Pochi giorni fa è mancato un grande traduttore, Glauco Felici. Tantissimi scrittori di lingua spagnola che amo hanno scritto in italiano con le sue parole.
Simone Barillari gli ha dedicato un bell'articolo sul manifesto, che ripubblico qui.
Non meno che ai molti che lo hanno conosciuto e amato, Glauco Felici
(1946-2012), uno dei più insigni traduttori e ispanisti italiani del
secondo Novecento, mancherà all’editoria e alla letteratura di questo
paese. Da oltre quarant’anni leggevamo le sue parole inconsapevolmente,
credendo di leggere soltanto le parole di alcuni dei più grandi
scrittori spagnoli e sudamericani del secolo: Javier Marías (di cui
Felici ha tradotto quasi tutti i romanzi, da Domani nella battaglia pensa a me a L’uomo sentimentale, da Tutte le anime alla trilogia di Il tuo volto domani), due fondamentali premi Nobel come Mario Vargas Llosa (Il Paradiso è altrove e La festa del Caprone tra
gli altri) e Octavio Paz, di cui stava traducendo alcune delle maggiori
opere per un Meridiano che deve ancora uscire, e che assume ora il
senso di una duratura eredità, l’infinito Jorge Luis Borges (Elogio dell’ombra, Manuale di zoologia fantastica) e il suo amico e doppio Adolfo Bioy Casares (i racconti di Un leone nel parco di Palermo),
un poeta della levatura di Federico García Lorca, di cui è stato uno
dei più intimi conoscitori italiani, José Lezama Lima, questo tormentoso
Gongora cubano con il suo lussureggiante Paradiso, qualcosa di Cabrera Infante e molto di Osvaldo Soriano (e in special modo un romanzo struggente e amato come Triste, solitario y final),
l’incandescente Paco Ignacio Taibo e l’elegante Juan Goytisolo, e
ancora altri classici, come Diego de Torres Villaroel e Miguel de
Unamuno, e altri contemporanei, come Miquel de Palol, Quim Monzó,
Antonio Skarmeta e Álvaro Pombo. Di alcuni di questi autori, poi, Felici
fu non soltanto traduttore e curatore ma anche amico e importante
interlocutore intellettuale, come testimoniano i ricchi carteggi
intrattenuti con Mario Vargas Llosa, Osvaldo Soriano e Javier Marías,
che gli conferì anche il fastoso titolo nobiliare di Visconte Foscolo –
con eloquente riferimento a un poeta che fu traduttore – nell’ambìto e
fantastico Regno di Redondo, dove Marías ha posto, con scherzosa
serietà, alcuni dei più illustri uomini di lettere d’Europa.
Diceva un autore tradotto da lui, Octavio Paz, che un uomo di lettere “non ha biografia: la sua opera è la sua biografia”, e anche la vita pubblica di Glauco Felici, come quella degli autentici uomini di lettere, sembra lasciarsi ripetere solo attraverso il vertiginoso sfilare dei titoli a cui lavorò e le sue prestigiose collaborazioni con i giornali, primi fra tutti il manifesto e La Stampa. Nel suo caso, tuttavia, anche altro andrà ricordato che non dicono i libri e gli articoli e nemmeno i tanti premi vinti, dal Grinzane Cavour al Monselice, ed è la sua ininterrotta attività di consulenza per grandi realtà come Einaudi e il Saggiatore, che fa di lui uno degli alacri e oscuri artefici della storia editoriale della letteratura ispanica in Italia. Lo caratterizzò sempre, in questo ruolo, una tenacia senza compromessi nel promuovere autori e letterature distanti dagli umori dei mercati, nel cercare e talvolta faticosamente trovare spazio per prose nuove e difficili, per nomi ignoti e importanti.
Serve per essere traduttore, per essere il segreto scrittore di uno scrittore, una misura di umiltà e un’ugual misura di amor proprio, una mobile mescolanza di modestia e di orgoglio: non si può dare a un altro uomo nulla di più personale che le proprie parole, ed è questa una delle più alte abnegazioni di sé, ma pensare di poter restituire le parole di un altro uomo in qualsiasi altro modo che non siano le sue stesse parole, questo è un atto di suprema fierezza. L’una e l’altra sono state le prerogative essenziali ed esistenziali di Glauco Felici, e le contiene entrambe questa sua considerazione che descrive con disinvolta spietatezza l’arte di tradurre: “So di aver fatto una grande traduzione quando, rileggendola dopo molti anni, non riconosco che è mia”. È eccessivo, probabilmente, dire che muore, insieme a un traduttore, anche qualcosa di ogni scrittore che traduce, eppure, al tempo stesso, non si può forse immaginare nessun altro silenzio che sia vasto e profondo quanto quello che si ha quando, alla morte di un traduttore, sembrano tacere per un lungo momento, tutte insieme, alcune delle più grandi voci dell’umanità.
