giovedì 14 luglio 2016

Appunti di viaggio con scrittori

Una giornalista mi ha chiesto un'intervista, che forse verrà pubblicata e forse no. Una delle domande prevedeva una "rassegna aneddotica" sui "miei" autori. Ho buttato giù alcuni appunti, così, senza pensarci troppo. Ve li ripropongo qui, così come li ho scritti.

Che foto metto? Metto Gracie, anche se non l'ho tradotta io, perché l'amo
Franzen è noto per il suo bisogno di assoluto isolamento quando scrive. Dopo l’uscita delle Correzioni, nel 2001, raccontò di aver scritto il romanzo lavorando spesso al buio e con indosso un paio di quelle cuffie che cancellano ogni rumore esterno. Una volta gli ho raccontato che condividevo il suo odio per i rumori, e lui mi ha mandato un file mp3 contenente un’ora e venti minuti di “rumore rosa” un tipo di rumore statico usato per bloccare i suoni di sottofondo. Lo uso spesso, quando fuori ci sono i tosaerba.
Anche il personaggio di uno dei miei racconti, Misofonia, ha un serio problema con i rumori, ma lei per difendersi utilizza una macchina del rumore bianco. E parlando di rumore bianco viene subito in mente l’omonimo romanzo di Don DeLillo. Se Franzen, come i suoi lettori sanno, rifiuta enfaticamente qualunque distrazione proveniente da internet, e in particolare dai social network (uno dei suoi dieci consigli di scrittura pubblicati sul Guardian recita: “È improbabile che chiunque sia connesso a internet mentre lavora stia scrivendo qualcosa di buono”), Don DeLillo non usa l’e-mail, e mentre lavoravo a Cosmopolis e Running Dog, i due suoi romanzi che ho tradotto, rispondeva alle mie domande via fax.
All’estremo opposto di Franzen ci sono gli scrittori che amano lavorare nei caffè, circondati dal brusio e dall’andirivieni degli altri clienti. Come per esempio Julie Otsuka, autrice del bellissimo Venivamo tutte per mare, che ama lavorare all’Hungarian Pastry Shop, nell’Upper West Side di Manhattan. In questo locale, rigorosamente privo di wi-fi e sempre affollato di gente che legge e scrive, ogni tanto la incontro per un tè e scherzo con lei sul fatto che è rimasta una dei pochi scrittori che ancora vivono a Manhattan. Chi non se n’è andato lontano, come Franzen che ora vive in California, si è trasferito nella relativamente più economica Brooklyn. 
È il caso per esempio di Nathan Englander, amico di Julie e un tempo suo compagno di scrittura all’Hungarian Pastry Shop. La prima volta che l’ho incontrato, Nathan abitava ancora a Manhattan, e durante una passeggiata nel Village mi portò a vedere l’edificio che un tempo ospitava la Women’s House of Detention, un carcere femminile oggi trasformato in biblioteca, dove, oltre ad altre detenute famose come Ethel Rosenberg, Angela Davis e Valerie Solanas (la donna che sparò a Andy Warhol), era stata rinchiusa per sei giorni, per le sue proteste contro la guerra in Vietnam, la grandissima – e amatissima sia da me sia da lui – Grace Paley.

20 commenti:

  1. Mandami quell'Mp3, ti pregooooo! Ma le cuffie cancella rumore (che dvvero funzionino) quali sono???

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    1. Te lo mando volentieri, ma come faccio? Le cuffie cancellarumore non le conosco, io nei casi estremi (tosaerba sotto casa) metto tappi di cera + cuffie normali con pink noise. So che qui esistono dei tappi speciali che tolgono completamente il rumore, ma devi andare da un medico affiliato all'azienda che ti prende il calco dell'orecchio e il tutto costa circa $250. Non tanto per ottenere una meravigliosa sordità temporanea, ma anche quello non l'ho ancora provato.

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  2. Julie Otsuka scrive pagine così struggenti ed evocative che non penso le manchi la concentrazione mentre scrive, ogni esemplare umano fa storia a sé, anche in fatto di concentrazione

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  3. Le risposte via fax di Don DeLillo mi hanno fatto sorridere. :)

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  4. L'Hungarian Pastry Shop deve essere una "magnifica cattedrale" per scrittori e lettori.
    La giornalista (ma è giusto chiamarla tale?) poteva recuperare punti dopo la domanda fuori luogo, accettando la tua proposta. Non l'ha fatto, peggio per lei, anche se sarei curiosa di sapere cosa scriverà-riporterà. Bah!

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    1. Non scriverà niente, l'intervista non si è fatta. Ma molto meglio così!

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  5. Gente strana a volte i giornalisti..
    E comunque viva Gracie!

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  6. Questa giornalista non ha un gran fiuto, perdersi una chicca del genere è roba da matti. Chissà se l'Hungarian Pastry Shop è ancora quel locale all'antica che era 30 anni fa, quando lo visitai con le lacrime agli occhi per la felicità di vedere anche solo l'aggettivo Hungarian :-)

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    1. Anche a me sembrava interessante... mah.
      Sì, l'Hungarian Pastry Shop è rimasto immutato, bellissimo. E a proposito di Hungarian, ti ricordi la First Hungarian Literary Society?

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    2. Lo so, non la conosce nessuno, volevo solo ricordarti il mio vecchio post in cui ne parlavo (il link è inserito nel commento) :-)

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    3. Grazie :-) Ah, vedevo i caratteri diversi ma mica capivo che fosse un link :-( Ora invece l'ho visitato e mi è tornato tutto in mente. Anche il dispiacere già provato di non poter leggere i nomi sul cartellone del 1924.

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  7. Mi unisco a quanti invidiano Julie Otsuka (di cui, tra l’altro, devo ancora leggere il libro). Io sono pessima, mi lascio distrarre anche dai tipi che parlano in treno; alle volte, riescono a distrarmi persino le signore rumene (dei cui discorsi, ovviamente, non capisco una parola. Però mi affascina la loro lingua sconosciuta al punto da perdere il filo di quanto sto leggendo).
    Per il resto, ringrazio pubblicamente la giornalista che ci ha permesso di leggere questo post!

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    1. Eh, a chi lo dici! Io mi lascio distrarre anche dal ronzio di una mosca!

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  8. Ah se si potesse fare il nome di certi giornalisti...

    Mi piace l'auto-segregazione di Franzen , anche se non è detto che dal silenzio nascano solo buoni pensieri. Magari i pensieri possono prendere strade diverse e perdersi. A me capita, mentre leggo un libro, di essere colpita da qualcosa a cui associo un ricordo. E allora la mente vaga a quel ricordo, si perde in mille ragionamenti e poi... eh? che stavo facendo? ah, sì stavo leggendo..ok ricomincio (mi può capitare anche 10 volte di fila, dipende dal libro ovviamente)

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    1. Io non ce la faccio ad autosegregarmi, per lavorare bene ho bisogno di frequenti micropause di distrazione che mi lascino riflettere in sottofondo. Il problema è impedire che le pause da micro diventino macro.

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