giovedì 31 ottobre 2013

Word of the month: Spaghettification

 

 From Oxford Dictionaries:


Spaghettification

noun
[mass noun] Physics
the process by which (in some theories) an object would be stretched and ripped apart by gravitational forces on falling into a black hole.

In Italiano: Spaghettificazione 

mercoledì 30 ottobre 2013

Quote of the day: Adriano Olivetti


"La bellezza, insieme all'amore, alla verità e alla giustizia, rappresenta un'autentica promozione spirituale. Gli uomini, le ideologie, gli stati che dimenticheranno una sola di queste forze creatrici non potranno indicare a nessuno il cammino della civiltà."
Adriano Olivetti
(E se vi siete persi la miniserie Rai, la trovate QUI)

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/saggezza/frase-132472?f=a:17128>

martedì 29 ottobre 2013

No Woman, No Drive

Artwork by Carlos Latuff



Le donne saudite sono tornate al volante il 26 ottobre per una prima ripresa della loro campagna Women2drive.

L’artista satirico saudita Hisham Fageeh ha dedicato loro una divertente parodia di No Woman No Cry di Bob Marley. La trovate qui sotto.


lunedì 28 ottobre 2013

Giardini botanici, semi da adottare e la Foresta Rossa di Velasco Vitali

Ieri alla radio si parlava degli orti botanici della Lombardia, di come rivitalizzarli o meglio mantenerli in vita in questo periodo di crisi in cui anche i musei soffrono molto e bla bla bla. Un'idea carina che hanno avuto si chiama "Adotta un seme", con dodici piante protette di cui potete acquistare i semi online. Io, anche se non ho il giardino, penso che comprerò dei semi di Iris da regalare, perché l'Iris mi ricorda tanto la tombola dei fiori a cui giocavo da bambina.

Mi era venuta voglia di fare il paragone con il Desert Botanical Garden di Phoenix, che resta aperto fino alle nove di sera (di notte le piante sono illuminate ad arte, con effetti davvero insoliti), che ospita al suo interno un ristorante e una serie di concerti, ma forse sarebbe un paragone impietoso, visto il periodo di crisi e bla bla bla.

E così, visto che lo Stato se ne frega della sua cultura e delle sue bellezze, ogni tanto ci pensa qualche privato ricco sfondato (e lo dico con grande rammarico) a organizzare qualcosa di bello. Come la famiglia Borromeo, proprietaria delle isole del lago Maggiore, che ha chiamato l'artista Velasco Vitali perché ricreasse alcune sue opere nel meraviglioso giardino botanico dell'Isola Madre. Io me lo sono perso, ma sono molto contenta che ci sia stato.

Foto di Carlo Borlenghi. Altre foto qui

giovedì 24 ottobre 2013

"I Miss This Tree": ecco l'autrice

Ieri sera mi ha scritto la mia amica Noa Charuvi, con la quale (e con la sua bellissima bambina Maya) passeggiavo a Prospect Park il giorno in cui ho fotografato l'albero abbattuto con tutti quei bigliettini. Noa mi scrive: "Ho scoperto chi è l'artista, la conosco, andavamo a scuola insieme! Era sul New York Times di oggi!"

Lei si chiama Jennifer Brantley, ed ecco cosa dice il NYT del suo progetto, "Communicate Care":

AND FINALLY…
Last spring, Jennifer Brantley was walking through Prospect Park in Brooklyn near Grand Army Plaza when she noticed a big beech had been cut down.
“It got struck by lightning, it was diseased, Sandy didn’t help,” she said.
Ms. Brantley, 33, left small white paper flags and a composition book in a clear bag beside the beech stump on Oct. 10.
Since then, people have posted nearly 50 of her flags on the tree’s roots. (See photo.)
“I miss this tree,” reads the inscription on them.
The composition book has filled with tributes.
“It had skin like an elephant and was wise,” one says.
Someone placed a chunky wooden sculpture on the stump.
It says, “I tried.”
The shrine is still there. You can stop by and pay your respects.






