lunedì 31 ottobre 2011

Don't Mind Your Language? Siamo proprio sicuri?

Qualche tempo fa ho trovato questo video sull'ottimo blog Terminologia etc. di Licia Corbolante. Il video è tratto da un brano del geniale Stephen Fry, che potete trovare per intero qui, e di cui riporto alcuni punti salienti:

(...) People seem to be able to find sensual and sensuous pleasure in almost anything but words these days (...) anyone who expresses themselves with originality, delight and verbal freshness is more likely to be mocked, distrusted or disliked than welcomed. The free and happy use of words appears to be considered elitist or pretentious. Sadly, desperately sadly, the only people who seem to bother with language in public today bother with it in quite the wrong way. They write letters to broadcasters and newspapers in which they are rude and haughty about other people’s usage and in which they show off their own superior ‘knowledge’ of how language should be.
(...) ‘Because it’s ugly,’ whinge the pedants. It’s only ugly because it’s new and you don’t like it. Ugly in the way Picasso, Stravinsky and Eliot were once thought ugly and before them Monet, Mahler and Baudelaire. Pedants will also claim, with what I am sure is eye-popping insincerity and shameless disingenuousness, that their fight is only for ‘clarity’. (...) No, the claim to be defending language for the sake of clarity almost never, ever holds water. Nor does the idea that following grammatical rules in language demonstrates clarity of thought and intelligence of mind. Having said this, I admit that if you want to communicate well for the sake of passing an exam or job interview, then it is obvious that wildly original and excessively heterodox language could land you in the soup. I think what offends examiners and employers when confronted with extremely informal, unpunctuated and haywire language is the implication of not caring that underlies it. (...) But that is an issue of fitness, of suitability, it has nothing to do with correctness. There is no right language or wrong language any more than are right or wrong clothes. Context, convention and circumstance are all.
(...)  There’s no right or wrong in language, any more than there’s right or wrong in nature. Evolution is all about restless and continuous change, mutation and variation. (...) Convention exists, of course it does, but convention is no more a register of rightness or wrongness than etiquette is, it’s just another way of saying usage: convention is a privately agreed usage rather than a publicly evolving one. Conventions alter too, like life. (...) 
If you are the kind of person who insists on this and that ‘correct use’ I hope I can convince you to abandon your pedantry. (...) But above all let there be pleasure. (...) So if you’ve got it, use it. Don’t be afraid of it, don’t believe it belongs to anyone else, don’t let anyone bully you into believing that there are rules and secrets of grammar and verbal deployment that you are not privy to. (...) Words are free and all words, light and frothy, firm and sculpted as they may be, bear the history of their passage from lip to lip over thousands of years. (...)




Ho trovato interessante questo brano perché riproduce perfettamente un'eterna discussione tra me e mio marito, dove lui la pensa come Fry, e io, a quanto pare, sarei sulla buona strada per diventare una grammar nazi, come quello che appare in questo divertente video. Io rispondo che se non distinguessi il giusto dallo sbagliato nella lingua potrei anche cambiare lavoro, ma penso anche che Fry non abbia tutti i torti. 
Si tratta però di tracciare un limite, e allora dove lo tracciamo? Diamo il benvenuto alla creatività linguistica dei parlanti ma rifiutiamo, per esempio, i calchi dall'inglese? Perché dovremmo, se rappresentano un'evoluzione della lingua? (Senza contare che possiamo anche rifiutarli, ma non abbiamo certo il potere di arrestarli.) Eppure, come non rabbrividire davanti a espressioni che si stanno diffondendo a macchia d'olio, come skillato, macciare (da match) e schedulare (e io che ero ferma al buon vecchio manàggement), o a parole italiane che assumono proditoriamente nuovi significati, come "confidente" che prende il posto di "fiducioso", oppure "organico" che si sostituisce a "biologico"?

Voi cosa ne dite?

11 commenti:

  1. Direi che la penso più come te, che purtroppo devo usare schedulare per lavoro almeno dieci volte a settimana perché se dicessi "allocare risorse sulle linee" tutti mi guarderebbero perplessi e che sarei già moderatamente soddisfatta se si smettesse di usare il "piuttosto che" a sproposito.
    Un approccio alla Fry permette di giocare con i vocaboli e con i registri linguistici con interessanti effetti a sorpresa e a volte è divertente e interessante, fatto salvo che chi lo adotta abbia perfettamente chiara la coniugazione dei verbi. Troppo nazi snob?!

