mercoledì 6 febbraio 2013

Sul tradurre/7

Emine Sevgi Özdamar
«Non sempre quando si è all'estero si perde la propria lingua madre, tuttavia sono tanti gli aspetti della vecchia vita che mancano: non c'è la quotidianità, mancano le voci dei venditori di strada. Ma soprattutto mancano le persone. Tua madre, la fonte d'amore della tua lingua non c'è. Tutti i tuoi ricordi sono connessi alla lontananza. Ed ecco che a un tratto le parole non ti toccano più, non ti emozionano più. È un grande pericolo. Non importa se succede con la tua lingua madre o un'altra lingua: se le parole smettono di emozionarti, è davvero pericoloso. [...] E qui entra in gioco la collezionista di parole. Un collezionista di parole è un collezionista di emozioni.
Il mio traduttore spagnolo, Miguel Sáenz, dice sempre: Özdamar deve essere tradotta così com'è, ed è riuscito a tradurre i miei libri con successo. Sicuramente anche l'anima del traduttore è molto importante. Si tratta piuttosto di un coautore: io scrivo una musica, il traduttore la ascolta e musica di nuovo il pezzo. Miguel è solito dire che un libro è sempre un'opera non ancora terminata che diventa completa solo grazie alle traduzioni nelle diverse lingue. È verissimo: spesso leggo le mie traduzioni e penso che è proprio così.»

[intervista di Margherita Bettoni a Emine Sevgi Özdamar, autrice di La lingua di mia madre (Palomar 2005, trad. di Silvia Palermo, fuori catalogo), il manifesto, 5.1.2013]

Grazie ad Anna Nadotti che me lo ha segnalato.

20 commenti:

  1. Ma che coincidenza! Per strada stamattina ho pensato di chiudere la pagina Il nome del Traduttore, perché le visite sono calate molto ecc., ed aprirne una diversa, sempre per valorizzare il lavoro del traduttore: p. es. "il paragrafo che è stato più difficile da tradurre", con il contributo attivo dei traduttori.

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  2. bellissimo concetto quello della creazione di una partitura a più mani, come un coro in cui le voci non sono più solo la somma di più voci ma qualcosa di nuovo, più potente, più suadente, più emozionante

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    1. Grazie Amanda, anch'io trovo che sia un modo bellissimo per descrivere il lavoro del traduttore.

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  3. Bellissime parole! Da quando vivo all'estero apprezzo ancora di più la capacità di gettare ponti tra le varie lingue e le varie identità del traduttore. A volte provo a tradurre espressioni italiane per i miei amici francofoni ma mi accorgo di quanto sia difficie mantenere il colore ( e il calore) delle frasi originali. Grazie a chi riesce a farlo e ad accompagnarci nel sentieri pieni di fascino di un altro modo di pensare e di un'altra lingua.

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  4. Oh. Che bella questa considerazione.

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    1. Immagino che valga anche di più per te che adesso ti trovi immersa in un pot-pourri di lingue!

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  5. E' davvero molto bello che un autore mostri questo apprezzamento per i suoi traduttori.

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  6. Riflessioni acute e coinvolgenti. Grazie.

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  7. Ci penso spesso alle parole che non sento mai, mi manca parlare la mia lingua, ma quando torno i patria, a volte, mi sento un po' straniera. Chissà. Comunque molto bella la visione del traduttore come coautore

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  8. Stupendo... La traduzione, come la letteratura, é un arte e l'arte é amore, passione ed emozione...bello! Spero che siano molti gli autori che apprezzino così come questa scrittrice i proprio traduttori... Un bacio

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    1. Ma Clara, hai un nuovo blog e non dici niente? Sono la prima follower, evviva!

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    2. Non è proprio un blog. Ancora non sono così interattiva :-)
      Un abbraccio, e onorata che tu sia la mia prima follower, e forse anche l'ultima ;-)

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  10. che belle parole :) credo sia un'arte quella di tradurre con gli stessi "colori" e la stessa enfasi le frasi idiomatiche della lingua straniera, anzi reputo sia un compito delicato e per niente facile. Complimenti :-)

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