lunedì 21 ottobre 2013

Cosa c'è che non va nel mondo moderno. Jonathan Franzen su Internazionale

"Nel mio piccolo angolo di mondo, quello della narrativa americana, Jeff Bezos di Amazon non sarà forse l’Anticristo, ma sicuramente ricorda uno dei quattro cavalieri dell'Apocalisse. Amazon vuole un mondo in cui ognuno si pubblica il suo libro oppure lo fa pubblicare da Amazon, con i lettori che scelgono cosa leggere in base alle recensioni di Amazon e con gli autori che si fanno pubblicità da soli. Un mondo in cui avranno successo le opere di chiacchieroni, twittatori e millantatori, e di chi si potrà permettere di pagare qualcuno per sfornare centinaia di recensioni a cinque stelle. Ma cosa succede a chi è diventato scrittore proprio perché chiacchierare, twittare e millantare gli sembravano una forma di interazione sociale intollerabilmente superficiale? Cosa succede a chi vuole comunicare in profondità, da individuo a individuo, nel silenzio e nella permanenza della carta stampata, ed è stato influenzato dall’amore per autori che scrivevano quando la pubblicazione assicurava ancora un certo controllo di qualità, e la reputazione letteraria non era solo una questione di decibel autopromozionali? Mentre sempre meno lettori sono in grado di raggiungere - in mezzo al frastuono, ai libri deludenti e alle recensioni fasulle - le opere prodotte dalla nuova generazione di scrittori di questo tipo, Amazon è sulla buona strada per trasformare gli scrittori in operai senza prospettive come quelli che i suoi fornitori impiegano nei magazzini, facendoli lavorare sempre di più per salari sempre più bassi e senza nessuna sicurezza del lavoro, perché i magazzini si trovano in posti dove nessun altro assume manodopera. E più aumenta la fetta di popolazione che vive come questi operai, e più cresce la pressione per abbassare i prezzi dei libri e si acuisce la crisi dei librai tradizionali, perché chi non guadagna molto vuole intrattenimento gratis, e chi ha una vita dura vuole gratificazioni istantanee («Spedizione gratuita entro 24 ore!»)."

da Cosa c'è che non va nel mondo moderno, di Jonathan Franzen, pubblicato su "Internazionale" del 18/24 ottobre 2013. Traduzione mia.

venerdì 18 ottobre 2013

Franzen su Internazionale (e arrivederci New York)

Sul numero di Internazionale in edicola c'è un lungo articolo di Jonathan Franzen tradotto da me (e da Claudio Groff per le parti in tedesco).


Oggi parto, torno a casa. Saluto New York con un paio di foto della High Line. Ci risentiamo dall'Italia!



mercoledì 16 ottobre 2013

Postcards from New York/17. Una giornata tipo

Una giornata tipo di quando sono a New York in vacanza. Nella mia città preferita (insieme a Roma). Cammino. Cammino cammino cammino. Fotografo le torri dell'acqua.


Mangio un bagel con cream cheese and lox
Vado al Met, dove scopro sempre qualcosa di nuovo.


Attraverso Central Park.

 



Vedo amici.

Vado allo Strand.


Vedo amici.

Sono molto contenta.


martedì 15 ottobre 2013

Il giardino dei cactus di Phoenix

L'ultimo tratto del lungo viaggio da Santa Fe a Phoenix ci offre ancora qualche roccione rosso e alcune sorprese



A Phoenix - dove finalmente riconsegnamo la macchina - abbiamo mezza giornata, e decidiamo di passarla al Desert Botanical Garden. Scelta azzeccatissima. Il giardino, grande e ben tenuto, contiene un'enorme quantità di piante grasse di ogni tipo, fra cui naturalmente i magnifici saguari, e anche un padiglione delle farfalle monarca (la foto è mia!).



Il giardino botanico è aperto fino alle 8, e al tramonto si sentono cantare molti uccelli e si vedono i colini di Gambel (un tipo di quaglia, parente stretto del colino della California, l'uccello "statale" della California) che attraversano i sentieri. Ho giocato a nascondino con i colini per riuscire a fotografarli, ma non sono riuscita a ottenere altro che qualche macchia sfocata. Però siccome li adoro, con quella loro aria da signora grassoccia col cappellino, ve li faccio vedere lo stesso. Quello sotto invece l'ho fotografato io. Non l'ho riconosciuto, però cantava meravigliosamente.



Il mattino dopo voliamo a Las Vegas, per andare a trovare i nostri amici di cui avevo già parlato qui. E il mattino dopo ancora, si riparte per San Francisco. La luna di miele è finita, ma il mio viaggio no. Ho ancora tre giorni a New York, ospite dei miei suoceri, prima di tornare a casa (per un totale di tre aerei in tre giorni, quattro in una settimana. Pessimo periodo per la mia impronta di carbonio).

Las Vegas o New York?

domenica 13 ottobre 2013

Da Santa Fe a Gallup: nel cuore del New Mexico

Santa Fe ci piace un po' meno di Taos. Ci piace Canyon Road, la strada delle gallerie d'arte, dove in mezzo alla paccottiglia si trovano alcune cose di grande qualità, soprattutto da Morning Star, Robert Nichols e Medicine Man. Ci piace l'oasi naturalistica della Nature Conservancy, dove facciamo una passeggiata carina ma un po' corta, perché le guardie forestali hanno chiuso il sentiero per motivi ignoti. Non ci piace per niente downtown, una trappola per turisti piena - questa sì - di paccottiglia.
La foto migliore che ho scattato a Santa Fe è questa


Da Santa Fe cominciamo il viaggio di ritorno verso Phoenix: lì restituiremo la macchina e prenderemo l'aereo per Las Vegas, dove ci attendono due amici e l'ultima tappa del viaggio. La strada da Santa Fe a Phoenix è lunga, e per spezzarla decidiamo di fermarci a Gallup. Viaggiamo in mezzo al deserto, accompagnati da drammatiche nuvole temporalesche, nell'unica giornata non perfettamente serena da quando siamo partiti.


