Per chi di voi fosse interessato, con soli 2.3 milioni di dollari si può oggi acquistare la casa di Jeffrey "The Dude" Lebowski. Si tratta di un delizioso compound di sei villette, molto tirate a lucido rispetto ai tempi in cui ci viveva lui, a pochi passi dalla spiaggia di Venice Beach, un distretto di Los Angeles che si sta rapidamente gentrificando. Qui sotto potete vedere le foto del compound, tratte da Gawker.
mercoledì 27 luglio 2011
lunedì 25 luglio 2011
Il giocoliere della motosega, un racconto di Arthur Bradford
Da oggi fino alla fine di agosto il blog entra in modalità risparmio energetico, nella quale verranno pubblicati un paio di post alla settimana. Da settembre si riprenderà a ritmo normale.
Nel frattempo auguro buone vacanze a chi le farà, e vi offro una piccola lettura estiva.
Mentre scrivevo degli artisti della motosega, nel mio post precedente, mi sono ricordata di un libricino delizioso da me tradotto per Einaudi alcuni anni fa, Dogwalker, di Arthur Bradford. Si trattava di una raccolta di racconti assurdi e divertenti, tra i quali ce n'era uno intitolato Chainsaw Apple, che nella traduzione è diventato Il giocoliere della motosega.
Il racconto comincia così:
IL GIOCOLIERE DELLA MOTOSEGA
Arthur Bradford
Mi sembrava un giochino piuttosto semplice. Il mio amico Robert doveva tenere la mela in bocca mentre io, con mano ferma, intagliavo le sue iniziali nel frutto con una motosega. – Sembra pericoloso, ma non lo è, – dissi a Robert. – Non c'è proprio niente di cui preoccuparsi.
Prima feci un po’ di pratica, naturalmente. Infilzai una mela in cima a un bastone e poi misi in moto la sega. Ma il bastone non era un sostegno adeguato, e la mela schizzò via nel cortile non appena la sfiorai. Davvero un arnese eccellente, la motosega – potenza, velocità e grazia riunite in un unico oggetto. Una volta ho visto gente pratica di motoseghe ricavare un cigno maestoso da un blocco di ghiaccio. Ci ho provato anch’io, ma alla fine ho perso la pazienza. I cigni hanno il collo così delicato.
Il morsetto si rivelò un ottimo sostituto della bocca umana. Robert mi guardava da lontano mentre cominciavo a perfezionare la tecnica. Un leggero colpetto con la punta della lama era sufficiente per lasciare il segno. La sega fendeva la polpa della mela con estrema facilità. Ma la piccola curva della lettera R rappresentava un problema. Inoltre, per peggiorare la situazione, il cognome di Robert era Ulfburg, e la vera sfida consisteva nell’intagliare quella U senza farla sembrare una V.
– Vorrei che ti chiamassi Xavier Lewis, – gli dissi.
Prima feci un po’ di pratica, naturalmente. Infilzai una mela in cima a un bastone e poi misi in moto la sega. Ma il bastone non era un sostegno adeguato, e la mela schizzò via nel cortile non appena la sfiorai. Davvero un arnese eccellente, la motosega – potenza, velocità e grazia riunite in un unico oggetto. Una volta ho visto gente pratica di motoseghe ricavare un cigno maestoso da un blocco di ghiaccio. Ci ho provato anch’io, ma alla fine ho perso la pazienza. I cigni hanno il collo così delicato.
Il morsetto si rivelò un ottimo sostituto della bocca umana. Robert mi guardava da lontano mentre cominciavo a perfezionare la tecnica. Un leggero colpetto con la punta della lama era sufficiente per lasciare il segno. La sega fendeva la polpa della mela con estrema facilità. Ma la piccola curva della lettera R rappresentava un problema. Inoltre, per peggiorare la situazione, il cognome di Robert era Ulfburg, e la vera sfida consisteva nell’intagliare quella U senza farla sembrare una V.
– Vorrei che ti chiamassi Xavier Lewis, – gli dissi.
Il resto potete leggerlo QUI.
giovedì 21 luglio 2011
Una gita a Lake Tahoe/2: Case, orsi e motoseghe
Durante la gita a Lake Tahoe dello scorso fine settimana, altre due cose mi hanno colpita oltre alla sublime torta di ciliegie: la stravagante architettura delle case e la presenza - che purtroppo non si è concretizzata in un avvistamento - degli orsi.
