mercoledì 28 agosto 2013

Salvatore Settis e l'astratto modello americano/2. I musei

"E nel caso dei beni culturali? Anche in questo campo, il riferimento al modello americano, o meglio alla sua mitologia, sembra ineluttabile. È un riferimento che ha ottime ragioni: infatti, i musei americani spesso funzionano molto bene [non sempre, però], hanno molti visitatori, un attivo programma di mostre e di nuove acquisizioni (che talvolta, anche per le cifre in ballo, raggiungono le cronache), ottimi servizi per le scuole e le visite, una gestione dinamica, 'imprenditoriale'. Sarà questo il toccasana? Basterà trapiantare quel modello in Italia, e finalmente non saremo più 'arretrati'? [...] Per riformare le istituzioni del nostro Paese adottando modelli elaborati in un altro Paese (in un'altra realtà politica, in un'altra società, in un'altra cultura, con un'altra storia) occorre conoscere  ugualmente bene non solo la tradizione e la situazione italiana, ma anche quella del Paese-modello. [...] Che livello di compatibilità, di 'traducibilità' ha quel sistema con la nostra società, la nostra storia, le nostre istituzioni?
Ora, se 'studiamo' l'Italia, ci accorgiamo di quanto diversi siano i nostri musei rispetto a quelli degli Stati Uniti. Ricordiamo alcune differenze: là, con la sola eccezione dell'arte contemporanea, dei parchi nazionali e dei musei sulle culture degli Indiani d'America, le collezioni dei musei non hanno alcun nesso storico con il territorio che li accoglie. [...] Da noi al contrario [...], i musei sono incardinati nel territorio, formano un tutto unico con le città e le campagne che li circondano: fra il villaggio abitato e il museo, fra la chiesa e il paesaggio, fra la città, fra la campagna, la villa non c'è soluzione di continuità, ma un'unica tessitura concresciuta nel corso dei secoli. Perciò il 'modello Italia' di tutela prevede che il patrimonio culturale sia tutto di interesse pubblico, anche se solo in parte di proprietà pubblica; mentre nulla di simile prevedono le leggi americane. Perciò la normativa italiana impone allo stato la tutela dell'intero patrimonio culturale della Nazione, quella americana no. [...] Perciò se un museo americano dovesse vendere un quadro di Tiziano non toglierebbe nulla alla storia, poniamo, della California; se lo facesse l'Accademia di Venezia, mutilerebbe la storia di quella città e dell'Italia. [...]
Per ricordare solo un'altra differenza: i musei americani hanno, è vero, un'attiva politica di nuove acquisizioni, ma possono anche vendere le opere di loro proprietà. Per esempio nel 1972 il Metropolitan Museum, per comprare un prezioso vaso greco (il cratere di Eufronio) che era sul mercato per un milione di dollari, vendette la sua intera collezione numismatica; il Getty, dopo aver comprato in blocco una grande collezione di manoscritti medievali, ha deciso alcuni anni dopo di vendere tutti quelli senza miniature. Ci piace immaginare il Museo Nazionale Romano che vende tutte le sue monete per comprare, mettiamo, una statua 'piú importante'? La Biblioteca Laurenziana che vende alcuni manoscritti non miniati per comprarne altri da Sotheby's? Ma le monete del Museo Nazionale Romano sono state trovate nel suolo stesso di Roma, i manoscritti della Laurenziana furono per secoli e secoli raccolti e studiati (e in parte scritti) nella stessa Firenze: se il sistema italiano ne vieta (almeno finora) la vendita o lo smembramento, non è per via di norme arcaiche e obsolete, ma perché le nostre collezioni sono riflesso immediato e deposito memoriale della nostra storia. Ma, sebbene queste differenze siano evidenti, l'ossessione del modello americano è tale che buona parte del discorso sulla 'modernizzazione' del sistema italiano è puntato sui musei (anzi, sul museo-azienda), dimenticando il territorio in cui essi sono radicati (e le soprintendenze che vi hanno giurisdizione), col rischio gravissimo di spezzare il nesso museo-città-territorio che è il cuore della nostra cultura istituzionale e civile."