A Gallup ceniamo in un hotel kitschissimo, dove sono passati tutti gli attori dei western che sono stati girati da queste parti. La galleria dei ritratti ospita tutti i grandi nomi dei tempi d'oro di Hollywood. (I miei preferiti, Robert Mitchum e Cary Grant, mi sono venuti sfocati.)



A parte questo, a Gallup, che sorge lungo la famosa e decrepita Route 66, non c'è proprio niente.


giovedì 10 ottobre 2013

Le mille meraviglie di Taos/3. Agnes Martin e le terme di Ojo Caliente

Georgia O'Keeffe bazzicava da queste parti, ma i suoi teschi sbiancati e i suoi fiorelloni vaginali non mi hanno mai fatta impazzire. Preferisco decisamente Agnes Martin, anche lei un'appassionata di questi posti, alla quale l'Hardwood Museum of Art di Taos ha dedicato una sala con sette dipinti che si possono rimirare seduti sulle quattro panche gialle di Donald Judd. Ovviamente la foto non rende per niente la bellezza di questa sala. 


Infine partiamo da Taos diretti a Santa Fe, ma con una tappa importante in mezzo: le terme di Ojo Caliente. Mentre Mr. K, che detesta le terme, mi aspetta leggendo un libro all'ombra, io sguazzo nelle pozze calde di acqua al litio, all'arsenico, alla soda e al ferro, mi spalmo di fango e mi distendo a seccare al sole.

 




Ciao Taos, ci sei molto piaciuta (qui sotto, due amichetti che sono venuti a salutarci mentre pranzavamo).


mercoledì 9 ottobre 2013

Le mille meraviglie di Taos/2. Adobe e ottimo cibo

Taos è un gioiellino, piccola e turistica, certo, ma deliziosa. Gli edifici di adobe ospitano generalmente gallerie d'arte succursali del MOBA (corrente western), ma niente riesce a rovinare il fascino di questa cittadina. 

Quando cerchiamo di visitare la chiesa di San Francisco de Asís e la troviamo chiusa, chiediamo informazioni al proprietario di una galleria d'arte lì vicino (questa carina, però), il quale ci spiega che sono tutti malati, dal prete alle perpetue, e poi ci indica un sentiero bellissimo dove andare a passeggiare al tramonto.

San Francisco de Asís, di lato
San Francisco de Asís, retro
Il sentiero al tramonto
E siccome qui sono tutti gentili e amichevoli, la padrona di un caffè ci indica un ristorante per la sera che risulterà il migliore di tutto il viaggio. The Love Apple: bello fuori e dentro, buonissimo, servizio squisito e non caro. Dopo cena ci sediamo nel cortile intorno al fuoco a bere un bicchiere di vino, e riesco a staccarmi di lì solo quando si spengono tutte le luci del ristorante.

The Love Apple da fuori e il nostro braciere (foto dal web)
 


martedì 8 ottobre 2013

Le mille meraviglie di Taos/1. Il canyon e il villaggio ecosostenibile

La prima meraviglia si incontra lungo la strada che porta a Taos. Da lontano si scorge una spaccatura nella terra, poi un ponte, poi si percorre il ponte, si guarda giù e...


... si scopre di essere capitati sopra il famoso Rio Grande Gorge Bridge. Si può attraversarlo a piedi, cosa che io ho fatto cacciando mugolii di terrore al pensiero che un terremoto poteva spaccare il ponte in due proprio mentre ero in mezzo, e fermarsi a scattare foto dai terrificanti balconcini che sporgono a intervalli dalla campata. Oppure si può fare una passeggiata nella prateria che corre lungo il bordo del canyon, da dove il ponte appare così

 

E magari, al ritorno, fermarsi a bere un caffè


Dopo l'emozione del ponte, si prosegue verso Taos e si vedono delle strane costruzioni lungo la strada, una via di mezzo fra Gaudì e una discarica. Arrivati al motel (un ottimo Super8 che aiuta a dimenticare l'incubo del Travelodge di John Landis) chiediamo informazioni, e scopriamo che si tratta di una cosa fichissima: Earthship, un progetto di bioarchitettura per villaggi completamente ecosostenibili costruiti con materiali di scarto come copertoni e lattine. E via che andiamo a visitare anche quello, naturalmente. Fedeli al nostro standard di turisti tirchio-alternativi, evitiamo invece il Taos Pueblo, il famosissimo villaggio degli indiani Pueblo sicuramente molto bello ma che costa $16 all'ingresso e comunque non mi fa impazzire dalla voglia di andare curiosare a pagamento in casa degli altri, soprattutto quando questi altri palesemente ne farebbero a meno se non fosse che gli servono i tuoi $16.
E noi invece, per soli $10, visitiamo Earthship, che comunque ci piace un sacco.