Ieri, giorno della scomparsa di Carlo Fruttero, ho pubblicato un link a questo mio post dell'ottobre scorso, in cui scrivevo che la traduzione di Fruttero dei Nove racconti di Salinger (Einaudi, 1962) è un capolavoro.
Così ho pensato di farvi un regalo e pubblicare qui uno di quei racconti perfetti, nella perfetta traduzione di Carlo Fruttero.
Buona lettura.
Un giorno ideale per i pescibanana
di J.D. Salinger [ da Nove Racconti ]
Nell’albergo
c’erano novantasette agenti pubblicitari di New York e tenevano le
linee interurbane talmente monopolizzate che la ragazza del 507 dovette
attendere la sua chiamata fin quasi alle due e mezzo. Ma non rimase con
le mani in mano. Lesse in una rivista femminile un articolo intitolato
Il sesso: paradiso… o inferno. Lavò il pettine e la spazzola. Tolse la
macchia dalla gonna del tailleur nocciola. Spostò il bottone sulla
camicetta di Saks. Strappò due peli da poco spuntati alla superficie del
neo. Quando finalmente la centralinista fece il numero della sua
stanza, se ne stava seduta nel vano della finestra e aveva quasi finito
di laccarsi le unghie della mano sinistra.
Era il tipo di ragazza che
non pianta le cose a metà - qualsiasi cosa -per un campanello. Non
cambiò espressione, come se quel telefono fosse abituata a sentirlo
suonare ininterrottamente fin dalla pubertà.
Mentre gli squilli
continuavano, passò il pennellino sull’unghia del mignolo, accentuando
la curva della lunetta. Poi rimise il tappo al flacone di lacca e,
alzandosi, agitò avanti e indietro la mano bagnata, la sinistra. Con
quella asciutta raccolse dal sedile nel vano della finestra un
portacenere congestionato e se lo portò fino al tavolino da notte, su
cui era posato l’apparecchio. Sedette su uno dei due letti gemelli,
fatti entrambi, e a questo punto - era il quinto o sesto squillo - alzò
il ricevitore.
- Pronto, - disse, tenendo le dita della sinistra ben
distese e lontane dalla vestaglia di seta bianca, l’unico indumento che
avesse indosso oltre alle pantofole; gli anelli erano in bagno.
- Ci siamo, signora Glass, ho New York in linea, - disse la centralinista.
- Grazie, - disse la ragazza, e fece posto al portacenere sul tavolino da notte.
Dall’apparecchio venne una voce di donna. - Muriel? Sei tu?
La ragazza scostò un poco il ricevitore dall’orecchio. - Sì, mamma. Come stai? - disse.
- Ero in pena da morire. Perché non hai telefonato? Come stai? Stai bene?
- Ho cercato di chiamarti ieri sera e l’altro ieri. Ma qui il telefono…
- Davvero stai bene, Muriel?
La
ragazza allargò ancora l’angolo tra il ricevitore e l’orecchio. - Sto
benissimo. Fa un gran caldo. Oggi è la giornata più calda che ci sia
stata in Florida dal…
- Perché non hai telefonato? Ero in pena da…
-
Mamma, senti, c’è bisogno di urlare così? Ti sento benissimo, - disse
la ragazza. - Ti ho chiamato due volte, ieri sera. Una volta erano
appena passate le…
- L’avevo detto a tuo padre che probabilmente
avresti chiamato, ieri sera. Ma lui niente, ha voluto a tutti i costi…Ma
stai bene, Muriel? Dimmi la verità.
- Sto benissimo. Fammi il piacere, smettila di farmi sempre la stessa domanda.
- Quando siete arrivati?
- Non so. Mercoledì mattina, presto.
- Chi ha guidato?
- Lui, - disse la ragazza. - E non agitarti. Ha guidato come un angelo. Non avrei mai creduto.
- Ha guidato lui? Muriel, mi avevi dato la tua parola d’ono…
-
Mamma, - interruppe la ragazza, - se ti dico che ha guidato come un
angelo. Sotto gli ottanta dal principio alla fine, se vuoi saperlo.