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  2. Nel campo scientifico ed informatico ormai le espressioni da brividi non si contano: oltre a quelle che hai citato tu, mi vengono in mente "applicare" per un lavoro, postare, bannare, linkare...e via così. Forse sarebbe interessante vedere come queste parole entrano nella lingua italiana e ne rappresentino in qualche modo l' "evoluzione" globalizzata dettata principalmente da internet.
    C'è da dire però che l'italiano è una lingua che si fa "globalizzare" più in fretta di altre: ad esempio lo spagnolo ed il portoghese cercano di mantenere il più possibile in uso i vocaboli propri, ostinandosi a non importare termini ormai diffusissimi -direi imprescindibili- da noi. Una su tutte, l'inglesismo che forse è la madre di tutti gli altri: computador e ordenador, che vincono alla grande sul "nostro" computer.
    Ricordo anche un mio prof dell'università (facoltà scientifica, dove si lavora in inglese) che quando leggeva tesi in italiano zeppe di parole inglesi si ostinava a sottolinearle e ad invitare l'autore a sostituirle con parole nostre. Per fortuna non lesse la mia :)

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  3. Che bello, sono proprio contenta di aver ricevuto due commenti così interessanti ed equilibrati. Temevo l'intervento di qualche grammar nazi!

    @unarosaverde: sono d'accordo, bisogna conoscere le regole prima di poterle sovvertire. Questa è una possibile risposta al mio dilemma. Però... chi fa le regole? La lingua, dopotutto, la creano i parlanti, e per esempio quello che dici sembra dimostrare che "schedulare", con tutta la sua bruttezza, sia una parola se non necessaria almeno utile, visto che permette di sintetizzare un concetto con una certa economia.

    @elle: continuando con il ragionamento di prima, "linkare" o "bannare" fanno arricciare il naso a molte meno persone di quanto non facciano "macciare" o "schedulare", per esempio. E perché, visto sono tutti calchi dall'inglese? Ha ragione Fry, allora, quando dice "It’s only ugly because it’s new and you don’t like it"? Però è anche vero che, se vogliamo collegare quello che dici tu con quello che dice Fry, è molto, molto più inventiva una lingua che prende il mouse inglese e lo trasforma in un ratón, come fa lo spagnolo.

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  4. Il vantaggio dell'inglese, a volte, è la capacità di sintesi che il vocabolo tecnico offre rispetto alla perifrasi italiana. Questo direi che lo possiamo accettare, no? Il rischio, secondo me, è utilizzare per vezzo l'inglese anche quando non è necessario. Se è ridondante secondo me è ugly, se non abbiamo nel nostro vocabolario un termine adeguato diventa per forza di cose gergo professionale sdoganato.
    Però dai, scannerizzare, scansire, scandire, scannare...non ti mettono i brividi?! Il ratòn invece mi piace moltissimo, ma solo per l'immagine di grosso topo peloso e putrido che mi evoca. Anche bloggare non mi piace per niente, eppure cosa potresti dire in alternativa a blog?

    Ieri un'amica mi ha fatto ridere fino alle lacrime perché lavora in un posto in cui tutti infarciscono le email di questo gergo inglese strano e ritenuto appunto cool e così si ritrovano a domandarsi via email da una scrivania all'altra "mi dai green light"?

    Chi fa le regole? Non so: risponderti La Crusca o il vocabolario Treccani mi sembra banale. La lingua la creano i parlanti ma ci sono sempre stati due livelli di comunicazione: quello gergale, con prestiti dialettali e da lingue straniere, con parole inventate, come quelle degli studenti - che, secondo me, ha una valenza molto limitata nel tempo e legata all'attualità - e un livello più controllato, di comunicazione non necessariamente formale ma comunque modulata e più universale. Guareschi, tanto per citarne uno che a me è sempre piaciuto molto, utilizzava un vocabolario semplice, pulito, comprensibile a molti ma che non concedeva tanto spazio a contaminazioni. E secondo me funzionava benissimo e funziona anche adesso a distanza di anni.
    E, tanto per tornare al bloggare, magari tra dieci anni sarà un termine di cui nessuno più ricorderà il significato. Ci sono termini che transitano - lasciamoglielo fare - e poi se ne vanno e altri che restano. Anche il ratòn ci saluterà tra pochi anni, così come è successo al flipper ( e a tutti i flippati)

    Io potrei dirti che vivo di rendita dall'infanzia e le regole che ho imparato in quegli anni per me sono ancora assiomi, quando scrivo, non importa se me le hanno cambiate mentre non guardavo, quando parlo invece gioco sui registri molto di più. Hai presente gli esercizietti della "Grammatichetta Allegra"? La biscia che striscia sull'asse liscia....

