lunedì 20 novembre 2017

God Bless America: Trump e i fondamentalisti cristiani/5

(Ultima puntata. Continua da QUI)

Il dominionismo

Dopo anni in cui era rimasto sottotraccia, il termine “dominionismo” è tornato alla ribalta quando Trump si è candidato alla presidenza. Vengono definiti dominionisti gli aderenti alla cosiddetta “teologia del dominio”, che si basa su un passo della Bibbia (Genesi 28: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra”») per sostenere che i cristiani hanno ricevuto il mandato divino di assumere il dominio del mondo – caduto in mano a Satana dal giorno del peccato originale – e preparare la nuova venuta di Cristo.
Il termine “dominionista” non viene adottato dagli aderenti a questa ideologia, ma è stato usato per la prima volta negli anni ’90 dalla sociologa Sara Diamond[1] (e poi ripreso da molti altri, fra cui i giornalisti Frederick Clarkson[2], Chris Hedges[3] e la già citata Michelle Goldberg), che lo descrive come un movimento il cui nucleo è formato dalla teologia del dominio e dal ricostruzionismo cristiano, ma che si estende a comprendere la maggior parte della destra religiosa.
Il ricostruzionismo cristiano (chiamato così perché sostiene che ogni area dominata dal peccato debba essere “ricostruita” secondo i termini della Bibbia) è una dottrina fondamentalista calvinista ideata da Rousas Rushdoony, autore del suo testo fondante, The Institutes of Biblical Law (1973), nonché ispiratore del moderno movimento per l’istruzione domiciliare religiosa (essenziale per la trasformazione degli Stati Uniti in una “nazione cristiana”). Rushdoony era un sostenitore della teonomia, l’idea per cui l’unica possibile fonte per l’etica è il Dio rivelato nella Bibbia; ne consegue che le leggi delle nazioni devono conformarsi alla legge mosaica, introducendo la pena di morte (anche tramite lapidazione[4]) per crimini come l’omosessualità, l’adulterio e la blasfemia. Rushdoony – che in The Institutes of Biblical Law parla di “eresia della democrazia” e afferma che “cristianità e democrazia sono inevitabilmente nemiche” – descrive una società con un governo nazionale ridotto al minimo, la cui funzione sarebbe esclusivamente la difesa da minacce esterne. Tutti i servizi sociali verrebbero forniti dalla chiesa, che diventerebbe responsabile dei settori della sanità, dell’istruzione e dell’assistenza sociale. L’economia sarebbe fondata su un capitalismo privo di restrizioni, tranne quelle imposte dalla legge biblica; le donne sarebbero escluse dal governo; il diritto di voto sarebbe limitato agli uomini appartenenti a chiese “biblicamente corrette”. La più recente evoluzione del ricostruzionismo cristiano ispirata alle idee di Rushdoony è il kinism, un movimento suprematista bianco che usa la Bibbia come base per le proprie convinzioni razziste e antisemite. La parola deriva da kin, “consanguineo”, perché secondo gli aderenti a questo movimento il fondamento di una nazione è l’omogeneità razziale, e il fondamento del codice morale è l’omogeneità religiosa.
Oltre ai ricostruzionisti, gli altri fautori del dominionismo nella galassia delle chiese statunitensi sono i carismatici/pentecostali della Kingdom Now Theology e i neo-carismatici della New Apostolic Reformation, secondo i quali i cristiani devono prendere il controllo delle “ sette montagne della cultura”, ossia governo, religione, mass media, famiglia, affari, istruzione, arti e intrattenimento.
Si tratta di movimenti minoritari ed estremamente radicali, ai quali in genere i leader della destra religiosa evitano di associarsi pubblicamente. Tuttavia i predicatori Falwell e Robertson hanno espresso idee affini al ricostruzionismo, mentre tra i personaggi politici legati al dominionismo figurano Sarah Palin, l’ex governatore del Texas Rick Perry, l’ex deputata Michele Bachmann, l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee e l’ex deputato Newt Gingrich[5]. Il caso più noto è però quello di Ted Cruz. Figlio del pastore evangelicale Rafael Cruz e aderente come il padre al ramo della teologia evangelicale denominato Seven Mountains Dominionism (le “sette montagne” della New Apostolic Reformation), Cruz era il candidato della destra religiosa finché, dopo il suo ritiro dalla campagna per le presidenziali, è stato sostituito da Donald Trump. Lance Wallnau, un influente leader del movimento delle Seven Mountains, ha sostenuto Trump come il “candidato del caos”[6] che Dio intenderebbe usare per realizzare i suoi piani.