Ovviamente da queste parti non si trova nulla di simile alla nostra architettura alpina: si fa un uso limitato della pietra, e le case sono molto moderne, più che altro costruite in legno. Ecco qualche esempio:
L'asimmetria piace molto |
All'inizio di Dollar Drive, nella località Dollar Point (se qualcuno non avesse capito che è un posto da benestanti) |
Un tipo di decorazione molto diffusa. Nella casa dove eravamo ospiti c'era una terrificante testa di alce americano sopra il caminetto |
Le case hanno un garage che va tenuto rigorosamente chiuso, altrimenti arrivano gli orsi e fanno man bassa di tutte le provviste che riescono a trovare. Sono molto bravi ad aprire lo sportello del frigorifero, e a quanto pare ognuno ha le sue preferenze in materia di cibo, anche se i dolci riscuotono sempre un grande successo. Attirati dalla presenza di cibo, gli orsi scendono regolarmente in paese: gli avvistamenti sono frequentissimi. Io purtroppo li ho visti solo come chainsaw sculptures (sculture fatte con la motosega, che da queste parti vanno per la maggiore. A proposito, la prossima settimana pubblicherò un racconto da me tradotto che parla proprio di motoseghe) davanti alle case, oppure ritratti sui cartelli stradali.
Orsi scolpiti con la motosega |
Attenzione: attraversamento orsi |
Flat San Francisco
Ieri, mentre tornavo dall'ufficio della Social Security Administration, per alleviare la faticaccia della salita ho deciso di imitare il fotografo Dan Ng che si diverte ad appiattire San Francisco. Ecco il risultato.
mercoledì 20 luglio 2011
Un'appendice alla Green Card Story: il Social Security Number
Una volta ottenuta la Green Card, tocca adesso al Social Security Number, quella specie di codice fiscale necessario per lavorare, sottoscrivere un'assicurazione e mille altre cose.
Capire cosa bisogna fare per ottenerlo non è stato semplice. I due diversi siti ufficiali della Social Security Administration non sono per niente chiari, e non si capisce se occorre portare, oltre ai soliti documenti e a un modulo compilato, anche il certificato di nascita originale (che non serve neppure per ottenere la Green Card). Uno dei due siti afferma che il certificato è necessario, mentre l'altro dice che "potrebbe essere richiesto". Cosa vuol dire "potrebbe"?
Ho provato a telefonare, ma quando telefoni per chiedere come ottenere il Social Security Number ti risponde la solita vocina meccanizzata che ti impedisce di accedere al servizio se prima non inserisci il tuo Social Security Number.
Ho provato a chiedere all'avvocato, che però ne sapeva meno di me.
Poi finalmente ho avuto l'idea geniale di far telefonare mio marito, il quale, dotato di Social Security Number, ha potuto parlare con un impiegato vero e farsi spiegare che no, il certificato di nascita non è necessario. Bastano il passaporto, la Green Card e l'Advance Parole (in pratica, tutte le prove della propria identità che si possono portare).
Così questa mattina ho fatto una passeggiata fino all'ufficio della Social Security Administration in Kearny Street, dalle parti di Chinatown. Avevo sentito storie di code apocalittiche, e invece, come mi è capitato finora con tutte le pratiche burocratiche americane, è filato tutto liscio. Poca gente, come al solito tutti cinesi, e un'attesa di dieci minuti prima di andare allo sportello, consegnare i documenti e sentirmi dire che il tesserino mi arriverà per posta nel giro di un paio di settimane.
Nel frattempo ho ascoltato i dialoghi (quelli non in cinese, naturalmente), quelli sì un po' apocalittici, fra un impiegato cinese e alcune persone in attesa. Argomento: licenziamenti e disoccupazione. E poi, per fortuna, anche questo:
Impiegato a una signora: - Quanti anni ha tua madre, centodieci?
Signora (ridendo come se avesse appena sentito un'assurdità): - NOOO!- E poi, in tono normale: - Centoquattro.
martedì 19 luglio 2011
La torta di Nonna Papera: la ricetta
In genere non sono una mangiatrice di dolci, e di conseguenza non li so nemmeno cucinare. Per questo motivo, pubblicando il post di ieri sulla paradisiaca torta alle ciliegie di Machado's, non mi è neppure venuto in mente che qualcuno potesse pensare di replicare tanta sublimità a casa propria.
