martedì 15 novembre 2011

La traduzione e la percezione di un mondo: vivere in un villaggio

In questi giorni sto traducendo un racconto ambientato in Cisgiordania, nel quale ricorre spesso l'espressione Arab village, e continuano a tornarmi in mente le parole dell'arabista Elisabetta Bartuli, la quale, in questo documentario, afferma:

“Io personalmente, quando traduco, penso che sto dando voce. E il più delle volte sto dando voce a chi normalmente non ce l’ha. [...] Se non si fa attenzione si fanno danni. E non parlo di danni letterari. Abbiamo rovinato un capolavoro: va be’, abbiamo rovinato un capolavoro. Ma non abbiamo rovinato solo un capolavoro: abbiamo rovinato la percezione di un mondo intero”.

Ed ecco cosa dice Elisabetta Bartuli sulla questione del "villaggio", qui:

"Con un vistoso calco dalla traduzione francese e inglese, è d'uso rendere il termine qarya (paese, agglomerato urbano, cittadina di piccole dimensioni...) con 'villaggio'. Ora, cosa intende il lettore italiano per villaggio, se non un insieme raffazzonato di tende o baracche senza alcuna organizzazione stabile? Riesce a comprendere che i 'villaggi' dell'Alto Atlante marocchino, ad esempio, sono nuclei urbani in senso compiuto e non provvisori stanziamenti di nomadi? Ancora: come può, il lettore italiano, visualizzarsi il disastro dell'esodo palestinese da 'villaggi' in cui, già negli anni Quaranta, centinaia e a volte migliaia di persone vivevano in strutture murarie che comprendevano, oltre alle case, luoghi di culto, uffici municipali, istituzioni scolastiche, posti atti alla socializzazione?"

Qui sotto potete vedere un esempio di quello che in inglese viene definito Arab village. In italiano lo definireste "villaggio"?

General view of the Arab village of Bethany (al-Azariyeh). Foto da qui, didascalia originale
 

4 commenti:

  1. I quartieri di Tokyo vengono chiamati 街 (machi) ovvero "citta'". Innumerevoli citta' in una citta'. Trovo da sempre affascinanti queste differenze.

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  2. Però nelle traduzioni diventeranno "quartieri", giusto? Altrimenti un lettore straniero equivocherebbe... e qui torniamo a quanto si perde nelle traduzioni da una cultura così distante.

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  3. la struttura di tokyo è molto particolare, di solito si mettono delle note nelle traduzioni. però mi permetto di dissentire sulla definizione di villaggio. se quello della foto in effetti per me è più una cittadina, quando penso a un "villaggio" non penso affatto a un agglomerato di tende e baracche, semmai a un piccolo, anche molto piccolo, nucleo, ma urbano. con, nell'accezione italiana, una chiesa, e magari una scuola. voi no?

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  4. Sempre felice di accogliere voci in disaccordo! E' vero: Leopardi, per esempio, non passava i suoi sabati in un agglomerato di tende e baracche, però secondo me la parola "villaggio" rischia troppo di evocare un luogo "primitivo" o "antiquato" - un po' leopardiano, appunto - perciò quando parliamo di luoghi contemporanei trovo che sia meglio tradurre "village" con "paesino" o qualcosa di simile.

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