Per molto tempo i giornalisti e gli studiosi che mettevano in guardia contro le tendenze dominioniste della destra religiosa sono stati accusati di complottismo, ma oggi le loro teorie assumono una particolare rilevanza. Così nel febbraio 2016 lo storico John Fea ha pubblicato sul Washington Post un editoriale dal titolo “La campagna di Ted Cruz è alimentata da una visione dominionista dell’America”[7], mentre dopo le elezioni, nel novembre 2016, The Intercept ha pubblicato un lungo pezzo di Jeremy Scahill su Mike Pence, definito “il suprematista cristiano più potente della storia statunitense”[8]. Pence, cresciuto in una famiglia cattolica e poi convertito all’evangelicalismo, è stato affiancato a Trump per legittimare il candidato presidenziale agli occhi dell’elettorato fondamentalista religioso. L’attuale vicepresidente è favorevole alla criminalizzazione dell’aborto (quando era governatore dell’Indiana firmò una legge che imponeva di sotterrare o cremare i feti abortiti, poi sospesa da un giudice federale per incostituzionalità) ed è un sostenitore di politiche omofobe (si è già ricordato il suo sostegno alla “terapia di conversione”, mentre da governatore si era impegnato per ridurre i fondi statali ai trattamenti sanitari contro l’HIV).
Pence è legato a doppio filo a Erik Prince, fondatore della famigerata Blackwater (oggi Academi), la compagnia militare privata che si è macchiata di crimini contro i civili durante la guerra in Iraq. Il padre di Erik, Edgar Prince, ha donato milioni a gruppi ultraconservatori come Focus on the Family e Family Research Council, del quale è stato co-fondatore. Erik e sua madre Elsa hanno generosamente finanziato referendum contro i matrimoni gay e campagne per la criminalizzazione dell’aborto, e sono fra i contributori del Super PAC[9] pro-Trump/Pence “Make America Number 1”. Erik Prince è il fratello di Betsy DeVos.
La famiglia Prince, in particolare Erik, era molto vicina a Chuck Colson, il consigliere giuridico della Casa Bianca di Nixon condannato a tre anni di prigione per il suo ruolo nello scandalo Watergate e per spionaggio ai danni di Daniel Ellsberg. Liberato dopo soli sette mesi di detenzione, Colson dichiarò di aver ritrovato la fede cristiana e divenne un divulgatore dell’evangelicalismo. All’inizio degli anni ’90 si associò a Richard Neuhaus, un ministro evangelicale diventato prete cattolico, per creare un movimento che unisse le due religioni in una “comune causa missionaria”[10]. Colson e i suoi alleati definirono la presidenza di Bill Clinton un “regime” secolare e contemplarono apertamente una rivoluzione basata sulla fede. In un saggio pubblicato sul periodico di Neuhaus First Things, Colson – che Mike Pence ha definito “un caro amico e mentore”[11] – scrisse: “Una resa dei conti fra stato e chiesa potrebbe essere inevitabile”[12].
Per completare, almeno parzialmente, il cerchio dei legami che uniscono i membri dell’amministrazione Trump a organizzazioni in odore di dominionismo, ricordiamo che Steve Bannon e Kellyanne Conway fanno parte del Council For National Policy, un’organizzazione segreta (di cui il Southern Poverty Law Center ha svelato l’elenco dei membri[13]) di estrema destra considerata dominionista[14], fondata con l’obiettivo di manipolare il programma governativo dall’interno. Il CNP venne fondato nel 1981 dal pastore battista fondamentalista Tim LaHaye, allora a capo della Moral Majority di Jerry Falwell, e tra i suoi presidenti ha avuto Richard DeVos, il suocero di Betsy.
Steve Bannon, che non fa più parte del Consiglio per la sicurezza nazionale ma che influenza ancora le decisioni di Trump, avrebbe inoltre stretto un’alleanza strategica con i nemici di Papa Francesco all’interno del Vaticano, a cominciare dal cardinale ultraconservatore Raymond Burke. I due, secondo il New York Times[15], condividono la preoccupazione per l’erosione dei valori cristiani dell’Occidente e per la minaccia dell’islam. In seguito all’elezione di Trump, l’ala destra del Vaticano nemica di Bergoglio ha acquisito un alleato molto potente, e il papa, che prima poteva contare sull’appoggio di Obama (artefice, secondo la rivista cattolica tradizionalista The Remnant, di un complotto per spodestare Ratzinger e sostituirlo con Bergoglio[16]), si è improvvisamente ritrovato più solo. La freddezza da lui dimostrata durante l’incontro con Trump non è sfuggita a nessuno, ma il presidente americano non ha mostrato alcuna intenzione di ascoltare i consigli del papa, a cominciare da quello di non uscire dall’accordo di Parigi.