Sono stata subito contraddetta da Ileana, la quale mi ha informato che sarebbe in realtà assai crudele da parte mia, dopo avervi mostrato le immagini di cotanta prelibatezza, non offrirvi almeno la possibilità di cimentarvi nella creazione della famosa Torta di Ciliegie di Nonna Papera. E così sono andata in cerca di una ricetta plausibile, nella speranza che il mio generoso gesto verrà un giorno ricompensato dalla generosa offerta di una bella torta di ciliegie fatta in casa (visto che io continuo a non avere intenzione di cucinarmela in proprio).
Allora, dopo aver sgomberato il campo dai dubbi linguistici e aver chiarito che:
- Pie in inglese è la torta ripiena, che può essere dolce o salata;
- Tart è la crostata
- Cake è il nome generico che indica più o meno tutte le altre torte
- Questi nomi non sono intercambiabili, cioè non funzionano come il nostro "torta" multiuso
Passiamo alla ricetta della Grandma Duck's Cherry Pie, ovvero della Torta di Ciliegie di Nonna Papera.
Ingredienti
Per il ripieno:
Per il ripieno:
- 1 kg di ciliegie denocciolate (tipo visciole) fresche o surgelate
- 3 cucchiai di zucchero di canna (o più, a seconda di quanto sono aspre le ciliegie)
- Il succo di mezzo limone
- 30 gr di maizena
- Un pizzico di cannella
Per la crosta (per un'altra versione, si veda QUI):
- 350 gr di farina 00
- 250 gr di burro
- 20 gr di zucchero
- 1 pizzico di sale
- 2 cucchiai di acqua
Setacciare la farina, aggiungere il burro freddo tagliato a cubetti e mescolare aggiungendo lo zucchero e il sale. Aggiungere l’acqua fredda, un cucchiaio per volta fino a che l’impasto non forma un palla. Avvolgere nella pellicola e mettere in frigo per almeno mezz’ora.
Mescolare le ciliege denocciolate con lo zucchero, il limone, la maizena e la cannella. Lasciar riposare per 15 minuti. In alternativa, soprattutto se le ciliegie sono surgelate, si può passarle qualche minuto in padella per lasciar uscire il sugo, poi aggiungere gli altri ingredienti e infine ripassare sul fuoco per qualche altro minuto finché la mistura non raggiunge la consistenza desiderata.
Prendere l’impasto e dividerlo in due parti, una un po’ più abbondante dell'altra. Stendere la pasta in una teglia antiaderente o di alluminio usa e getta. Con i rebbi della forchetta punzecchiare la base e aggiungere le ciliegie. Stendere il rimanente impasto, chiudere la torta e punzecchiare di nuovo.
Cuocere, in forno preriscaldato, 10 minuti a 200° e altri 30 minuti a 175° forno ventilato.
Fatemi sapere com'è venuta!
lunedì 18 luglio 2011
Una gita a Lake Tahoe/1: La torta di Nonna Papera
Il lago Tahoe si trova sulla Sierra Nevada, al confine tra la California e, appunto, il Nevada. Per raggiungerlo bisogna guidare per circa tre ore e mezza da San Francisco in direzione nord-ovest, e salire a circa duemila metri d'altezza. È circondato da foreste, ha splendide acque azzurro-Sardegna in cui è praticamente impossibile nuotare tanto sono gelide, ed è grande più del doppio del mio lago Maggiore (496 kmq contro 212). Sulla sponda californiana ci sono luoghi di villeggiatura californiani, sulla sponda nevadiana ci sono casinò e luoghi di villeggiatura nevadiani.
Sulla strada per Lake Tahoe, circa un'ora prima di arrivare al lago, c'è una cittadina di nome Auburn. Se capitate ad Auburn, andate da Machado's a comprare una torta. Di ciliegie, se è la stagione giusta. O di pesche, di mele, di frutti di bosco, di quello che volete. Il signor Machado ha un frutteto, e vende frutta, verdura, roba molto buona. E poi vende torte. I cuochi del signor Machado preparano le torte dietro una vetrina, e appena le vedi ti viene voglia di mangiarle tutte. La cherry pie è imbottita di enormi ciliegione rosso scuro, ricoperte da un sottile strato di sfoglia. Le torte di Machado sono sublimi. Tali e quali le torte di Nonna Papera.
Fuori dalla rivendita del signor Machado c'è anche un bel mulino, molto fotogenico, anche se molto meno fotogenico della cherry pie.