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  5. Sì, l'uso di parole straniere per vezzo quando esiste l'equivalente in italiano è la cosa che fa più innervosire anche me (giocoforza, visto il mestiere che faccio). Però devo confessarti una cosa: scannerizzare lo uso anch'io! Lo riporta anche il Treccani...

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  6. Bellissimo post!
    Io sono "cresciuto" con Wittgenstein. Adoro la sua teoria del linguaggio.
    Per me ogni lingua rappresenta una forma di vita. Viene superato il concetto di giusto/sbagliato, vero/falso nelle frasi e nelle parole e si ragiona di più sull'uso che quelle parole hanno in certo contesto.

    Venendo da una coppia mista che parla (male) varie lingue insieme mi sono reso conto di quanto il linguaggio sia una cosa meravigliosa!

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  7. Concordo ragazzi, con tutti e su tutto.
    Silvia, pensa che dopo essere arrivato in Italia (ero ancora nella classica fase di transizione linguistica) durante una discussione con amici riguardo a qualcosa che non ricordo ho detto "gugolalo" (riportando direttamente dall'inglese "google it").
    Mi stanno ancora ridendo in faccia...
    L'espressione però mi piace e sto continuando ad usarla.
    Robe tipo: l'hai poi 'googolata' (o anche 'gugolata') quella parola?

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  8. Grazie a tutti di questi preziosi interventi. Vorrei ri-citare l'articolo di Stefano Bartezzaghi citato da Licia in uno dei link che ha riportato qui sopra, quello su "scannare/scannerizzare" (l'altro, quello sulla rivista di arredamento, è esilarante). Bartezzaghi dice: "Un linguista non può minimamente legiferare, neppure in fatto di lingua, ma è al servizio di fenomeni spontanei che possono solo essere registrati e studiati. A legiferare è il parlante (...)Chi ha sensibilità per la lingua spesso smarrisce il senso della di lei duttilità e mutevolezza: la desidererebbe strumento rigido, per sé e soprattutto per gli altri."
    (L'intero articolo si trova qui: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/01/18/news/la_lingua_non_un_padre-padrone-1988838/)

    Insomma, se come strumento di lavoro preferirei forse una lingua rigida, che non crea dubbi, d'altra parte credo anche che la troverei noiosa.

    Per concludere (ma spero che ci saranno altri commenti), vorrei aggiungere un riferimento a Haruki Murakami, di cui si parlava in questi giorni. Ieri sera discutevo di calchi e prestiti linguistici con la mia amica Mariko, visto che il giapponese subisce come e forse più dell'italiano "l'invasione" dell'inglese. A questo proposito, Mariko mi ha detto che in Giappone Murakami, per quanto venerato da gran parte dei lettori, è anche aspramente criticato perché il suo giapponese è troppo "imbastardito" (e non solo a livello lessicale, ma anche sintattico) con l'inglese. Caso diverso, invece, quello di chi scrive in italiano modellando la propria lingua su quella mal tradotta delle serie televisive... insomma, gli spunti di riflessione non mancano!

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  9. Ho adorato questo post e anche gli interventi!.
    Personalmente non so se e quanto i prestiti linguistici dall'inglese possano rientrare in quei necessari cambiamenti della lingua inquadrabili in una prospettiva evolutiva, io personalmente li ho sempre vissuti come una involuzione, anche se non sono una purista. Mi son spesso sembrati una scorciatoia al pensiero complesso, posto che, decontestualizzate culturalmente e meramente prese in prestito,quelle parole non si mostrano neppure al loro meglio. I calchi linguistici, poi, sono un discorso ancora a parte e mi pare rivelino uno scarso amore per la propria lingua madre, o forse è solo crassa ignoranza, non saprei.
    L'articolo, tuttavia, è assolutamente stimolante e il limite, come dici tu, Silvia, è necessario, certo, ma affatto facile da individuare e assolutamente mobile. Tendenzialmente e in modo molto approssimativo direi che per innovare e portare freschezza in una lingua, prima, ne devi conoscere bene -benissimo?- le regole grammaticali. Picasso non si è dato al cubismo perché non sapeva dipingere, e purché tutto non si risolva in una sterile corsa alla sopravvalutatissima originalità, vanno bene anche le sperimentazioni. Quelle delle persone che sanno cosa si lasciano indietro, però.

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  10. Questa la devo aggiungere, sentita ieri da una signora non giovanissima con conoscenza dell'inglese molto limitata: "quest'anno per la settimana bianca ho buggettato 1000 euro".

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  11. Bene, questa la mettiamo nell'elenco insieme alla "performance impressionante" di Napolitano!

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