Sabato sera siamo andati a casa di due amici che ogni anno organizzano un piccolo ricevimento per la Burns' Night, la tradizionale festa scozzese in onore del poeta Robert Burns.
James e Tim vivono in una meravigliosa casa vittoriana che hanno comprato, beati loro, nel 1996, quando comprare una casa a San Francisco non era solo prerogativa dei miliardari. A differenza di quasi tutte le altre vecchie case della città, come la nostra, qui le finiture in legno non sono state dipinte di bianco, ma sono rimaste del colore originario, legno di sequoia tinto di marrone scuro per farlo sembrare noce. Questo dà subito all'ambiente un'aria ottocentesca, aumentata dallo squisito arredamento d'epoca, perfettamente intonato a una serata in onore del sommo poeta scozzese (che è vissuto nel '700, ma vabbè, ci siamo capiti).
Per compensare la triste mancanza dell'haggis, che negli Usa è bandito perché contiene polmoni di pecora (!), i padroni di casa organizzano ogni anno un concorso per il migliore scotch. Ogni invitato porta una bottiglia di whisky scozzese con l'etichetta nascosta; durante la serata tutti assaggiano abbondanti porzioni delle varie bevande e infine votano la loro preferita. Chi ha portato la bottiglia vincente avrà in premio quella che vuole tra le bottiglie in gara, poi la scelta tocca a chi ha portato la seconda classificata e così via, perché nessuno se ne vada a mani vuote. (Io non posso bere perché pare che l'alcol possa aggravare i sintomi della mia rinite della supercazzola, e così mi sono limitata a votare annusando.)
Tra un assaggio di whisky e l'altro si leggono poesie (soprattutto quelle licenziose) di Burns, una strofa a testa in uno scozzese totalmente incomprensibile che gli americani si sforzano invano di replicare con l'accento originale. Io non solo non potevo bere, ma avevo anche lasciato a casa gli occhiali. Per fortuna, a evitarmi la figura della sfigata totale, Tim (che lavora per la Grace Cathedral di cui ho parlato anche nel mio libro) mi ha prestato una lente d'ingrandimento che mi ha consentito di leggere con grande enfasi ma senza capire un accidente versi immortali tipo l'Ode allo haggis. E poi naturalmente abbiamo cantato tutti in coro Auld Lang Syne, la canzone più triste del mondo.