Le torte di Nonna Papera |
Il mulino di Machado's |
La mia prima fetta |
giovedì 14 luglio 2011
Meet my husband/8: Mars Has Arrived
The website of the radio station KALW News has just published an interview which took place last year, during the opening of the show Mars Has Arrived at Modernism Gallery in San Francisco.
Here is how the project has been described in the article Finally: Affordable Space Travel Comes to San Francisco published by Good Magazine:
"(...) Keats wanted a way to bring the extra-terrestrial experience down to Earth. So he formed his own space agency—the Local Air and Space Administration, or LASA—and has designed several convenient tours for Earth-dwellers. In one, the artist embedded pieces of meteorite in the soles of slippers, allowing space walks inside any apartment. Not wanting to exclude plants, he also smashed bits of asteroid into dirt, then planted cacti
in the foreign soil.(...) But the simplest way for people to tour space will be to drink it. In an upcoming show at San Francisco’s Modernism Gallery, Keats will be selling bottles of water mineralized with pieces of the Moon, Mars, or a star. Call it the opposite of Neil Armstrong sipping Tang in the LEM. (Keats also offers a trip to potatoes, through osmosis.) And like any good travel agent, he’s ready to cut a deal for the ambitious voyager. 'There will be package tours for people who want to experience all three.'"
Here you can read (and listen to) the interview, written after the journalist had enjoyed a glass of stellar mineral water.
The Naturally Air Conditioned City
mercoledì 13 luglio 2011
Le foto di Linda McCartney
Sono una più bella dell'altra...
Paul, Stella and James, Scotland, 1982 |
Brian Jones and Mick Jagger in New York in 1966. |
Paul, Heather and Mary McCartney |
Janis Joplin |
Ne trovate altre, tutte bellissime, qui.
martedì 12 luglio 2011
Primo giorno di scuola (con una vignetta d'eccezione)
La vignetta è - udite, udite - di Flannery O'Connor. Il libro che raccoglie tutta la sua produzione a fumetti, intitolato Flannery O'Connor: The Cartoons, verrà pubblicato in dicembre da Fantagraphics. Ne parla il Guardian qui.
Le allieve del corso intensivo Elementare 1 sono brave. Hanno capito subito le concordanze nome-aggettivo e il verbo essere. Con le c e le g dure e dolci ci azzeccano che è un piacere. Nessuna legge OGAI anziché oggi, come pare che facciano alcuni. Insomma, speriamo che almeno il corso serale mi regali qualcosa da raccontare!
lunedì 11 luglio 2011
Sul titolo del blog e su uno scrittore da scoprire
Molti conoscono il film di Fred Schepisi Sei gradi di separazione, che ha reso popolare la teoria omonima, secondo la quale ciascuno di noi può essere collegato a qualunque altra persona attraverso una catena di conoscenze composta da non più di cinque intermediari.
Nel 1967 il sociologo americano Stanley Milgram (l'ideatore del famoso Esperimento Milgram, che probabilmente aveva deciso di passare a qualcosa di più tranquillo) decise di testare quella che lui definiva "teoria del mondo piccolo" (altro nome suggestivo), scegliendo a caso un gruppo di americani del Midwest e chiedendo loro di mandare un pacchetto a un estraneo che abitava nel Massachusetts. Il mittente - che conosceva il nome del destinatario, la sua occupazione e la zona in cui risiedeva, ma non l'indirizzo preciso - doveva spedire il pacchetto a una persona di sua conoscenza, che a suo giudizio avesse il maggior numero di possibilità di conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe fatto lo stesso e così via, fino al raggiungimento del destinatario. Il pacchetto arrivò in media dopo soli cinque-sette passaggi: voilà, la teoria dei sei gradi di separazione era nata.
Ma forse non tutti sanno che in realtà la teoria aveva già visto la luce nel 1929, a opera dello scrittore ungherese Frigyes Karinthy (o Karinthy Frigyes, come si dice in ungherese). Romanziere, poeta, giornalista e traduttore, figura di grande importanza per la letteratura ungherese, Karinthy è stato il primo a proporre il concetto dei sei gradi di separazione nel suo breve racconto del 1929 Catene.
Tutto questo l'ho scoperto grazie ad Andrea Rényi, la traduttrice che ha curato la versione italiana di Viaggio intorno al mio cranio, il volume edito da BUR che riunisce l'omonimo romanzo (con prefazione di Oliver Sacks) e il suddetto racconto.