Da: Salvatore Settis, Italia S.p.A. L’assalto al patrimonio culturale, Einaudi 2002

18 commenti:

  1. Dovrò leggere questo libro, anche per amore materno. Sul senso dell'identità e quindi sulla vendita di parte delle collezioni, spesso ammassate in cantine umide e senza manutenzione, ho delle mie convinzioni ma vorrei confrontarle con le idee di Settis. Grazie per questo post interessantissimo.

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    1. Lo so, c'è molto da ridire sul trattamento dei beni culturali in Italia, ma come sempre sono d'accordo con chi dice che dobbiamo migliorare il nostro mdoello, non copiare quelli altrui.
      L'unico problema del libro di Settis è che è del 2002, e nel frattempo sono successe molte cose, quasi mai positive.

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  2. Nel frattempo, dal 2002, altro che modello americano...
    La questione musei in Italia è una lobby, come quasi tutto quello che porta utili da noi, ormai.
    Dove non c'è una lobby a battere utili (possibilmente con Gianni Letta e i suoi amici dietro) i beni culturali vanno a remengo.
    Avete visto la puntata di Report "Belli da morire"? Si trova anche su Youtube e parla proprio di questo. Una botta di vita, sangue amaro, ma illuminante. Ve la consiglio, quando avete un'oretta.

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    1. Infatti, purtroppo leggendo della svendita dei beni culturali di cui parla Settis ci si rende conto che lui parlava di un processo iniziato da non molto tempo, e che in 11 anni ha fatto passi da gigante e provocato disastri.

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    2. In Italia c'è Civitas, ad esempio, o Comunicare organizzando. Gli incassi dei privati nel 2011 provenienti dalla gestione dei musei sono stati 44 mln di euro; di questi lo Stato ne ha presi soltanto 6.
      E chi sono questi privati? Guarda un po' Letta and friends da un lato, confindustria sposati coi capi del PD dall'altro.
      Guarda, m'è venuto già il mal di pancia, per oggi.

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    3. Se si parte da una situazione di corruzione, qualsiasi nuovo sistema che venga introdotto va ad alimentare la corruzione sottostante. In Italia la privatizzazione diventa particolarmente devastante proprio per questo motivo.

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  3. Se io penso al MART di Rovereto e penso a come è nato, a come i primi anni sotto la Direzione di Gabriella Belli abbiano portato ad una valorizzazione del patrimonio artistico della città di Rovereto e Trento, penso alla collezione di Depero e dei futuristi, a come si siano create delle mostre di straordinaria bellezza partendo da quel nucleo storico ed aggiungendo, ospitando artisti moderni e contemporanei di fama mondiale, penso ad un modello di Museo di successo, sposato magnificamente con la città che lo ospita e diventato anima viva e cuore pulsante della stessa. Poi sarà perché è cambiata la direzione, sarà perché sono finiti i fondi sono due anni che non vengo richiamata in maniera irresistibile a Rovereto mentre prima ci sarò andata almeno 10 volte. Quelli sono modelli vincenti che andrebbero cavalcati

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    1. Grazie Amanda, anche se quello che mi dici del MART mi rattrista perché è da una vita che ci voglio andare (anche perché Mr. K è in contatto con loro) e a quanto pare ho aspettato troppo.
      Sulla fine dei fondi è sempre la stessa storia, proprio ieri ho saputo che da un giorno all'altro hanno chiuso il Shakespeare Festival di Santa Cruz, che andava avanti da 32 anni. Mancanza di fondi. I primi fondi che si tagliano sono sempre quelli per la cultura, perché, come diceva l'antipatico ma schietto Tremonti, "con la cultura non si mangia". Certo, meglio avere un popolo di ignoranti a pancia piena che non capiscono niente e obbediscono come macchine. Funziona sempre, ha sempre funzionato.

