mercoledì 9 novembre 2011

La mia terza chiacchierata alla Scuola Holden: Denis Johnson e Junot Díaz

Oggi con gli allievi della Scuola Holden di Torino parleremo di slang, del gergo dei soldati nel Vietnam di Albero di fumo e dello Spanglish del "ghetto-nerd" Oscar Wao.

Di Albero di fumo e Denis Johnson ho parlato QUI, QUI e QUI.

Di Junot Díaz e di La breve e favolosa vita di Oscar Wao ho parlato QUI. Per chi volesse leggere qualcos'altro su questo libro straordinario, QUI trovate la rassegna stampa di Oblique.

Buona lettura!

9 commenti:

  1. Grazie della segnalazione, Denis Johnson non lo conoscevo ma lo metto subito nel mio carrello amazon...

    Ne approfitto per una domanda. Mi sono sempre trovato in difficoltà a leggere lo slang o la lingua dialettale (straniera) tradotta in italiano. Confesso di aver sempre preferito che venisse resa con un italiano normale piuttosto che tradotta in qualche dialetto locale.
    Tu che pensieri hai a riguardo? Come ti regoli in questi casi?
    Grazie come al solito per gli spunti che offri!

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  2. mi interessa molto l'argomento slang, e anche tutto cio' che c'e' dietro alla nascita ed allo sviluppo di lingue come lo Spanglish.
    percio' metto in lista anche Díaz. grazie per lo spunto!
    deve averti dato un bel daffare con la traduzione, ma immagino che ti avra' dato anche molto in cambio.
    per quanto riguarda "Albero di fumo", mi incuriosisce molto leggere che uno dei personaggi ricordi il colonnello Kurtz, che ho amato profondamente (ancor di piu' in Apocalypse now che in Conrad).

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  3. @Matteo: quello della traduzione dei vernacoli è un grosso problema. Come dice Berman nel libro che ho citato qualche giorno fa: "Sfortunatamente il vernacolare non può essere tradotto con un altro vernacolare. *Solo le koinè, le lingue 'coltivate', possono tradursi l'un l'altra*. Una simile esotizzazione, che rende lo straniero di fuori con quello di dentro, finisce solo per ridicolizzare l'originale."
    Proprio così. Rendere una parlata vernacolare straniera con una italiana (gli abitanti degli Appalachi che parlano in bergamasco?) è un'operazione inaccettabile. Cosa si fa, allora? Nei casi in cui i personaggi usino un gergo particolare, come nel caso dei due libri citati qui sopra, possiamo divertirci a reinventare parole ed espressioni e a usare un italiano molto colloquiale, nello stesso registro della lingua di partenza.
    Diverso è il caso di dialetti o parlate regionali, fra cui il più celebre è quello di Huckleberry Finn. Ti copio e incollo un brano da questo scritto di Luigi Bonaffini: http://userhome.brooklyn.cuny.edu/bonaffini/DP/dialect3.htm

    "L'ipotetico traduttore italiano o spagnolo di Huckleberry Finn che volesse riprodurre la molteplicità delle forme linguistiche locali sarebbe costretto a far parlare il Negro del Missouri in napoletano o siciliano o catalano o gallego, con tutti i problemi di incongruità che ne conseguirebbero. Non c'è quindi da stupirsi se poi la complessità e lo spessore semantico del linguaggio subiscano un forte ridimensionamento nelle traduzioni italiane, dove le varietà locali ed individuali vengono in effetti azzerate, e sostituite da un linguaggio genericamente colloquiale ed idiomatico. Scegliendo a caso un discorso di Jim (capitolo VII), con a fronte la recente traduzione di Huckleberry Finn di Giovanni Baldi: 'I tuck out en shin down de hill, en 'spec to steal a skift 'long de sho' som'ers 'bove de town, but dey wuz people a-stirring yit, so I hid in de ole tumbledown cooper shop on de bank to wait for everybody to go away.
    Mi sbatto giù dalla collina e penso di sgraffignare una barca lungo la riva sopra la città, ma c'era ancora in giro della gente, e allora mi nascondo nel vecchio negozio del bottaio, quello tutto a pezzi che sta sulla sponda del fiume, per aspettare che se ne vanno.'
    Il dialetto negro di Jim, fortemente caratterizzante e molto diverso dalla parlata degli altri personaggi, nella traduzione subisce un processo di livellamento, che in effetti ne elimina le punte più marcatamente idiomatiche e gergali, consegnandolo invece ad una zona di incerto colloquialismo."
    E tuttavia, continua Bonaffini, fornendoci forse una via d'uscita: "Cioè, traducendo in un linguaggio standard, il traduttore non può cogliere l'eccentricità della parlata vernacolare, il suo porsi come alternativa, deviazione non normativa da una norma. Nell'affrontare questo concetto di deviazione, imprescindibile da qualsiasi discussione sulla letteratura dialettale, bisogna comunque tener conto del notevole scarto a cui è sottoposto lo stesso termine 'dialetto' nell'area anglosassone, dove acquista in effetti il significato di anormalità, di allontanamento da uno standard linguistico ben definito, per cui persino una pronuncia locale o regionale può essere considerata una forma dialettale. Lo stile 'vernacolare' è quindi contrassegnato dalla deviazione da uno standard, laddove non esista una molteplicità di parlate autonome come in Italia (...)"

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  4. @Elle: sì, Oscar Wao mi ha dato un gran daffare, ma è stato anche divertente. Lavorare su un romanzo in cui si gioca così tanto con la lingua ti permette di sbizzarrirti, di azzardare soluzioni che altrimenti non avresti mai osato.
    Quanto a Kurtz, si, decisamente il Colonnello Sands lo ricorda molto, anche se nel finale diventa quasi una parodia del personaggio conradiano.

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  5. Io per esempio mi son sempre chiesta come sia possibile tradurre uno come Camilleri in altre lingue, e mi hanno detto che in francese il traduttore ha usato un dialetto marsigliese. Mi ha inquietata, anche se viste le caratteristiche geografiche, sociali e culturali di una città come Marsiglia, forse c'è una sorta di compatibilità, però così, con questo metodo, un autore con le sue peculiarità diventa altro. E allora a che serve leggerlo?. Forse certe cose semplicemente non sono esportabili e invece le si forza dentro contenitori altri per scopi poco letterari.

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  6. Eccoli qua, i traduttori di Camilleri! Onore al merito!
    http://www.vigata.org/traduzioni/bibliost.shtml

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  7. Oscar Wao l'ho letto in inglese e spesso, spessissimo, mi chiedevo come sarebbe potuto essere tradotto in italiano. Non ho letto la versione tradotta, Silvia, ma spero un giorno di farlo. (E sono convinto tu abbia fatto un ottimo lavoro, come sempre)
    Nuovamente (negli ultimi tempi sono ripetittivo...) complimenti!!!

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  8. Grazie Matteo! I libri belli e difficili sono sempre divertenti da tradurre. Anche se forse il massimo è stato per me tradurre "The Buddha in the Attic", di Julie Otsuka, che non è ancora uscito. E' un libro splendido che ho anche tradotto con una certa facilità. Avrei voluto che non finisse mai!

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  9. Ringrazio in ritardo della bellissimo passaggio che hai riportato in risposta alla tua domanda.
    Mi fa rimpiangere che siano così poco diffuse le edizioni con testo originale a fronte...

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