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Dopo tre giorni a riso in bianco
consumato in ristoranti lontani non più di cinquanta metri dalla posada – di
più era troppo rischioso - mi sentii sufficientemente in forze da accettare
l’invito a cena di Sergio. Con molta trepidazione e qualche residuo pallino
vidi finalmente la porta verde spalancarsi davanti a me, rivelando un patio con
qualche erbaccia che spuntava fra le piastrelle rotte e una casetta un po’ decrepita,
la tipica casa, pensai, di un uomo che vive solo e oltretutto non c’è mai
perché è sempre nella foresta a lottare per la rivoluzione. Sergio aveva
invitato altre due ragazze italiane, che guardai con sospetto per tutta la sera
ma che finalmente verso l’una tolsero il disturbo. Io e Sergio continuammo a
conversare per un altro paio d’ore, accompagnandoci con la birraccia annacquata
che aveva sostituito il mio Nobile sublime e con le orrende Alitas di tabacco
nero senza filtro che il fascinoso agronomo mi forniva a volontà. Infine, con
le palpebre di piombo ma consapevole che quella era la mia ultima occasione per
sedurre un vero rivoluzionario, annunciai esitante: “Bene, si è fatto tardi…”
E lo scaltro agronomo rispose
proprio come speravo. “È meglio che non attraversi la città a quest’ora di
notte. Puoi dormire qui, se vuoi. Io dormo sul divano.”
Te lo faccio vedere io il divano,
pensai, mentre accettavo l’offerta con un mite sorriso.
“Dov’è il bagno?”, chiesi, con
l’alito afflitto dal catrame delle Alitas.
“La porta dopo la cucina,” disse
Sergio, “ma stai attenta… no, forse è meglio che non te lo dica.”
“Ha ha, perché, cosa c’è in
bagno? Non ho mica paura, io.” E che, scherziamo? Tu sarai anche
rivoluzionario, ma io ho affrontato papponi, ustioni e parassiti intestinali
per buttarmi fra le tue braccia.
“Be’, ecco, proprio oggi ero…
sai… seduto, quando ho sentito un rumore strano sotto di me. Mi sono girato a
guardare e… be’, c’era un topo! Sai, qui le fogne sono un po’ rustiche, si vede
che è venuto su dall’orto e me lo sono ritrovato nel water che mi guardava. Ho
cacciato un urlo e l’ho fatto scappare, credo che si sia spaventato più di me.
Ma forse non avrei dovuto dirtelo.”
“Ma no, figurati, cosa vuoi che
sia. Anche da me ci sono i topini di campagna…”
“Ma va’, che topino di campagna!
Era un topo di fogna, grosso così!” E con le mani indicò una cosa lunga come un
basset-hound.
Fortunatamente la vista dell’agronomo
dal basso doveva avere terrorizzato la belva, che non si fece
vedere: in bagno
c’erano solo scarafaggi, numerosi ma di dimensioni tutto sommato accettabili.
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La Selva Lacandona |
Seduta nel letto di Sergio, con
indosso la maglietta un po’ puzzolente che mi aveva prestato per la notte, posai
lo sguardo sul lungo machete appeso al muro e venni colta da un pensiero
agghiacciante.
Non mi ero depilata le gambe.
“Allora buonanotte…”, disse Sergio
in tono carezzevole, sedendosi accanto a me.
“Sei sicuro di voler dormire sul
divano,” azzardai.
“Be’, non so, vedi tu…” rispose
in tono indecifrabile.
Ecco, ci siamo, pensai, esaltata
da tanta audacia, ammaliata dal romanticismo dell’intera situazione. Adesso non
devo fare altro che dire qualcosa, qualche parola pronunciata a mezza voce e
accompagnata da un sorriso ammiccante e lascivo, e lui si infilerà nel letto
accanto a me e io potrò seguirlo nella foresta e sostenere la sua lotta per la
libertà con la mia focosa passione.
Immaginai le sue mani che mi
accarezzavano le gambe, sfiorando una peluria più fitta della Selva
Lacandona. “Sì, certo, è proprio un bel divano. Mi sembra anche comodo,”
risposi.
E così quella notte non chiusi
occhio. Per il nervoso.
Il giorno dopo Sergio se ne andò nella foresta, da dove sarebbe rientrato solo dopo la mia partenza.
(5/continua)