Fine




[1] Roads to Dominion: Right-Wing Movements and Political Power in the United States. New York, Guilford Press, 1995; Spiritual Warfare: The Politics of the Christian Right. Boston, South End Press, 1989
[2] Eternal Hostility: The Struggle Between Theocracy and Democracy. Monroe, Maine, Common Courage, 1997.
[3] American Fascists: The Christian Right and the War on America, Free Press, 2006.
[9] Un Political Action Committee (Pac) è un comitato di raccolta fondi per soste­nere od ostacolare candidati, referendum o iniziative legislative.

lunedì 13 novembre 2017

God Bless America: Trump e i fondamentalisti cristiani/4


(4. Continua da QUI)

Trump e gli evangelicali
Uno degli aspetti più notevoli della campagna elettorale di Trump è stato il suo instancabile corteggiamento dell’elettorato evangelicale: ha scelto uno di loro come candidato alla vicepresidenza, ha permesso loro di scrivere un’ampia porzione della piattaforma del partito Repubblicano[1], ha promesso di eleggere giudici della Corte Suprema di loro gradimento (a cominciare da Neil Gorsuch[2], scelto da una lista di 21 candidati approvati dai gruppi della destra cristiana[3]) e di abolire i vincoli all’attivismo politico delle chiese (cosa che ha fatto con un ordine esecutivo all’inizio di maggio[4]), ha incontrato centinaia di leader della destra religiosa e ha partecipato a molte loro conferenze. In cambio i capi della destra cristiana, compresi quelli che finora erano sempre rimasti ai margini della politica, lo hanno dichiarato il “prescelto da Dio” per adempiere diverse profezie e distruggere “la diabolica correttezza politica” [5].
Così come è difficile credere che una parte della working class abbia potuto eleggere un miliardario come paladino dei propri interessi, sembra altrettanto assurdo che la destra religiosa lo abbia scelto come proprio candidato, visto il suo stile di vita per nulla morigerato e la sua totale estraneità alla religione (famoso un suo discorso alla Liberty University in cui ha citato la Seconda lettera ai Corinzi chiamandola “Due Corinzi”). Eppure gli evangelicali, che formano il 25% dell’elettorato statunitense[6], hanno votato all’81% per lui[7] (non è azzardato ipotizzare che queste percentuali coincidano in parte con quel 13% dell’elettorato americano convinto che Obama fosse l’anticristo[8]). Trump si è guadagnato il sostegno di questo grosso bacino elettorale appoggiando la destra religiosa sui temi dell’aborto e del matrimonio tradizionale, ma il 55% per cento dei suoi elettori cristiani conservatori ha dichiarato di votarlo perché convinti che porterà “un autentico cambiamento a Washington”. Anche l'uscita degli Usa dall’accordo di Parigi sul clima, che ha suscitato tante critiche all’interno come all’esterno del paese, è avvenuto con il sostanziale appoggio dell’elettorato evangelicale, che solo al 28% crede che i cambiamenti climatici siano causati dall’uomo[9]. L’alleanza fra gli evangelicali bianchi e l’Alt-Right[10] ha segnato il ritorno della destra religiosa alle proprie origini, quelle di un movimento nato per mantenere la way of life del sud segregazionista. E gli evangelicali bianchi sono stati la chiave della vittoria di Trump: se l’Alt-Right gli ha fornito il programma, la destra religiosa gli ha fornito i voti.

