mercoledì 13 aprile 2011

Una grande scrittrice: Amy Hempel

Un'altra scrittrice che sono stata molto felice di tradurre (oltre che di conoscere, e lo dico solo perché è una persona davvero squisita) è Amy Hempel.
Tradurre Hempel, non lo nascondo, è stata un'impresa.
Paola Peroni, nella sua bella intervista pubblicata nell'ottobre 2009 sul Manifesto (in seguito all''uscita della raccolta Ragioni per vivere, da me tradotta per Mondadori e recensita, fra gli altri, da Antonio Monda su Repubblica, Mario Fortunato sull'Espresso, e Claudio Gorlier sulla Stampa, che scriveva: "Scelgo a caso un esempio davvero irresistibile nella sua apparente banalità, un racconto intitolato 'E non indurci in Penn-stazione': quattro pagine esemplari nel senso autentico della parola, ove circostanze e dialoghi occasionali lievitano quasi magicamente fino ad acquisire una valenza esemplare, capitoli degradati della Storia") descriveva così la scrittura di Amy Hempel: "la precisione del linguaggio, il ritmo della sintassi che rimandava a quello della poesia, la cesellata perfezione di ogni frase e l’introduzione di una forma narrativa frammentaria, capace di rompere con la linearità del racconto tradizionale". Tutti questi sono elementi che rendono il lavoro di traduzione molto interessante, ma anche molto complesso.

Questa è l'introduzione all'intervista rilasciata da Hempel a Tim Small per il Quinto Annuale di Narrativa della rivista Vice. 
"Innanzitutto, un breve curriculum vitae. Amy Hempel è autrice di quattro antologie di racconti, Reasons to Live (1985), At the Gates of the Animal Kingdom (1990), Tumble Home (1997), e The Dog of the Marriage (2005), le cui storie migliori sono raccolte in The Collected Stories of Amy Hempel, pubblicato nel 2006—e solo quest’anno in Italia, con il titolo Ragioni per vivere—con un’introduzione di Rick Moody che comincia, e finisce, in questo modo: “Sta tutto nelle frasi.” L’antologia—pubblicata in Italia come Ragioni per vivereTutti i racconti da Mondadori—è stata finalista al PEN/Faulkner Award, ha vinto l’Ambassador Book Award ed è stata salutata come uno dei migliori libri del 2006 da qualsiasi canale d’informazione che si occupi di letteratura.
Nel 2008 Amy ha vinto il Rea Award for the Short Story ed è stata insignita della Guggenheim Fellowship, e inoltre si è aggiudicata un Hobson Award. Insegna al Brooklyn College di Bennington e ad Harvard. Almeno due dei suoi racconti, 'Il raccolto' e 'Nel cimitero dov’è sepolto Al Jolson', sono tra i più antologizzati degli ultimi trent’anni e per le ragioni più valide: come il resto della sua produzione, sono emotivamente potenti senza avere il minimo accenno di sentimentalismo; sono pieni di balzi intuitivi ed esclusivamente composti di frasi assemblate al microscopio che trattano argomenti enormi come il lutto, la solitudine, gli incidenti, la morte, la fine delle relazioni, e riescono a strapparti una risata mentre ti spingono alle lacrime. Sono, semplicemente ed estremamente, dei bei racconti. Oltre a tutto questo, Amy è anche molto bella e ha la testa coperta da una luminosa chioma canuta.
Insieme a scrittori come Raymond Carver, Barry Hannah e Mary Robison, Amy Hempel è stata canonizzata tanto come parte dell’epoca d’oro della short story americana quanto come parte del cosiddetto 'minimalismo'. Che queste classificazioni siano corrette o meno, Amy è stata tra gli eletti ad aver lavorato con il leggendario editor editor Gordon Lish—che ha prestato servizio dal 1977 al 1995 alla Alfred A. Knopf, e di cui ancora oggi è possibile percepire il riverbero del suo gigantesco impatto sulla letteratura americana. Oltre a questo, Amy è anche fra i pochi autori—insieme a, forse, Carver e Grace Paley—ad essersi costruitauna reputazione letteraria inossidabile senza mai cimentarsi nel romanzo. Ma poi, a chi importa? Amy Hempel riesce a fare di più con 15 pagine di quanto altri autori non riescano a fare con 250."


