), oltre che con raccolte fondi aperte a tutti (cene, visite alla proprietà, ecc.). Insomma, finalmente sono tornata nell'America bella, quella che mi piace. A furia di vivere nella città del turbocapitalismo me la stavo proprio dimenticando.

Recuperato da un torrente dove era finito ai tempi dei disboscatori, dopo il terremoto del 1906

Querce della California

lunedì 15 settembre 2014

Cartoline dal paradiso/1. Le residenze per artisti

Djerassi non è il primo paradiso in cui ho la fortuna di soggiornare: è proprio durante una di queste residenze che ho conosciuto Mr K. Funzionano così: si fa domanda per essere ammessi, e i prescelti - in base ai loro meriti artistici - vengono ospitati, nutriti e coccolati per un periodo che in genere va dalle due settimane ai due mesi, ma che può anche essere più lungo. Ciascuno ha a disposizione uno studio per lavorare alle proprie cose - il gruppo può essere più o meno numeroso; qui siamo una dozzina di persone fra scrittori, visual artists e compositori - e poi di solito si cena tutti insieme in uno spazio comune. Alcuni dei miei migliori amici li ho conosciuti in questi posti, nel corso degli anni.

In genere queste residenze, perlomeno negli Usa (ce ne sono in tutto il mondo) sono no-profit finanziate da ricchi benefattori che possono detrarre le donazioni dalle tasse. Il paradiso dove mi trovo ora, in particolare, si trova su un immenso terreno di proprietà del signor Carl Djerassi, uno degli inventori della pillola anticoncezionale. 

Gli studi degli scrittori

Gli altri paradisi dove ho soggiornato sono Yaddo (dove sono stata tre volte), Art Omi (la mia prima residenza, dove sono tornata due volte nel 2003) e MacDowell. Come ospite di amici che vi soggiornavano ho visitato anche La Napoule, Civitella Ranieri, la Bogliasco Foundation, il Bellagio Center e la Akademie Schloss Solitude di Stoccarda. 
Insomma, gli artisti saranno anche squattrinati, però almeno ogni tanto vanno in paradiso.

La vista mattutina dal mio studio
Uno degli spazi comuni
I miei nuovi vicini di casa

sabato 13 settembre 2014

Bye-bye San Francisco

Luna piena sopra Divisadero Street

All That Jazz al Castro Theater

E il mitico Charlie Musselwhite allo Yoshi's di Oakland (sì, sono riuscita ad andare a vederlo)

A presto, ci sentiamo dal paradiso.

giovedì 11 settembre 2014

Meet my husband/28: Jonathon Keats a Stanford e LACMA: due video


"A Dilettante's Guide to the Universe" era il titolo della presentazione di Mr K allo Stanford Art Institute, una "summa" della sua opera attraverso alcuni capitoli salienti che hanno molto divertito il pubblico. La presentazione verrà ripetuta in febbraio all'università di Berkeley.


Meno di un mese dopo Mr K è volato a Los Angeles per un'altra presentazione, questa volta all'Art + Technology Lab del LACMA. L'argomento era "Reciprocal Biomimicry", e se volete sapere cos'è guardate il video qui sotto, girato da Sandro Del Rosario (di cui tornerò a parlare presto, quando partirà la sua campagna su Kickstarter). Se non volete spararvi tutto il video, vi consiglio di dare un'occhiata intorno al minuto 40:00 o poco più, quando Mr K dà una dimostrazione con un drone. L'irrefrenabile risata in sottofondo è la mia. (Le prove sono state fatte in casa nostra, ovviamente mentre io non c'ero. Le finestre sono ancora miracolosamente intatte.)


martedì 9 settembre 2014

La tirannia delle scatole di vetro (però la Libreria Rizzoli riapre)

La vecchia Libreria Rizzoli è ormai distrutta (QUI trovate la triste documentazione fotografica). Gli operai degli squali LeFrak hanno demolito tutto, e purtroppo il Save Rizzoli Committee non è riuscito neppure a salvare il meraviglioso soffitto.
Si tratta di un nuovo passo avanti in quella che un editoriale del NYT di qualche mese fa definiva "la tirannia delle scatole di vetro": "West 57th Street [dove si trovava la libreria] è l'epicentro del boom delle lussuose scatole di vetro, a causa del quale gli splendidi vecchi edifici che conferiscono carattere a New York vengono rimpiazzati da anonimi monoliti". 
Le scatole di vetro stanno sfregiando anche San Francisco, naturalmente. La domanda sorge spontanea: perché questi "luxury condos" sono così orrendi? Secondo un commento a QUESTO articolo (sulla ventilata demolizione di un palazzo che ospita uno storico locale cittadino per far posto alla solita inguardabile scatola di vetro), "il cattivo design è parte del 'processo'. Tutte le risorse vengono usate per comprare i permessi".

Allora, adesso vi faccio vedere una scatola di vetro. Ne basta una, tanto sono tutte uguali. Questa in particolare sorgerà al 328 di Spring Street, a New York

E per concludere, una buona notizia: la Libreria Rizzoli ha trovato un'altra casa e presto riaprirà. A partire dalla primavera del 2015 la troverete nel St. James Building, al 1133 di Broadway. Alla faccia dei costruttori di scatole di vetro.

 

domenica 7 settembre 2014

I colpi, un racconto di David Means

Di questo bel libro ho già parlato QUI. Ve ne propongo un altro estratto. QUI trovate la versione originale.
Ora, io mi chiedo: se dopo aver tradotto Jonathan Franzen sono diventata un'ornitofila, e dopo aver tradotto questo racconto mi sono ritrovata gli elefanti al piano di sopra (i nuovi vicini sono rumorosi quanto le cheerleader), forse dovrei sperare di tradurre un libro in cui qualcuno vince alla lotteria?