- Non ha più fatto quei suoi scherzetti con gli alberi?
-
Ti dico che ha guidato come un santo, mamma. Va bene? Gli ho detto di
tenersi sempre vicino alla striscia bianca eccetera eccetera, e lui ha
capito subito cosa volevo dire, e mi ha preso alla lettera. Cercava
addirittura di non guardarli, gli alberi: me ne sono accorta benissimo. A
proposito, papà se l’è poi fatta rimettere a posto, la macchina?
- Non ancora. Chiedono quattrocento dollari solo per…
- Mamma, Seymour ha già detto a papà che pagherà lui i danni. Non c’è motivo di…
- Va bene, vedremo. Come si è comportato… in macchina e… insomma.
- Benissimo, - disse la ragazza.
- T’ha ancora chiamata con quell’orribile…
- No. Adesso ne ha trovato un altro.
- E cioè?
- Oh, senti mamma, che te ne importa?
- Va bene, va bene. Mi chiama Miss Puttana Spirituale del 1948, - disse la ragazza, e ridacchiò.
- Non ridere, Muriel. Non c’è proprio niente da ridere. È una cosa spaventosa. Anzi, è un a cosa triste. Quando penso che…
-
Mamma, - interruppe la ragazza, - senti una cosa. Ti ricordi di quel
libro che mi aveva mandato dalla Germania? Sai, no… quelle poesie in
tedesco. Dove diavolo l’ho messo? Mi sono rotta la…
- Ce l’hai sempre.
- Ma sei sicura? - disse la ragazza.
- Sicurissima. Anzi, l’ho io. È nella stanza di Freddy. L’hai lasciato qui e io non avevo più posto nella… Perché? Lo rivuole?
- No. Solo che me ne ha parlato, mentre venivamo qui. Voleva sapere se l’avevo letto.
- Ma è in tedesco!
-
Lo so, mamma. Questo non cambia niente, - disse la ragazza,
accavallando le gambe. - Si dà il caso che quelle poesie siano state
scritte dall’unico grande poeta di questo secolo; così ha detto. Ha
detto che avrei dovuto comprarmi una traduzione o… insomma. O se no,
dovevo imparare il tedesco, e scusa se è poco.
- Spaventoso. Spaventoso. Proprio una cosa triste, non c’è altra parola. Ieri sera tuo padre diceva…
-
Un secondo, mamma, - disse la ragazza. Andò a prendere le sigarette
vicino alla finestra, ne accese una, e tornò a sedersi sul letto. -
Mamma?-
disse, soffiando fuori il fumo.
- Stammi bene a sentire, adesso, Muriel.
- Ti sento.
- Tuo padre ha parlato col dottor Sivetski.
- Ah! - disse la ragazza.
-
Gli ha raccontato tutto. Tutto. Almeno, così dice lui… sai com’è tuo
padre. Gli alberi. Il fatto della finestra. Quelle cose atroci che ha
detto alla nonna, quando le ha chiesto se aveva dei progetti per le
vacanze eterne. Come ha conciato quelle meravigliose fotografie delle
Bermude… tutto.
- E allora? - disse la ragazza.
- Allora. Per
prima cosa, Sivetski ha detto che l’Esercito non avrebbe mai dovuto
dimetterlo dall’ospedale: è stato un vero delitto, parola d’onore. Ha
detto chiaramente a tuo padre che c’è il rischio - un rischio
grandissimo, dice - che Seymour perda completamente il controllo di se
stesso. Parola d’onore.
- C’è uno psichiatra qui all’albergo, - disse la ragazza.
- Chi è? Come si chiama?
- Non lo so. Rieser, un nome così. Pare che sia bravissimo.
- Mai sentito nominare.
- Be’, comunque pare che sia bravissimo.
-
Muriel, non prenderla su questo tono, fammi il piacere. Stiamo molto in
pensiero per te. Tuo padre voleva telegrafarti di tornare a casa, ieri
sera, se vuoi s…
- Per il momento non ho nessuna intenzione di tornare a casa, mamma. E quindi non stare ad agitarti.
