martedì 31 luglio 2012

Se sei tanto intelligente, perché non sei ricco?

"L'America è la nazione più ricca del mondo, ma il suo popolo è in gran parte povero, e gli americani poveri tendono a odiare se stessi. Per citare l'umorista americano Kin Hubbard: 'Essere poveri non è una disgrazia ma potrebbe anche esserlo'. Effettivamente, per un americano essere poveri è un delitto, anche se l'America è un paese di poveri. Tutti gli altri paesi hanno tradizioni popolari che parlano di uomini poveri ma molto saggi e virtuosi, e quindi più stimabili di qualsiasi individuo ricco e potente. Gli americani poveri non hanno tradizioni del genere. Deridono se stessi ed esaltano quelli che sono più ricchi di loro. I ristoranti e i caffè più modesti, gestiti da povera gente, dovrebbero avere sul muro un cartello con questa crudele domanda: 'Se sei tanto intelligente, perchè non sei ricco?' (...)
Gli americani, come tutti gli altri popoli, credono in molte cose che sono chiaramente false (...). La loro illusione più perniciosa è che sia facilissimo, per ogni americano, fare soldi. Non si rendono conto di quanto, in realtà, sia difficile, e per questo chi non ne ha non fa altro che rimproverarselo. Questo senso di colpa è stato una vera fortuna per i ricchi e i potenti, che così hanno potuto permettersi di fare, per i poveri, meno di qualsiasi altra classe dirigente fin dall'epoca napoleonica.
Molte sono le novità arrivate dall'America. La più stupefacente è costituita da una massa di poveri senza dignità: una cosa senza precedenti. Questi poveri non si amano l'un l'altro perché non amano se stessi."

Kurt Vonnegut, Mattatoio n. 5 (traduzione di Luigi Brioschi)

28 commenti:

  1. Grazie, molto illuminante. Proprio in questi giorni leggevo che Goethe o Stendhal (perdonami, non ricordo bene, e potrebbe anche essere qualcun altro...) amava dell'Italia il fatto che gli italiani non si vergognavano affatto di essere poveri. Certo altri tempi, visto il futuro che ci aspetta forse siamo più attrezzati culturalmente a ritornare più poveri? Non credo, ma certamente l'approccio americano al denaro è più radicale.
    ciao e un salutone!

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    1. Uhm, sì, credo che fosse Stendhal, e aveva ragione.
      Un abbraccio! :-)

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  2. Grazie, Silvia, che bel brano! Lucido, desolante ma vero... temo che anche in Italia si stia diffondendo questa tendenza.

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    1. Sicuramente un po' sì, Denise, ma ci sono profonde motivazioni culturali (anche legate alla religione) che spero impediranno il contagio totale.

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  3. Non puoi sapere quanto questo mi terrorizzi...

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    1. Credo di saperlo, perché io ci vivo in mezzo e non sono certo ricca!

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  4. davvero molto interessante.
    La povertà vissuta (o giudicata) come colpa è un sentimento che ho notato anche io
    mi stupisce molto quando la condizione economica è dichiaratamente uno dei fattori che determina la scelta di un fidanzato, così come il fatto che le persone ti vengano presentate con: nome, cognome e professione...

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    1. E la prima cosa che ti chiedono è che lavoro fai. E anche gli amici più cari non fanno altro che raccontarti che hanno comprato la casa, la macchina, il pincopallino, senza neppure chiedersi se sia gentile raccontare tutti i dettagli della loro nuova casa a due che una casa non potranno mai permettersi di comprarla...

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  5. Non mi piace! Si trattà di povertà mentale il che la rende più tragica. Forse però ora mi spiego molte cose.

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    1. Anch'io. Questo tema mi girava e rigirava in testa da tanto tempo, da quando mi sono trasferita qui. Ci voleva il buon Kurt per chiarirmelo bene.

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  6. Ho letto Mattatoio 5 e vagamente, molto vagamente, mi ricordavo anche di questo passaggio. Alienante, come ho trovato l'intero libro.

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  7. L'America vive come un'onta la povertà forse perché ritiene che sia indice di valore e merito scarsi?

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    1. L'etica del lavoro protestante funziona più o meno così. A me personalmente fa passare del tutto la voglia di lavorare.

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  8. Sono molto contenta che questo brano vi sia piaciuto, non solo perché amo molto Vonnegut, ma anche perché ciò di cui parla è una questione che mi sta molto a cuore. Il post aveva una parte personale che però ho tagliato, ma ve la ripropongo qui.