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    2. il MART merita sempre una visita la collezione permanente è così ricca che se non si è mai visitato deve essere visto e poi è la struttuira che è viva e bellissima, ora che la Belli si è trasferita a Palazzo Ducale già si è vista la prima bellissima mostra in quella sede quella su Manet su cui feci un post in primavera, penso che, fondi a parte, la sua grande esperienza ed i suoi contatti internazionali e la sua forza giochino un ruolo chiave nell'organizzare mostre molto interessanti senza che siano solo specchietti attira allodole come avviene per Goldin che è una macchina da guerra ridondante e roboante

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    3. io comunque sono STRACONVINTA che con la cultura ed il patrimonio ambientale si mangi eccome e non ci si mangi solo sopra come è avvenuto sempre dal dopoguerra in poi in questo paese di omuncoli

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  4. ecco i musei e i siti annosa questione! ci credi che ho scritto una tesi sulla fruizione dei musei e siti in Italia da parte del pubblico disabile e l'unica risposta che ho avuto in seduta di laurea è stata: un architetto nel mio scavo non metterà mai piede! questo detto da una ispettrice di un famoso sito campano. ecco se non si cambia la mentalità sulla fruizione dei beni culturali saremo sempre culturalmente arretrati. e io intanto a pompei in sedia a rotelle no posso andare...:(

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  5. In questa discussione sono di parte, lo ammetto: ora lavoro solo a tempo parziale in una Soprintendenza, ma per anni sono stata direttrice della Pinacoteca Nazionale di Ferrara. Quello che dice( molto bene) Settis per chi lavora nel Ministero non è una novità. Molti storici dell'arte della mia generaziine sono entrati nell'amministrazione conquistati dai libri di Andrea Emiliani ( uno dei più grandi storici dell'arte che abbiamo avuto) sui beni culturali e sul rapporto tra museo e territorio. Ma ora il modello che tutto il mondo ci invidiava e che era un unicum ( quello delle Soprintendenze a cui spetta insieme la tutela delle opere nei musei e nel territorio) è stato in parte smantellato anche per la voglia delle Amministrazioni locali (comprese quelle rosse) di non avere vincoli e avere mano libera sul territorio.Ormai assomigliamo sempre di più al modello americano e questo non è un bene.Sul tema poi della valorizzazione e del rapporto con i privati ci sarebbe da scrivere per delle ore. Preferisco smetterla qui. Volevo solo ribadire che quando in Italia c'è qualcosa che funziona ci affanniamo a distruggerlo per inseguire modelli che non ci appartengono. Povera Italia e poveri noi!

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  6. @Leucosia & @Grazia: ho poco da aggiungere :-(

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  7. Trovo molto interessante l'analisi di Settis e vorrei aggiungere questo: non capisco perché in Italia non si riesca a prendere quanto c'è di buono nei modelli senza dover necessariamente perdere l'identità italiana! Voglio dire, perché non prendere spunto dal modello americano, dall'intraprendenza delle realtà museali statunitensi, dalla capacità di "monetizzare" il capitale culturale attraverso un'ottima pubblicizzazione, dalla volontà di coinvolgere il pubblico creando occasioni che possono attirarlo verso i musei senza stravolgere il sistema museale italiano?
    Bisogna proprio perdere la propria identità?
    O si può pensare di potenziare e arricchire il nostro sistema con nuove idee più innovative?

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    1. Hai ragione, Sabina. E in alcuni casi di gestione illuminata - come il MART che citava Amanda - pare che lo si sia anche fatto. Peccato che siano casi isolati.

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  8. Perfettamente d'accordo con Grazia.

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  9. però almeno il sito di Ercolano gestito da una fondazione americana ora funziona alla grande ...rispetto a Pompei dove tra crolli e cani randagi e assenza pressoché totale di servizi secondo me sarà un impegno che va al di là del buon intento del ministro Bray.

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