martedì 29 settembre 2015

Meet my husband/31. Jonathon Keats e il matrimonio quantico

Mr K all'ingresso della cappella
Mentre io me ne tornavo a casa prima del solito per questioni tiroidee (ho sospeso i farmaci all'inizio di settembre in previsione delle analisi finali di novembre che mi diranno se sono guarita o no, e in questo periodo volevo essere vicina ai miei medici), Mr K se ne andava a Las Vegas per installare un suo progetto che a me piace tantissimo, il matrimonio quantico. Allora, io faccio notoriamente schifo a spiegare le opere di Mr K, ma in questo caso è ancora peggio perché il progetto si chiama Quantum Entanglement, e si basa su un caposaldo della fisica quantistica che già in italiano non si traduce tanto bene (vedi alla voce Entanglement quantistico). Comunque in pratica secondo la fisica quantistica quando due particelle sono "entangled" diventano la stessa particella anche se sono due particelle diverse, più o meno. Mr K ha costruito un apparato che rende "entangled" alcuni fotoni di due o più persone, animali, oggetti eccetera. Basta esporsi al fascio di luce rifratta dall'apparato e i nostri fotoni diventano "entangled" con quelli dell'altro. E se vogliamo sciogliere l'entanglement? Facile: siccome le particelle - sempre secondo la fisica quantistica nella mia versione ultrasemplificata e forse anche un po' sbagliata - cambiano il loro comportamento quando vengono osservate, basta dubitare del proprio "entanglement" per dissolverlo nel nulla.

Coppia "entangled" che danza
Il progetto era già stato presentato a New York nel 2011, e ne ho parlato, in inglese, QUI e QUI , mentre QUI trovate delle foto carine. 
Ora che il progetto si è spostato a Las Vegas, per il festival Life is Beautiful, Mr K ha dato un tocco decisamente sopra le righe all'estetica del matrimonio quantico. La cappella si trova in una stanza di un vecchio motel in disuso che è stato "regalato" agli artisti, principalmente graffitari, dagli organizzatori del festival. Dal soffitto pendono centinaia di cristalli da lampadario che rifrangono la luce, mentre per terra ci sono numerosi cuscinoni su cui, a quanto pare, si sono sdraiate orde di persone in stato di ebbrezza a contemplare i cristalli dopo essersi "entangled". Mi sono mangiata le mani fino ai polsi per non esserci stata. 

Sono usciti un sacco di articoli sul matrimonio quantico a Vegas, compreso QUESTO in cui potete anche votare se Mr K è un genio o un pazzo.

Comunque, mentre Mr K era all'inaugurazione del motel e io aspettavo la sua telefonata (a Las Vegas erano tipo le 3 del mattino), sono andata a guardare se qualcuno aveva messo delle foto su Instagram e ho trovato questa


martedì 22 settembre 2015

Il sapore del cibo automatico: un mio pezzo su Rivista Studio

Un paio di settimane fa sono andata a provare Eatsa, il nuovo "ristorante automatizzato" di San Francisco. Ci sono andata perché volevo scrivere un articolo, e infatti l'ho scritto. Lo trovate su Rivista Studio, QUI



sabato 19 settembre 2015

Arrivederci San Francisco

E anche questa estate a San Francisco è finita, domani parto per l'Italia. Qui tornerò a gennaio. Oggi giornata bellissima con la svendita annuale della biblioteca, di cui avevo già parlato QUI.

Per arrivarci mi basta scendere a piedi fino all'oceano...




... e poi attraversare un parco e scendere fino a Fort Mason
 

La sera abbiamo concluso in bellezza cenando al festival greco.
Ciao San Francisco, ci vediamo nel 2016.
 

giovedì 17 settembre 2015

I manichini di San Francisco/4. I bambini inquietanti

Era da tanto che volevo fotografarli. Sono nella vetrina di un negozio in Mission Street, Siegel's Clothing, che vende zoot suit (secondo il dizionario: "abito maschile con giacca molto lunga e pantaloni a tubo). Questi manichini sono un monumento cittadino. Se ne parla, con immagini più dettagliate, anche QUI. Non sono carini?


lunedì 14 settembre 2015

Una gita in barca a vela

Le domeniche libere proseguono con la mia prima gita in barca a vela. Mi sembra impossibile che proprio io, nata e cresciuta in riva a un lago, non sia mai stata su una barca a vela. Ci penso e ci ripenso, ma anche se è vero che la mia memoria è notoriamente pessima, non mi sembra proprio di essere mai stata su una barca a vela. Cosa che si spiega solo con il mio assoluto e paralizzante terrore dell'acqua profonda di cui non si vede il fondo.
Comunque, la prima tappa per arrivare alla barca a vela è la casa della mia amica Alessandra, che ci porterà in macchina fino ad Alameda, la città-isola nella baia di San Francisco dove è parcheggiata la barca del nostro amico John. Alessandra abita nel Duboce Triangle, che è vicino a Castro, lo storico quartiere gay di San Francisco. Sarà che nelle mie domeniche libere sono sempre di buonumore, ma comincio a commuovermi quando passo davanti ai tavolini all'aperto e al tripudio di fiori del Café Flore (appunto), e poi rimango a bocca aperta quando mi addentro nelle strade dietro Castro Street e trovo case e vie curatissime, tutto lindo e fiorito e di buon gusto. Questa zona è abitata da deliziosi signori gay, uno vestito da giardiniere con il cappello di paglia un po' rotto ma con stile ci indica la strada ed è così gentile, e tutto è così verde e fiorito, c'è persino un signore che vende fiori in un giardinetto sul marciapiede, gigli profumatissimi, e poi scoprirò che quel signore sta lì a vendere fiori da 35 anni (anche se poi ho letto l'intervista e il signore dice che in 35 anni il quartiere è cambiato, adesso sono tutti ricchi yuppie e lui stesso è stato sfrattato da 4 anni e pochi giorni prima era stato fermato da un poliziotto che gli aveva puntato la pistola alla tempia perché guidava con i fari spenti. Cazzo, appena gratto sotto la superficie questa città mi delude sempre. E anche stavolta ero partita con le migliori intenzioni, eh. Vabbè, andiamo avanti), e poi le strade sono alberate e c'è una luce autunnale e Dio com'è bello qui.
E guarda, c'è anche Lucy!