4. Continua




[9] http://www.pewinternet.org/2015/10/22/religion-and-views-on-climate-and-energy-issues/
[10] Abbreviazione di Alternative Right, termine coniato dal suprematista bianco Richard Bertrand Spencer per indicare un insieme di idee di estrema destra incentrate sull’«identità bianca» e sulla conservazione della «civiltà occidentale».

mercoledì 8 novembre 2017

Una lettera a Tom Waits



CARO TOM
(You can’t be lovin’ someone who is savage and cruel)

Malgrado le ripetute insistenze della sua amica Gloria, Marta esitava a scrivere quella lettera a Tom. Certi ricordi, le diceva, era meglio lasciarli sepolti nel passato. Ma quel ricordo era duro a morire, e poi, secondo Gloria, se Tom avesse letto la sua lettera magari ci avrebbe scritto sopra una canzone, d’altronde era una storia d’amore malinconica come quelle che piacevano a lui. E così finalmente Marta si era decisa. In realtà non era sicura che fosse davvero una storia d’amore, ma questo magari lo avrebbe giudicato Tom.
Ecco qui la lettera. 


Caro Tom,
la prima volta che ho sentito la tua musica ero al ristorante sulla spiaggia. Il ristorante perfetto. Penombra, candele. La padrona indossava una camicia di seta bianca e si ricordava di me anche se mi vedeva una volta all’anno. Quando assaggiavo una pietanza chiudevo gli occhi per lasciar fuori il resto del mondo. In quel ristorante ci andavo con Gio, il mio fidanzato, e il giorno designato digiunavamo fin dalla mattina per essere sicuri di non saltare neanche una portata. Quella sera nel ristorante perfetto c’era la tua musica. In sottofondo, certo, ma non offenderti: era lei la protagonista della serata. Indagai con la signora dalla camicia di seta, e lei mi mostrò il cd di The Heart of Saturday Night, quello con la copertina in cui, con la cravatta e la sigaretta in bocca, fingi di non notare la ragazza dal vestito color borgogna che ti guarda in modo inequivocabile. Fu amore al primo ascolto.
Qualche anno dopo lasciai Gio. Con lui lasciai i miei vent’anni, la città che amavo, i giorni delle rose e delle osterie, e sull’autostrada piatta e diritta che mi portava via da Bologna, nella malinconia di un tramonto nebbioso della bassa padana, scoppiai finalmente a piangere.
«Perché cavolo piangi?» disse il mio nuovo fidanzato, che guidava la macchina del trasloco. Smisi subito. In effetti, pensai, non c’era motivo di essere triste.
Andai a vivere in riva a un lago, un posto di piogge primaverili e temporali estivi. Ero sicura di poter convincere Alex a fidarsi di me. Ma non si può salvare un amore sbagliato, e così io e Alex non facevamo altro che litigare, lasciarci e riprenderci, e ogni volta giuravo che era l’ultima.
Era il 1999, l’anno in cui sei venuto in Italia, ricordi? Tre sere d’estate a Firenze. Appena l’ho saputo ho cominciato a sognare il momento in cui finalmente ti avrei visto sul palco.
In quel periodo non stavo con Alex, ero in uno di quei momenti di tregua in cui pensavo solo a rimettermi con lui. Lo chiamai per chiedergli se voleva venire al concerto, ma lui rifiutò. Allora chiamai Gio. Eravamo rimasti amici, di nascosto da Alex che si strozzava dalla gelosia ogni volta che lo sentiva nominare. Gio rispose: «Ci penso io», e dopo un’ora mi richiamò dicendo che aveva comprato due degli ultimi biglietti rimasti per il tuo concerto di domenica 25 luglio.
Il piano era questo: sarei partita al mattino con il treno per Milano, e da lì avrei preso la coincidenza per Bologna (e comunque, a proposito di Bologna: se un giorno ti capiterà di tornare in Italia, vai a visitarla, sono sicura che ti piacerà. Siediti in una vecchia osteria e ordina un litro di rosso della casa, e magari qualcuno a un tavolo vicino dirà «Mo vè, c’è Tom Waits», e alzerà il bicchiere per brindare alla tua salute), dove avrei incontrato Gio che mi avrebbe portata a Firenze in macchina.
Un paio di giorni prima, però, la tregua finì e mi rimisi con Alex. Ci incontrammo a una festa dove ovviamente speravo di incontrarlo, e poi il magnetismo dei poli opposti fece il suo dovere. Tornammo a casa insieme, e mentre un temporale estivo creava un'ambientazione adeguatamente drammatica – in quel momento riuscii a pensare che sembrava una pessima sceneggiatura, a dimostrazione del fatto che mi restava ancora un barlume di lucidità – Alex mi rivolse la domanda che gli premeva di più: «Ci vai lo stesso al concerto di Tom Waits?»
Non lo avevo previsto. Non vedevo cosa c’entrasse il tuo concerto. Ingenua. «Be’, certo che ci vado» risposi.
