Mentre un raggio di sole buca l'ineluttabile coltre di nebbia di un mattino di luglio a San Francisco, ripenso a quel mattino di pochi giorni fa, quando mi sono alzata nella brezzolina pre-caldazza del mio paesello e mi sono preparata per i due importanti appuntamenti milanesi che mi aspettavano. Alle tre dovevo vedere l'Agente Letterario, e alle sei e mezza avevo un cocktail in onore di un importante Scrittore Americano che ho tradotto di recente.
La sera prima la mia amica Viviana mi aveva imposto un rastrellamento del guardaroba, in cerca di una mise adeguata ai suddetti appuntamenti. Tralasciando le mie urla di raccapriccio nel constatare che quasi tutti i miei vestitini estivi erano stati misteriosamente scambiati con altri vestiti identici ma di due taglie inferiori, passiamo direttamente alla questione dei sandali. Secondo l'amica Viviana non potevo assolutamente indossare i sandali francescani marroni che indosso sempre d'estate in alternativa a quelli orrendi da passeggio col velcro, ma dovevo assolutamente mettermi dei sandali neri. Io di sandali neri ne avevo due paia, relegati nella scarpiera da tempo immemorabile, entrambi pre-usati da amiche che poi me li avevano passati perché impietosite dai miei piedi calzati di velcro.
Al mattino, dunque, dopo aver indossato una mise nera semplice ma elegante - a parte i pantaloni che tiravano un po' sui fianchi, ma per fortuna il lino si rilascia - mi sono infilata un paio di sandaletti neri. Al momento di chiudere il cinturino, però, mi sono accorta che il cuoio - che in realtà non era cuoio, ma un materiale più simile al catrame - era un po' appiccicaticcio. Allora, con un colpo di genio addirittura germanico nella sua praticità, ho infilato il secondo paio di sandaletti neri in un sacchetto di plastica che ho infilato a sua volta nella borsa, pensando: "Ha! Così se i primi sandali si rompono ne ho un paio di scorta!"
Nel breve tragitto da casa mia alla stazione, i sandali di catrame, forse un po' sciolti dalla prima caldazza, hanno cominciato a rilasciarmi una specie di gromma nera sui piedi. Ma io, astuta, avevo con me il paio di scorta. Arrivata in stazione ho diligentemente pulito i piedi ingrommati con un fazzolettino inumidito, ho buttato nella spazzatura i sandali di catrame e ho infilato il secondo paio di sandali. Poi sono salita sul treno.
Pochi istanti dopo, mentre telefonavo alla mia amica Eleonora che mi avrebbe ospitato quella sera, ho abbassato lo sguardo a terra e ho pensato: "Che strano, come ho fatto a non accorgermi che il pavimento era così sporco." Sembrava che qualcuno avesse lavato in lavatrice un paio di jeans con le tasche piene di fazzoletti di carta e poi avesse riversato il contenuto di quelle tasche sul pavimento del treno. Ma poi mi sono accorta che non era carta. Era il contenuto del tacco del mio sandalo che si era appena staccato dalla suola. Nel giro di pochi istanti, mentre ne facevo la cronaca in diretta a Eleonora, si è staccato anche l'altro tacco, liberando un materiale che in seconda analisi somigliava di più al polistirolo che alla carta. E poi, misteriosamente, la suola ha cominciato a disintegrarsi, come se ci fossero degli animaletti che ne rosicchiavano i bordi.
Mentre tutto lo scompartimento seguiva in tempo reale lo svolgersi della vicenda, ho chiamato il mio amico Edoardo implorandolo di precipitarsi in un negozio di scarpe vicino alla stazione per comprarmi un paio di sandalacci da battaglia e di portarmeli al binario. E così, con un paio di sandali col velcro nuovi fiammanti marca Decathlon, sono riuscita ad arrivare dall'Agente Letterario. Uscita da lì ho trovato un grande negozio di nome Silvia in cui naturalmente sono subito entrata, e lì ho comprato un paio di sandali neri scomodissimi ma molto carini con i quali ho fatto un figurone al cocktail.
Poiché non possiedo un telefono dotato di macchina fotografica, purtroppo non ho potuto fotografare i sandali di Fantozzi prima di buttarli nella spazzatura, perciò li lascio alla vostra immaginazione.
In alternativa vi offro un'immagine del Golden Gate Bridge momentaneamente visibile attraverso la nebbia, fotografato or ora dalla finestra salendo in piedi sulla poltrona girevole della scrivania con grande sprezzo del pericolo.