 
"L’uomo al piano di sopra si ferma un momento, giusto per aumentare la tensione, e poi ricomincia, all’inizio più adagio, andando da est a ovest e poi di nuovo a est, dirigendosi verso il lato dell’edificio affacciato su Fifth Avenue; fa una pausa per orientarsi, per guardare il panorama, immagino, prima di dirigersi a ovest; fa una pausa proprio qui sopra, per stuzzicarmi, prima di rimettersi in movimento per qualche minuto, stabilendo l’andatura con moto oscillante, seguendo il tracciato delle pareti dell’appartamento – il suo identico al mio, perfettamente identico – e poi c’è un’altra pausa, e io mi piego all’indietro per esaminare il soffitto e sento, in lontananza, il suono dei colpi nella sua cucina, e infine – forse cinque minuti dopo, forse di più – torna indietro e comincia, persistente e regolare, senza la solita aggressività, come se mi avesse dimenticato, messo da parte, come se avesse rinunciato al suo desiderio di vendetta, offrendomi una tregua dalla natura dei suoi colpi. Forse una tregua di cinque minuti, più o meno, perché è impossibile indovinare quanto dureranno questi momenti di silenzio che si aprono al piano di sopra, sapendo, durante l’attesa, che i colpi ricominceranno, se non con un rumore di tacchi, allora sotto qualche altra forma: forse il suono del martello che usa per piantare i chiodi (è un grande piantatore di chiodi. Appende quadri a tutte le ore), oppure il tonfo gommoso della stampante in funzione (è un grande stampatore, sforna documenti nel cuore della notte, all’alba e al tramonto), o il tonfo del materasso che urta contro le doghe, accompagnato dal sibilo delle molle (il sibilo non è ufficialmente un colpo, certo, ma funziona come una specie di arabesco, un ornamento ai colpi del materasso che arrivano dopo qualche indolente oscillazione del letto). Altri suoni che potrebbero rientrare nella famiglia dei colpi mi si accumulano nella mente questo pomeriggio, un’intera storia di schianti fragorosi cominciata due anni fa, il giorno in cui venni ad abitare qui – una cornucopia di rumori diversi che comprendevano botte su pentole/padelle, il tonfo sordo dell’intonaco, lo sgocciolio gorgogliante dell’acqua, il risolino stridulo e graffiante che andò avanti per una settimana, i gemiti incessanti, e l’angoscioso sospiro di abbandono che si levava a intermittenza e che da principio mi era sembrato umano ma poi, nel giro di qualche giorno, aveva assunto un carattere meccanico, ripetuto, dal quale avevo capito che si trattava di una registrazione, una sorta di nastro in loop. Era un tipo così, lui. Disposto a fare ben oltre il necessario per scoprire come produrre un nuovo rumore, e per scoprire come ripeterlo all’infinito. Era il tipo che avrebbe imparato una nuova tecnica, un nuovo modo di appoggiare il tacco a terra, di alzare le dita del piede in modo che scuotessero un’asse del pavimento, per poi lavorare con efficienza da ginnasta – tutto ossa e muscoli – per trasmettere il suono attraverso il nudo pavimento prebellico, fatto di tavole di quercia dure e risonanti, abbastanza solide da resistere ai colpi più violenti. (...)"


David Means, dal racconto I colpi, in Il punto. Traduzione mia

 © 2014 Einaudi, Torino

mercoledì 3 settembre 2014

Conto alla rovescia


Tra dieci giorni vado a lavorare QUI. E poi torno a casa. Devo solo resistere ancora un po' senza fare molto male ai vicini del piano di sopra.

martedì 2 settembre 2014

Il Ferragosto degli americani

Ieri era Labor Day, il terzo giorno del fine settimana lungo che praticamente conclude l'estate. Qui a San Francisco invece l'estate comincia più o meno adesso, visto che in genere settembre e ottobre sono i mesi più caldi. Siccome era una giornata splendida, ho deciso di fare un giretto fino a Baker Beach, la spiaggia dove è nato il Burning Man.

Nelle foto Baker Beach appare così



Ieri, quando sono arrivata, l'ho trovata così


e sono subito tornata a casa a lavorare.


lunedì 1 settembre 2014

Concerti/1. Il blues yemenita e il country giapponese

Tempo fa l'ottimo Jazz Center ha organizzato quattro serate danzanti. La platea si è trasformata in un dance floor, dove il pubblico amante del ballo poteva scatenarsi in libertà. Noi siamo andati a sentire lo strepitoso concerto degli Yemen Blues, un gruppo che mescola "West African rhythms and ancient Jewish Yemeni melodies, mambo and funk" con un cantante fichissimo dall'energia inarrestabile. Una bella festa, con gente di tutte le età (davanti a me c'era una coppia di sessantenni, magnifici ballerini) che saltava e piroettava felice. Io mi sono dimenata come una derviscia, mentre Mr K rimaneva perfettamente immobile al centro della sala.

Yemen Blues


Qualche settimana dopo, la scelta musicale della serata è toccata a Mr K, che mi ha portato al Rite Spot Cafe a sentire Toshio Hirano, il mitico "Yodeling Japanese Cowboy". Tanti anni fa, il signor Hirano si innamorò della musica country e decise di dedicarle la vita. Solo Mr K poteva portarmi al concerto di un giapponese che gorgeggia yodel texani.

Toshio Hirano