Io ero tentata di accettare, devo dire la verità. Da tempo teorizzo il
fatto che il jet lag non esiste, ma è solo un effetto delle condizioni
infernali in cui le maledette compagnie aeree ci costringono a viaggiare, con
le ginocchia in bocca e i sedili studiati appositamente per contrarre il collo,
stortare la schiena e provocare emboli nelle gambe. E così per un momento ho
accarezzato l’offerta della Mamma. Ma poi la mia indole frugale – incoraggiata
da Mr K, che sarebbe un eufemismo definire un uomo parsimonioso – ha prevalso, e ho
risposto alla Mamma che con i soldi di un viaggio in business class mi ci
pagavo una vacanza di una settimana (come se ci andassi mai, in vacanza per una
settimana), e che non era il caso di sprecare così tutto quel prezioso denaro.
Lei allora, che non sa usare il computer e quindi non avrebbe potuto procedere
da sola all’acquisto, ha detto “vabbè, fai come ti pare”, senza però capire
bene perché fossi così idiota.
Il viaggio è cominciato maluccio, con l’aereo per Londra in ritardo. Di
poco, solo venticinque minuti, però non si sa mai, si comincia con un ritardino
e si finisce per perdere la coincidenza. La mia mente abituata a pensare sempre
al peggio si stava già lanciando in scenari terrificanti, quasi tutti per la
verità già accaduti – 1) aereo preso dopo una corsa affannosa per tutto
Heathrow e una coda apocalittica ai controlli di sicurezza (1a: arrivo a SF con
perdita della valigia [1aa: valigia consegnata dopo qualche giorno; 1ab: smarrimento
definitivo della valigia, con conseguente perdita di innumerevoli oggetti
insostituibili]; 1b arrivo a SF con tiroide sballata a causa dell’ansia); 2)
aereo perso dopo una corsa affannosa eccetera (2a: dopo una sfuriata con il
personale di terra, ottengo un voucher per una notte in albergo perché il mio
nuovo volo partirà almeno l’indomani, o forse anche più tardi, visto che adesso
sotto le feste tutti i voli sono pieni, e magari finirò persino col perdere il
concerto di Maceo Parker del primo gennaio, per non parlare della valigia; 2b:
dopo una sfuriata con il personale di terra non ottengo nessun voucher e mi
tocca dormire per terra in aeroporto).
L’aereo parte in orario nel suo piccolo ritardo, passa sopra le Alpi
spelacchiate e la Manica (scorgo in lontananza le Bianche Scogliere di Dover) e
arriva a Londra in orario. Telefono alla Mamma per avvisarla che va tutto bene.
Lei per rispondere esce dal negozio del parrucchiere – dove il cellulare non
prende – con la testa bagnata e mi avvisa che se prenderà la polmonite sarà
colpa mia.
Mi siedo tranquilla, trovo una presa per il computer e aspetto
l’imbarco. C’è un sacco di gente, non capisco perché se ne stanno tutti in
piedi a fare la fila, tanto sull’aereo il posto non te lo ruba nessuno. Quando
la fila si sta esaurendo mi alzo e mi avvicino alla hostess. Lei prende la mia
carta d’imbarco e fa una pausa. Guarda il computer. Io subito penso “ecco, mi
hanno ritirato la green card. Mi hanno cancellato il biglietto. Mi vogliono
arrestare.” La hostess dice: «You’ve been upgraded to business class». Eh? Ci
dev’essere un errore. Come mai?, le chiedo. «It’s complimentary». È un omaggio.
(Leggi: hanno fatto overbooking e mi mettono in business perché non hanno più
posti in economy.)
Prima di salire in aereo richiamo la Mamma e le comunico la splendida
notizia. Lei, con la testa ormai asciutta, esulta.
Adesso sono seduta su una poltrona comodissima, con lo schienale
reclinabile fino alla posizione orizzontale e uno sgabello per stendere le
gambe. Ho in dotazione un paio di cuffie professionali e un piumone. Mi hanno
portato un sacchetto pieno di roba: calzine, mascherina, tappi per le orecchie,
biro, burro cacao, crema per il viso e crema per le mani, spazzolino e
dentifricio. Sotto di me c’è un cassettino dove ho messo le scarpe e le altre
cose che non mi servono. Sono circondata da gente ricca, e non oso schiacciare
tutti i bottoni che spuntano dal sedile per non far vedere che sono un’intrusa.
Prima del decollo uno steward con dei modi da cameriere della Regina mi ha
gentilmente suggerito di salvare il documento che stavo scrivendo, perché
presto avrei dovuto riporre il computer. Poi me lo ha riposto lui per non farmi
alzare. Secondo me ha capito che sono un’intrusa, perché lo ringrazio
continuamente. Ha insistito anche, con aria complice, perché accettassi un
bicchiere di vino. Per pranzo ho scelto dal menu, fra tre antipasti e quattro
portate principali. Insieme all’antipasto – ho ordinato “Insalata di funghi
selvatici, uova di quaglia e carciofi con crema di tartufo e biscotti alle
olive nere” – è arrivata un’insalatina, e io mi sono scofanata tutto pensando
“però, un po’ misera questa portata principale” (si fa presto ad abituarsi al
lusso), e mi sono scolata il bicchiere di vino in tre sorsi convinta che fosse
finita lì. Invece l’insalatina era solo un piatto di mezzo, poi è arrivata la
mia “Insalata fredda di gamberetti di Ras El Hanout [non chiedetemi che roba è]
saltati in padella con carote e zucchine a julienne, couscous al limone e salsa
Espelette [vedi sopra]. Ho mangiato un paio di pregiati cioccolatini e
rifiutato il formaggio e il pudding al cioccolato. Poi sono andata in bagno, e
il bagno è grande. Cioè, doccia a parte, è più grande di quello di casa mia.
I film fanno cacare come quelli dell’economy, ma non importa. Adesso
lavoro un po’ e poi mi sdraio e magari addirittura DORMO.
Grazie Mamma, lo so che materialmente non sei stata tu, però in qualche
modo sei stata tu lo stesso.