    Io non possiedo quasi nulla. Un po' di libri, vestiti e una macchina scassata.
    Però ho un lavoro che amo, che so fare molto bene e che mi dà grandi soddisfazioni. Un lavoro senz'altro pagato meno di quello che vale, questo lo sappiamo, d'altronde è un problema comune a chiunque lavori in campo culturale (e non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Anche negli Usa). Non avevamo forse un ministro che diceva "con la cultura non si mangia?" Ecco, appunto. Eppure sono sempre riuscita a cavarmela. Una volta Jonathan Franzen mi chiese come facessi a campare con il mestiere di traduttrice. "I live a very simple life", gli risposi.
    Insomma, non sono mai stata neppure lontanamente ricca, eppure non mi sono mai sentita particolarmente povera (e con questo non voglio dire che i traduttori non debbano rivendicare compensi più equi, non fraintendetemi. Io, per esempio, non ho figli. Per chi ne ha è molto diverso).
    Poi sono venuta negli Stati Uniti, e tutto è cambiato. Per prima cosa, lavorando come freelance non posso permettermi una buona assicurazione sanitaria. In altre parole, non posso permettermi di farmi curare se sto male. Tutto quello che potrei permettermi è un'assicurazione con una franchigia talmente alta che se mi facessi male dovrei comunque pagare cinque o seimila dollari per il pronto soccorso. Adesso quando esco di casa ho sempre paura che mi succeda qualcosa.
    Ma non c'è solo questo. L'etica del lavoro protestante può essere bella, vista da lontano. La meritocrazia è senz'altro un'ottima cosa e qui funziona (se sei bianco funziona di più). Però in definitiva il risultato finale è uno solo: è importante lavorare tanto per guadagnare tanti soldi e comprare tanta roba e far vedere a tutti che ce l'hai. Bene, io lavoro tanto e faccio un lavoro altamente qualificato e riconosciuto di cui vado molto fiera. Però guadagno poco. Non mi importa di comprare roba, non me ne frega proprio niente. In Italia questo non ha mai sminuito il mio valore come persona.
    Qui sì. Perché questo è un posto dove è difficile avere pochi soldi e non sentirsi dei falliti.

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  9. E' tutto vero. Qui, se inizi a spiegargli il concetto di povero e saggio, di frugalità, ti considerano un eccentrico. E questo mi fa, oggettivamente, un po' paura, oltre a mettermi a disagio.

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    1. C'è chi si adatta meglio e chi si adatta peggio a questa mentalità. Io mi sto rendendo conto di essere superinadattissima.

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  10. L'elemento principale per trascorrere al meglio questo segmento di vita terrena è la fortuna, non la ricchezza. La fortuna di non avere malattie gravi, la fortuna di non avere tradimenti dalle persone care, la fortuna non di evitare i tracolli, ma di avere la forza per affrontarli quando capitano.
    La ricchezza non è sinonimo di benessere. Essa comporta una limitazione della vita privata e della libertà personale, uno stress indescrivibile (depressi ed aspiranti suicidi pullulano tra i ricchi e sono quasi assenti tra i poveri), sistemi di allarme, questioni con le banche, con i parassiti che si hanno intorno ecc.
    Tutto una grande alzata di polvere per finire poi, come tutti quanti, tre metri sotto terra.

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  11. Un sano "lascito" del '68 per me è il totale disinteresse per consumismo e materialismo. Non mi interessano le mode e quello che pensa il vicino della mia vecchia macchina. Mi sento privilegiata ad avere un bel giardino (che curo io) e un marito affettuoso.

    Non condivido la seconda parte del commento di Gio. I poveri non sono certo immuni da stress e depressione (basta visitare un Centro Pscico-Sociale), a meno che non stiamo parlando di una scelta di vita, ma allora non è povertà.
    Come dice il proberbio: "Chi si accontenta, gode", ma vuol dire essere contenti davvero di quello che si ha.

    Cara Silvia, se posso permettermi un consiglio, l'unica è non frequentare quelli che giudicano in base al tenore di vita. Chi se ne importa del loro modo di pensare piccolo piccolo?... Certo, la questione sanitaria è importante...

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    1. Hai ragione, Rose. In Italia, paese non certo immune da persone di questo genere, riesco a vivere tranquillamente a modo mio frequentando le persone che la pensano come me. Qui è più difficile, proprio perché è un'intera società a pensarla diversamente da me. L'equivalenza successo = ricchezza è un'idea trasversale, condivisa da ricchi e poveri, da sinistra a destra.
      E poi sì, c'è la questione sanitaria, fondamentale, imprescindibile, che ha completamente rovinato la mia relazione con questo paese.

