Lo sto rileggendo perché - che bello! - il prossimo trimestre lo leggerò con i miei studenti americani. Se non lo conoscete già ve lo consiglio, di tutto cuore.
"I
talebani hanno fatto uscire tutti, bambini e adulti. Ci hanno ordinato
di metterci in cerchio, nel cortile, i bambini davanti, perché eravamo
più bassi, e gli adulti dietro. Poi, al centro del cerchio hanno fatto
andare il maestro e il preside. Il preside stringeva la stoffa della
giacca come per stracciarla, e piangeva e sivoltava a destra e a
sinistra in cerca di qualcosa che non trovava. Il maestro, invece, era
silenzioso come suo solito, le braccia lungo i fianchi e gli occhi
aperti, ma rivolti dentro se stesso, lui che, ricordo, aveva dei begli
occhi che dispensavano bene tutt’intorno.
Ba omidi didar ragazzi, ha detto. Arrivederci.
Gli hanno sparato. Davanti a tutti.
Da quel giorno la scuola è stata chiusa, ma la vita, senza scuola, è come la cenere.
A questo tengo molto, Fabio.
A cosa?
Al fatto di dire che afghani e talebani sono diversi. Desidero che la
gente lo sappia. Sai di quante nazionalità erano, quelli che hanno
ucciso il mio maestro?
No. Di quante?
Erano venti quelli arrivati con le jeep, giusto? Be’, non saranno stati
di venti nazionalità diverse, ma quasi. Alcuni non riuscivano nemmeno a
comunicare tra loro. Pakistan, Senegal, Marocco, Egitto. Tanti pensano
che i talebani siano afghani, Fabio, ma non è così. Ci sono anche
afghani, tra di loro, ovvio, ma non solo: sono ignoranti, ignoranti di
tutto il mondo che impediscono ai bambini di studiare perché temono che
possano capire che non fanno ciò che fanno nel nome di Dio, ma per i
loro affari.
Lo diremo forte e chiaro, Enaiat. Dove siamo rimasti?"
PS: Questo è Enaiatollah, a scuola, in Italia.