D’un tratto il fronte temporalesco si trasferì all’interno del piccolo appartamento, e cupi nuvoloni di collera oscurarono lo sguardo di Alex. Ci eravamo appena rimessi insieme e ora io stavo per andarmene a un concerto, non solo senza di lui, ma addirittura con il mio ex fidanzato. Era chiaro che non lo amavo, che sputavo sui suoi sentimenti, che non ero degna della sua fiducia. Un lampo squarciò di nuovo lo strappo appena ricucito e la traditrice venne scacciata. La nostra storia era già finita un’altra volta.
Con il passare delle ore la mia certezza già precaria si andò sgretolando. Da una parte c’eri tu e il sogno di vederti cantare, dall’altro c’era l’angoscia per aver sprecato l’ultima possibilità di guadagnarmi l’amore di Alex. Era una decisione tormentosa, e se c’è una cosa che odio è prendere decisioni. Le lascio per l’ultimo istante, aspettando che arrivi un segno del destino o che qualcun altro decida per me. Nei casi peggiori, allo scadere del tempo il pendolo dell’indecisione si ferma al vertice della sua traiettoria e non mi lascia altra scelta che obbedirgli, pur sapendo che pochi istanti dopo avrei potuto scegliere la cosa opposta. La mia mente continuò a oscillare per tutta la notte, finché, all’alba di domenica 25 luglio, mi alzai e mi preparai a partire.
Ostacolata dal peso del rimorso, ogni movimento mi costava fatica. Mi sembrava di muovermi dentro una vasca piena di fango. Riuscii ad arrivare fino alla stazione di Milano prima di rimanere bloccata nel mio stesso pantano. Mi trascinai verso un telefono, uno di quelli pubblici che oggi non esistono più. Composi il suo numero.
«Pronto.»
«Ciao, sono io.»
«Cosa vuoi?» La sua voce era un blocco di ghiaccio tagliato con l’accetta.
«Be’, ecco, sono a Milano, e pensavo che in effetti hai ragione tu, non è giusto che io vada al concerto.»
«L’hai capito un po’ tardi, no?»
«Sì, hai ragione, però senti, pensavo… e se non ci andassi?»
«Ci sei già andata, mi sembra.»
«No, no, ho cambiato idea, posso tornare a casa adesso e stare con te. Facciamo come se non fosse successo niente. Ho capito di avere sbagliato e torno da te.» Non ero molto soddisfatta del mio tono servile, ma in quel momento ero mossa da uno zelo missionario che aveva la precedenza su tutto il resto.
«Fai come ti pare.»
«Ecco, sì, però ci sarebbe una cosa… insomma, be’… Gio ha comprato i biglietti… mi sembra brutto telefonargli così e dirgli che non vado… pensavo che magari potrei andare a Bologna e dirglielo di persona e poi tornare a casa. Ho guardato l’orario, ce la faccio benissimo. Posso arrivare in serata, così magari andiamo a mangiarci una pizza insieme?»
«Va bene.»
«Allora arrivo alle nove e venti, vieni a prendermi in stazione?»
«Okay.»
Gio non approvò la mia decisione. A dir poco. Provò a farmi cambiare idea, ma io ero inflessibile, tutta compresa del coraggio del mio sacrificio. Gio non si lasciò commuovere. Disse che lui al concerto da solo non ci andava, e che quindi dovevo restituirgli non solo i soldi del mio biglietto, ma anche quelli del suo. Già che c’ero gli offrii anche il pranzo, per il disturbo, e poi, purificata dalla colpa e alleggerita nel portafoglio, ripresi il treno per tornare indietro.
L’odore familiare del lago alleviò appena il senso di fastidio lasciatomi addosso da una giornata in treno. Uscii emozionata dalla piccola stazione e lo vidi lì fuori, appoggiato alla macchina ad aspettarmi. Non sorrideva, ma quella non era una cosa insolita. Aveva mal di testa, si limitò a dire.
Alle nove e trentacinque, mentre tu uscivi sul palco di Firenze, io e Alex ci mettevamo a tavola. La pizzeria era brutta, un salone anonimo con le luci fluorescenti. La pizza era cattiva, mi sembra, ma non sono sicura, visto che la mia attenzione era rivolta solo ad Alex, che non sorrideva e non parlava. Se ne stava lì a masticare con aria noncurante. Certe volte, davanti a lui, provavo solo incredulità.
Mentre il boato degli applausi si placava e tu cominciavi il concerto con una delle mie canzoni preferite, quella che apre Daunbailò con New Orleans in bianco e nero ed Edna Million con un vestito da sballo, io azzardai: «Allora?»
«Allora cosa?»
«Be’, sono tornata, hai visto?»
Ghigno a mezza faccia. «Sì, ho visto.»
Il palco era ingombro di strumenti, tu avevi la bombetta e il tuo solito completo da poeta sgualcito.
«Sono tornata per te.»
«Non me ne frega un cazzo. Potevi anche restare dov’eri, tanto con te non ci torno.»
Poi si alzò e uscì dalla pizzeria, lasciandomi il conto da pagare.
Intanto tu, a Firenze, lanciavi manciate di coriandoli sul pubblico. Poi prendevi il megafono e cantavi il dolce Gesù di cioccolata. Sono ricordi che ho rubato, Tom, come in quella tua canzone. Eppure anch’io sono innocente, quando sogno.
E chissà, forse un giorno riuscirò a vederti.