Questa la sinossi: "Il fragore assordante di un treno di passaggio sorprende Frigyes Karinthy mentre, seduto al suo tavolo preferito in un elegante caffè di Budapest, è assorto nei propri pensieri. Ma non ci sono stazioni e non passano treni, nel centro della città. Il boato è in realtà una potente allucinazione. Dopo aver consultato specialisti di ogni tipo, lo scrittore scopre di avere un tumore al cervello e che un intervento chirurgico è la sua unica possibilità di sopravvivenza. E il 1936 e la neurochirurgia è in una fase pionieristica, ma di forte sviluppo. Karinthy va a Stoccolma e si affida alle mani di Olivecrona, allievo del grande Harvey Cushing. Il suo racconto dell'operazione, subita da sveglio, è - oltre che la prima testimonianza storica di questo tipo - un autentico capolavoro letterario : Karinthy flirta divertito con il presentimento della morte e trasforma il proprio viaggio negli abissi della malattia in una brillante esplorazione della natura umana."
Frigyes Karinthy |
Questo, invece, è Dario Olivero su Catene: "Il testo di Catene è un discorso tra un gruppo di amici che parte da un assunto: come scriveva Chesterton, i filosofi si affannano a immaginare un cosmo grande, in realtà è piccolo. Tanto piccolo che, ecco la formulazione della teoria, 'selezioneremo una persona a caso fra il miliardo e mezzo che popola il pianeta, una qualsiasi, dovunque'. Poi scommettiamo che, passando per non più di cinque individui, fra cui un conoscente, possiamo entrare in contatto con quell’individuo. Esempio. Come entrare in contatto con un oscuro operaio della Ford? Soluzione: 'L’operaio conosce il capo officina, che conosce Mr Ford in persona, il quale ha buoni rapporti con il direttore generale dell’impero editoriale Hearst che ha avuto modo di conoscere il signor Pasztor che è un mio ottimo amico'."
Buona lettura!
sabato 9 luglio 2011
Quote of the day: Groucho Marx
venerdì 8 luglio 2011
Beautiful Houses/7
Pacific Heights (Italianate Style, 1876) |
"Gli elementi essenziali dello stile Italianate, adattato per le case a schiera di San Francisco, sono: l'importanza della verticalità, con soffitti alti e finestre a saliscendi alte e strette; una veranda d'ingresso con colonne corinzie (...); le finestre a golfo (le caratteristiche bay windows di San Francisco, da non confondere le bow windows, finestre ad arco o bovindi. Cito da Wikipedia: "Il bovindo consiste in un particolare tipo di finestratura, in cui gli infissi e le ante vetrate non sono allineate al muro ma risultano seguire un percorso ad arco orizzontale aggettante dalla muratura, da cui il termine inglese. Tale finestra è sempre realizzata ad altezza superiore rispetto alla quota di calpestio; diversamente, cessa d'essere un bow window e diventa un bay window. La differenza sostanziale tra bow window e bay window è, infatti, che bow window è una finestra, mentre i bay window sono più simili a balconi finestrati); i conci per rinforzare visivamente gli angoli dell'edificio; il tetto piatto o poco spiovente."
[Testo tradotto e adattato da qui]
giovedì 7 luglio 2011
Ritorno a San Francisco
Durata del viaggio "da porta a porta": 24 ore e 30 minuti. Entità del jet lag: massima.
L'emozione di entrare per la prima volta negli Usa dalla fila per i "cittadini" all'aeroporto di New York? Completamente offuscata dal nervoso di aver dimenticato la stecca di sigarette del Duty Free sull'aereo. Quando viene il mio turno, l'agente dell'Immigrazione guarda la mia tessera dell'Advance Parole e gentilmente dice che lui quella roba non l'ha mai vista, non ci capisce niente e deve mandarmi nell'ufficio sul retro, dove sono più competenti e hanno computer migliori. Lì dentro, infatti, un altro agente, dopo aver guardato di nuovo la mia tessera scuotendo la testa e mormorando "What the fuck" con un'aria da Robert De Niro in Taxi Driver, mi chiede gentilmente quanto tempo sono stata via e se non ho ancora ricevuto la Green Card, perché il suo computer gli dice che è stata già rilasciata. Dopodiché, senza aggiungere altro, mi lascia andare.
All'interno, ormai in territorio statunitense, trovo un'impiegata della Delta con l'aspetto fisico e il carattere di uno dei vecchietti del Muppet Show, che nel giro di mezz'ora mi fa recuperare la stecca di sigarette, consentendomi un risparmio totale di 75 euro (i 35 della stecca più i 40 della medesima stecca comprata online a prezzo stracciato qui negli Usa) e rendendomi finalmente felice.