Con l'Alessandra passiamo da Trader Joe's a comprare le birre per la gita, e qui scopro nuovi abissi di demenzialità culinaria. Le uova sode (cage-free, mi raccomando) già pronte e sgusciate.


La barca, come dicevo, è parcheggiata in una delle marine di Alameda. Molte di queste barche non escono mai in mare, ma sono diventate case galleggianti per chi non ha troppe esigenze di spazio e soprattutto non può permettersi di pagare gli affitti criminali di San Francisco.


L'equipaggio è composto da sei persone, tutte, tranne John, fantozzianamente inabili alla benché minima manovra velistica. Mentre io, Alessandra e Mr K rimaniamo pietrificati sui sedili, limitandoci a spostare il culo quando qualcuno deve fare una manovra, gli altri due amici di John si sbattono eroicamente, riuscendo a collezionare solo cinque o sei gybe, cioè errori pericolosissimi in cui l'albero maestro (si chiamerà così?) passa violentemente da un lato all'altro della barca nel giro di un secondo netto, producendo un sibilo agghiacciante. Whooosh. Le conseguenze potenziali del gybe sono: 1) la decapitazione immediata di chiunque si trovi lungo la traiettoria della trave (o come cacchio si chiama)* dell'albero maestro (cosa che naturalmente continuavo a immaginare); 2) la rottura del suddetto albero con conseguenze catastrofiche per la barca e l'intero equipaggio. John sudava copiosamente a ogni gybe, ma per fortuna l'albero ha resistito e nessuno è stato decapitato. Abbiamo semplicemente trascorso metà della gita piegati in due per stare il più lontano possibile dall'albero assassino.

Qui sotto potete vedere quella che è stata più o meno la nostra rotta. Siamo arrivati davanti al Bay Bridge, e quel ghirigoro rappresenta il punto con la massima frequenza di gybe
 


L'acqua naturalmente era profonda e non si vedeva il fondo, anche perché abbiamo navigato perlopiù in un canale industriale davanti al porto di Oakland, davanti all'ameno paesaggio di grandi navi portacontainer e delle gigantesche gru famose per aver ispirato quei cosi brutti di Guerre Stellari. Guardate un po' se non li riconoscete


Quando poi siamo entrati nella baia si è alzato un gran vento, ma io fortunatamente ero attrezzata. Sì, perché non avendo portato l'indispensabile cappello, perché tanto sapevo che mi sarebbe volato via, prima mi sono protetta arrotolandomi la maglietta in testa, ma quando poi è venuto freddo ho estratto la mia nuovissima giacca metallizzata regalo della suocera e mi sono ritrovata al calduccio e con la testa coperta. Vedete Alessandra che, pur essendo molto più chic, doveva sempre tenersi il cappello? Io invece ho fatto proprio un figurone, se mi vedeva Lucas mi ingaggiava per la prossima puntata di Guerre Stellari (sopra di me è chiaramente visibile l'albero assassino).


*Scopro grazie ai vostri commenti che quel coso assassino si chiama boma, mentre grazie a una ricerca sul vocabolario scopro che il gybe è una strambata, ossia: "rapido spostamento del boma della randa da un bordo all'altro con il vento in poppa, che può avvenire per una manovra di virata o per errore".

lunedì 7 settembre 2015

I found my love in Mendocino/2. In tutto il suo splendore

Continua da QUI

E per finire, una carrellata di foto della mia adorata. Sigh. Amici che mi leggete, se vi capita di venire a trovarmi, per favore, portatemi a Mendocino.

Come dicevo, dietro la chiesa c'è la spiaggia






Con un sacco di delfini che saltellano vicino alla riva e una poltrona in prima fila per godersi il panorama


Dalla spiaggia parte il sentiero delle Headlands, che costeggia la scogliera

E tu cammini, cammini, e a ogni passo fai una foto...

...sospiri...

... e pensi...

...porca vacca, voglio vivere a Mendocino

Dove le case sembrano quadri







Dove una chiesa diventa un negozio di prodotti bio

E dove all'ora dell'aperitivo potete andare nel favoloso Mendocino Hotel (la foto non è mia, l'ho rubata dal web), dove lavora Jim, il barman più generoso del mondo

E magari sedervi nel giardino sul retro insieme alle torri dell'acqua

Il giorno dopo potreste andare a vedere il faro di Point Cabrillo, e potreste trovarlo così, se c'è il sole (foto mia di tre anni fa)

Oppure così, se, come questa volta, c'è la nebbia