                                                                                                          Tua,
                                                                                                         Marta

lunedì 6 novembre 2017

God Bless America: Trump e i fondamentalisti cristiani/3

(3. Continua da QUI)

L’importanza dell’istruzione
I fondamentalisti cristiani attribuiscono una grande importanza all’istruzione. Considerano le scuole pubbliche un’intrusione dello Stato nella libertà dei cittadini e intendono sostituirle con scuole private confessionali o con l’istruzione domiciliare. La percentuale di bambini istruiti in casa è passata dall’1,7% del 1999 al 3,4% nel 2012, con circa il 70% dei genitori che cita motivazioni morali o religiose per la propria scelta[1]. In Kingdom Coming, The Rise of Christian Nationalism, Michelle Goldberg parla di Generation Joshua, una campagna avviata nel 2004 dall’attivista di destra Michael Farris per trasformare i ragazzi istruiti in casa in quadri del Partito repubblicano inseriti nella pubblica amministrazione, con l’obiettivo di “combattere la battaglia per conquistare il paese”[2] e sottrarlo al nemico, l’umanesimo secolare.
In seguito alla sentenza di una Corte federale[3] che nel 2005 proibì di insegnare il creazionismo nelle scuole pubbliche, molte famiglie cominciarono a rivolgersi alle charter schools, scuole di proprietà privata, generalmente a statuto no-profit, che però ricevono sussidi pubblici utilizzando un sistema di voucher. Trump, durante la campagna elettorale, ha promesso di favorire la libertà di scelta dei genitori stanziando 20 miliardi di dollari in voucher ed estendendo il contributo dello stato non solo alle charter schools ma anche alle scuole completamente private – comprese quelle for profit – e all’istruzione domiciliare (nel budget proposto dal governo per l’anno fiscale che comincia il 1° ottobre, è previsto un taglio del 14% all’istruzione pubblica e un finanziamento di 1,4 miliardi alle charter schools e agli istituti privati). Le scuole private religiose inserite nel programma dei voucher possono aggirare la sentenza federale che proibisce di insegnare il creazionismo, ricevendo al contempo un sussidio da parte dello Stato. Alcune charter schools adottano l’Accelerated Christian Education, un programma educativo basato sul principio del letteralismo biblico, che nei suoi libri di testo approva la segregazione razziale, condanna l’aborto e l’omosessualità, dichiara che l’astinenza è l’unico modo per evitare l’Aids e sostiene l’esistenza del mostro di Loch Ness come prova contro la teoria dell’evoluzione[4].

3.Continua