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  12. Capisco il problema. Però mi viene davvero difficile accettare che un Paese che ha dato natali a poeti, scrittori, intellettuali, scienziati e artisti di ogni genere abbia perso di vista le cose fondamentali e non per forza materiali per dire di avere una vita di "successo". Com'è possibile? E poi quoto Rose sulla necessità di frequentare persone simili, ma tu dici che non ce ne sono. E allora cos'è? Chi non è miliardario si sente un fallito? E dov'è tutta la pulsione e il fermento artistico? Pulsa e freme solo chi fa verdoni vendendo la propria arte al miglior offerente? Sconfortante.

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  13. Capisco il problema, ma mi pare davvero strano che un Paese che ha dato natali a scrittori, poeti, scienziati ed artisti di ogni genere abbia perso completamente di vista l'essenziale necessario per poter affermare di avere una vita "di successo". E poi quoto Rose: bisogna frequentare persone simili, ma tu dici che non ce ne sono. E allora cos'è? I non miliardari si sentono frustrati e falliti? E dove sono il fermento intellettuale e scientifico e la pulsione artistica, che pure sono così vivi da quelle parti? Si crea, si pensa e si ricerca sognando di sfondare un giorno a tutti i costi? Sconfortante.

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  14. Cara Elle, sono contenta che l'argomento ti stia a cuore, e ti ringrazio delle domande che mi stanno aiutando a riflettere. Questa riflessione è un processo lungo e in via di sviluppo, perché coinvolge, diciamo, "il mio posto nel mondo", però cercherò di condividere qui qualche pensiero sparso (prima di tornare dall'ottimo Junot Díaz).
    Dunque (premesso che il capitalismo americano e l'etica del lavoro protestante sono quello che sono), io di artisti americani ne conosco parecchi (e non solo americani. A proposito, spero che il mio amico Sandro, attualmente impegnatissimo, trovi il tempo di dire la sua), grazie al mio lavoro, a mio marito e soprattutto alla frequentazione di quei posti meravigliosi che sono le residenze per artisti (che spero di tornare a frequentare al più presto, non appena sarò libera di spostarmi come voglio senza dover rendere conto alle guardie di confine). Sono proprio questi posti e queste frequentazioni che hanno fatto nascere in me l'amore per un paese che sostiene l'arte e la finanzia con grant e fellowship, un paese che sembra riconoscere - anche se fino a un certo punto, ovviamente, ma comunque centomila volte più dell'Italia - il valore dell'arte per la creazione di una società vivibile. Adesso tutto questo si è un po' ridotto per via della recessione (una mia cara amica compositrice, per esempio, che era sempre riuscita a mantenersi con il suo lavoro, adesso si è dovuta trovare un lavoro d'ufficio e praticamente non compone più neppure un rigo), ma insomma, siamo ancora a livelli impensabili per l'Italia.
    Che cos'è successo, allora, per farmi cambiare idea così radicalmente?
    Al primo posto c'è senz'altro il problema della sanità. Tutto l'amore, la passione, le cose che mi piacevano da impazzire di questo paese sono state spazzate via di colpo quando ho capito che se mi facessi male e finissi al pronto soccorso, i soldi del mio conto in banca non basterebbero per pagare il conto. Ti assicuro che è una cosa che ti fa sentire molto povera. E molto incazzata.
    Il resto è meno importante, ma se ci penso mi viene in mente che quasi tutti i miei amici artisti americani stanno a New York, una città che, pur essendosi gentrificata in blocco ormai da tantissimo tempo, mantiene ancora, nella sua infinita varietà, molte sacche di fermento, di pulsione artistica non contaminata dal mercato (che comunque ha vinto e stravinto ormai da molto tempo). San Francisco, con tutto che è tanto carina, è una città piuttosto provinciale, e soprattutto troppo ricca. E anche troppo povera. Ne parlavo qui già l'anno scorso. Per questo sono stata così entusiasta di scoprire finalmente i murales di Mission. Sarà che io qui di artisti ne conosco pochissimi, sarà che vivo fra l'orrore della gente di plastica e il terrore del pronto soccorso, ma diciamo che purtroppo il mio sogno di un paese dove si può non essere ricchi di famiglia eppure fare comunque l'artista si è un tantino appannato.
    E dopo questo papiro, torno al mio Junot!

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  15. lo avevo anche letto questo libro, ma non mi ricordavo questo passaggio. fantastico. Sto lavorando con un'americana in questi giorni, mo' le chiedo.

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    1. Mio proposito per l'anno nuovo: non lavorare mai più come un'americana.

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