Diceva un autore tradotto da lui, Octavio Paz, che un uomo di lettere “non ha biografia: la sua opera è la sua biografia”, e anche la vita pubblica di Glauco Felici, come quella degli autentici uomini di lettere, sembra lasciarsi ripetere solo attraverso il vertiginoso sfilare dei titoli a cui lavorò e le sue prestigiose collaborazioni con i giornali, primi fra tutti il manifesto e La Stampa. Nel suo caso, tuttavia, anche altro andrà ricordato che non dicono i libri e gli articoli e nemmeno i tanti premi vinti, dal Grinzane Cavour al Monselice, ed è la sua ininterrotta attività di consulenza per grandi realtà come Einaudi e il Saggiatore, che fa di lui uno degli alacri e oscuri artefici della storia editoriale della letteratura ispanica in Italia. Lo caratterizzò sempre, in questo ruolo, una tenacia senza compromessi nel promuovere autori e letterature distanti dagli umori dei mercati, nel cercare e talvolta faticosamente trovare spazio per prose nuove e difficili, per nomi ignoti e importanti.
Serve per essere traduttore, per essere il segreto scrittore di uno scrittore, una misura di umiltà e un’ugual misura di amor proprio, una mobile mescolanza di modestia e di orgoglio: non si può dare a un altro uomo nulla di più personale che le proprie parole, ed è questa una delle più alte abnegazioni di sé, ma pensare di poter restituire le parole di un altro uomo in qualsiasi altro modo che non siano le sue stesse parole, questo è un atto di suprema fierezza. L’una e l’altra sono state le prerogative essenziali ed esistenziali di Glauco Felici, e le contiene entrambe questa sua considerazione che descrive con disinvolta spietatezza l’arte di tradurre: “So di aver fatto una grande traduzione quando, rileggendola dopo molti anni, non riconosco che è mia”. È eccessivo, probabilmente, dire che muore, insieme a un traduttore, anche qualcosa di ogni scrittore che traduce, eppure, al tempo stesso, non si può forse immaginare nessun altro silenzio che sia vasto e profondo quanto quello che si ha quando, alla morte di un traduttore, sembrano tacere per un lungo momento, tutte insieme, alcune delle più grandi voci dell’umanità.
Simone Barillari, Glauco Felici, scrittore segreto, il manifesto
Non conoscevo questo scrittore. Grazie per aver condiviso e grazie anche per avermi aperto un mondo (quello dei traduttori) che - ora me ne vergogno -ignoravo.
RispondiEliminaE dovevo pur arrivarci che "I LIBRI NON SI TRADUCONO DA SOLI".
(meglio tardi che mai....) :-)
Ti sembrava di non conoscerlo! In realtà sono sicura che qualche libro tradotto da lui lo avrai letto.
EliminaCiao Silvia, mi intrometto con un messaggio fuori tema, ma visto che si parla di traduttori volevo dirti che ieri finalmente ho comprato "Is that a fish in your ear - the amazing adventure of translation".
RispondiEliminaNon vedo l'ora di iniziarlo.
Un abbraccio e sappi che anche se lascio pochi messaggi continuo a leggerti sempre con tanto piacere.
Fammi sapere cosa ne pensi. A me è piaciuto perché secondo me sa dire cose molto affascinanti in un linguaggio che non si rivolge solo agli addetti ai lavori.
EliminaHo visto che hai avuto visite... Ce la farò anch'io a venire a Parigi, giuro! E non preoccuparti, anch'io non riesco sempre a commentare quanto vorrei! :-)
Non conoscevo Glauco Felici, ma mi pare che le parole che scrive Simone Barillari servano a farci capire l'importanza del suo lavoro e la grandezza della persona. Quella mescolanza di umiltà e di amor proprio, di modestia e di orgoglio che meglio non potrebbe definire il mestiere del traduttore.
RispondiEliminaE' proprio un gran bell'articolo, questo di Simone Barillari. Sono molto contenta che ti sia piaciuto :-)
EliminaGrande Glauco. E grazie a te per questo bel post. Baci e buona domenica
RispondiEliminaQuanti libri meravigliosi ho letto, tradotti da lui...
EliminaPer me Marías ha la sua voce.
EliminaGrazie Silvia per questo articolo molto bello!
RispondiEliminaHo letto Borges (difficile anche in italiano!) e Lorca e non ricordavo affatto il nome del traduttore, mea culpa, ma in fondo è solo da quando ti conosco che ci faccio caso :)
E un saluto a Glauco!
Fra gli altri da lui tradotti io amo soprattutto Marías, Soriano e il grandioso Vargas Llosa ("La festa del caprone" è un libro superlativo).
Eliminaè un bellissimo articolo, non conoscevo questo traduttore. Sarà che io e gli autori in lingua spagnola non andiamo tanto d'accordo. Sto leggendo ora un libro in inglese, Cloud Atlas, adesso penso sempre come lo tradurresti tu. :D
RispondiEliminaArgh, libro difficilissimo da tradurre! Sono curiosa di vedere il film che ne hanno tratto i fratelli Wachowski.
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