Nello stesso numero della rivista si trova anche un bellissimo racconto inedito, Greed. Ecco come inizia:

La signora Greed era sposata da quarant’anni, suo marito l’uomo più cornuto della storia. Un uomo bruttino dal patrimonio ragguardevole, che l’accompagnava nelle sue commissioni nei dintorni. La signora Greed faceva un punto d’onore dell’affermare che non lo avrebbe mai lasciato. Poco importava se l’affetto per lui era superato dall’attaccamento ad altri. Tra cui, per esempio, mio marito. Se di notte lei rimaneva a casa, nel letto di suo marito, perché a lui doveva importare come passava le giornate?
Era a me che importava.
Protetta dagli uomini, dal denaro e dalla mancanza di vergogna, la signora Greed era sempre riuscita a evitare ciò che si meritava. Aveva quel genere di gaiezza per cui gli uomini non pensavano che se la facesse con tutti, bensì che avesse una certa joie de vivre; la consideravano una libertina, non una puttana.
Aveva i mezzi per potersi abbandonare ai propri istinti e dormire tutta la mattina dopo nottate che teneva nascoste agli amici. Girava il mondo, e si trasformava nella persona che poteva essere altrove con gente che non avrebbe mai più rivisto.
Aveva molti anni più di mio marito, e campava di rendita su una bellezza ormai sfiorita. Era stata una bellezza convenzionale, la sua, e io ero imbarazzata dall’omaggio che mio marito le rendeva. Un tema ricorrente dei loro incontri: il rammarico di non essersi conosciuti prima.
Lui le chiese se provasse sentimenti materni nei suoi confronti. Lei disse di non sapere che risposta lui si aspettasse. Gli raccontò che provava un’erotica miscela di passione e tenerezza. Se lui voleva considerare quella tenerezza come un sentimento materno, che facesse pure.
Quando si erano conosciuti, le disse, lui non le aveva nascosto che somigliava a sua madre, una donna piena di fascino che lo aveva trattato con crudeltà ed era morta quando lui era piccolo. Non lo aveva detto per sottolineare la sua età, né lei aveva pensato a un’ossessione. Aveva percepito quella frase come le sembrava fosse intesa: come un complimento, un’occasione in più per consolidare il loro legame. Avrebbe assunto volentieri il ruolo della brava madre, oltre a quello della persona dominata dalle proprie sensazioni. E avrebbe visto la sua ricerca di piacere procurare piacere a quelli che la circondavano!
Una cosa tutta loro: le mele verdi. Mai rosse, sempre verdi. Sapevo quando mio marito aveva ricevuto la signora Greed perché un trio di cestini in cucina si riempiva di lucide mele verdi. Mio marito sosteneva di trovarle belle; non l’ho mai visto mangiarne una. Quando cominciavano a diventare molli e marroni, le buttavo via. Ed ecco che in breve la cesta tornava a riempirsi.

Potete leggere il resto qui: GREED - Di Amy Hempel - Vice Magazine

6 commenti:

  1. Anche io ho trovato 'Ragioni per vivere' un ottimo libro, coraggioso e spietato. Una vera scoperta. Ci possiamo aspettare qualche nuova traduzione?

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  2. Non nell'immediato futuro. Hempel è una scrittrice molto lenta (come si può intuire dalla sua scrittura, passa ore e ore su ogni singola parola), e nella raccolta c'è tutta la sua produzione fino a oggi. Per questo sono stata contenta di poter pubblicare una chicca "extra" come il racconto Greed.

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  3. Buon pomeriggio.
    Il link alla Sua traduzione non funziona; è possibile leggerla da qualche altra parte?

    Buona giornata.

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    1. Ah, no, vedo che hanno rimosso il contenuto. Mi dispiace.

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  4. Peccato.

    Scusi se la disturbo ancora, ma vorrei chiederle, se è possibile, un chiarimento sulla traduzione del "il raccolto" che Lei fece per la Mondadori.

    L'originale è:

    "The year I began to say vahz instead ofvase, a man I barely knew nearly accidentally killed me"

    Lei traduce:

    L'anno in cui cominciai a dire “colazione” anziché “pranzo”, un uomo che conoscevo appena rischiò di uccidermi in un incidente."

    Perché questa modifica?
    Non si stravolge il senso? Nell'originale vi è un cambiamento, qualcuno che diventa più raffinato (come disse Palahniuk), nella traduzione non si perde tutto ciò?

    Buona giornata.

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    1. La traduzione "... dire 'colazione' anziché 'pranzo'" ha precisamente quella funzione (intendendo con "colazione" non il pasto del mattino, bensì quello che il dizionario Treccani definisce così: "Nell’uso ufficiale ed elevato si preferisce, peraltro, chiamare colazione, termine di tradizione letter., il pasto del mezzogiorno, riservando pranzo al pasto della sera.")

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