Ieri sera, arrivando finalmente a casa, ho trovato la Green Card nella buca delle lettere: spedita l'8 giugno, due giorni dopo la mia partenza per l'Italia! Eccola, con le doverose cancellazioni salva-privacy.
Qui naturalmente c'è la nebbia e fa freddo, ma sarò così impegnata che me ne accorgerò appena.
Infatti sto traducendo questo.
E poi questo.
E presto comincerò a insegnare italiano qui.
Insomma, io ci proverò a non trascurare troppo il blog, ma non garantisco niente. E adesso vado a fare un po' di yoga perché la mia schiena urla.
lunedì 4 luglio 2011
Le fornaci di Caldè: il lago non (ancora) addomesticato
Caldè è un paesino sulla sponda lombarda del lago Maggiore, molto bello e soprattutto quasi miracolosamente incontaminato dalla speculazione edilizia che ha deturpato e continua a deturpare le sponde del lago (come tutto il resto del territorio italiano). Se vi capita di andare a Caldè, non mancate di visitare la zona delle fornaci, che occupa un tratto di costa dal valore ambientale (e, ahimé, non solo ambientale) inestimabile. Le strutture, un tempo utilizzate per la lavorazione e la cottura della calce bianca e in disuso dal secondo dopoguerra, rappresentano una delle maggiori testimonianze di archeologia industriale dell'alto Verbano. Le fornaci più antiche, i cui resti si trovano nei pressi del torrente Froda, risalgono al 1201, mentre quelle sul lungolago ai primi del '700.
Il primo tratto di passeggiata lungo il lago è stata sistemata di recente, e devo ammettere che è stato fatto un ottimo lavoro.
Dopo questo primo tratto, si entra nella zona più "selvaggia", la mia preferita. Fino all'anno scorso questa zona, unica per la commistione di natura e archeologia industriale, era però funestata dai rifiuti lasciati dai soliti mentecatti incivili. Quest'anno, invece, l'ho trovata pulitissima. E chi è stato a pulirla? Be', trattandosi di zona bella e selvaggia, le fornaci sono frequentate da ragazzi, che fanno feste notturne e chissà quante altre cose orribili. Ebbene, proprio questi giovani debosciati hanno faticosamente ripulito tutta l'area, con un lavoro che potete vedere documentato qui.
E mentre pulivano hanno anche fatto dei simpatici graffiti che inneggiano alla sicurezza e alla pulizia del luogo.
Un luogo che, con una vista del genere, risulta senz'altro appetibile per chi vorrebbe spandere l'ennesima colata di cemento su uno degli ultimi pezzi di lago rimasti intatti. In un articolo apparso il 14 gennaio 2009 su VareseNotizie, si legge: "È stato approvato con voto unanime dal Consiglio Comunale e dalla commissione urbanistica il progetto paesaggistico per l'area delle ex Fornaci di Castelveccana. (...) Lungo la costa, incastonate fra la storia e le bellezze paesaggistiche, sorgeranno dunque (...) nuovi borghi, lungolaghi, piazzette e altro ancora. (...) Il progetto (...) produrrà un recupero funzionale di un'area preziosa, con realizzazione di strutture che seguiranno una tipologia a borgo ideata per sfruttare la conformazione del terreno, con le sue caratteristiche balze. Lo sviluppo maggiore si avrà fra la prima e la seconda fornace, ma lungo tutto il tratto in questione troveranno posto piazze e abitazioni, un parco giochi, pergolati con espositori per illustrazioni storiche, percorsi naturalistici a monte e anche una passeggiata sul lago lunga circa un chilometro e mezzo, con spiagge attrezzate completamente pubbliche."
"Nuovi borghi, lungolaghi, piazzette e altro ancora." Non so voi, ma io lì ci avrei visto un parco naturale. E basta. Ma evidentemente l'area va riqualificata.
Nel mio paese un giorno si è deciso di riqualificare la piazza del mercato, tagliando tutti gli alberi (non li ho contati, ma credo fossero circa una trentina di bei platani) che rubavano spazio ai parcheggi. La piazza è rimasta completamente priva di ombra, e adesso la gente, per evitare l'effetto forno, non ci parcheggia più del tutto. Ma questa è un'altra storia. O no?
Intanto, finché siete in tempo, venite a vedere le fornaci e i loro graffiti.
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