- Muriel, parola d’onore. Il dottor Sivetski dice che Seymour può perdere completamente il con…
-
Sono appena arrivata, mamma. Sono le prime vacanze che mi prendo in non
so quanti anni, e non ho nessuna intenzione di rifare le valige proprio
adesso e tornarmene a casa, - disse la ragazza. - E poi comunque non
potrei mettermi in viaggio. Mi sono presa una scottatura che non posso
neanche muovermi.
- Ti sei presa una brutta scottatura? Ma non hai
visto quel flacone di Bronze che t’ho messo nella valigia? L’ho messo
subito sotto…
- L’ho visto e l’ho usato. Mi sono scottata lo stesso.
- È terribile. Dove sei scottata?
- Dappertutto, mamma, dappertutto.
- È terribile.
- Non morirò.
- Senti, hai parlato con lo psichiatra?
- Be’, per modo di dire, - disse la ragazza.
- Che cosa ha detto? Dov’era Seymour mentre tu gli parlavi?
- Nella sala belvedere, a suonare il piano. Ha suonato tutte e due le sere, da quando siamo qui.
- E allora? Cosa ti ha detto?
-
Oh, niente di speciale. È stato lui ad attaccare discorso. Ero seduta
vicino a lui, ieri sera, mentre si giocava a tombola, e lui m’ha chiesto
se era mio marito quello che suonava il piano nell’altra stanza. Ho
detto di sì, che era lui, e lui m’ha chiesto se Seymour era stato malato
o cos’aveva. Allora io gli ho detto…
- Come mai te l’ha chiesto?
-
Non lo so, mamma. Probabilmente perché è così pallido e tutto, - disse
la ragazza. - Comunque, dopo la tombola lui e sua moglie mi hanno
invitata a prendere qualcosa con loro, e io ho accettato. Sua moglie è
orrenda. Ti ricordi quell’atroce abito da sera che abbiamo visto nella
vetrina di Bonwit? Quello che tu hai detto che per poterlo portare
bisognava avere un microscopico…
- Quello verde?
- Ce l’aveva
addosso. E avessi visto i fianchi. Continuava a chiedermi se Seymour è
parente di Suzanne Glass, sai, quella che ha il negozio a Madison
Avenue… la modista.
- Ho capito, ma cosa ti ha detto? Il dottore.
- Oh, niente di speciale, cosa vuoi. Eravamo nel bar, capisci? C’era un chiasso tremendo.
- Sì, ma tu… ma gli hai detto cos’ha cercato di fare con la sedia della nonna?
-
No, mamma. Non ho potuto entrare molto nei particolari, - disse la
ragazza. - Probabilmente troverò un altro momento per parlargli. Sta
seduto al bar dalla mattina alla sera.
- Non ha mica detto che
secondo lui c’è il pericolo che possa… insomma… che si metta a fare
delle stranezze? Che possa farti del male?
- Non proprio, - disse la
ragazza. - Deve avere più dati, mamma. Devono sapere di quand’era
bambino… tutte quelle cose lì. Te l’ho detto, quasi non potevamo
sentirci, c’era un chiasso dell’altro mondo.
- Bene. Come va il tuo giaccone blu?
- Va ancora. Ho fatto togliere un po’ di imbottitura.
- Come sono i vestiti quest’anno?
- Terribili. Ma molto divertenti. Perfino lustrini… insomma tutto, - disse la ragazza.
- Com’è la stanza?
-
Può andare. Ma appena appena. Non siamo riusciti ad avere la stanza che
avevamo prima della guerra, - disse la ragazza. - La gente che c’è qui
quest’anno è spaventosa. Dovresti vedere che razza di tipi abbiamo
vicino a noi in sala da pranzo. Il tavolo accanto al nostro. Da dirsi,
ma come ci sono arrivati qui, in camion?
- Cosa vuoi, è così dappertutto. E la gonna a fiori, poi?
- È troppo lunga. Te l’avevo detto che era troppo lunga.
- Muriel, te lo chiedo per l’ultima volta: stai bene?
- Mamma, - disse la ragazza, - per la novantaseiesima volta: sì.
- E non vuoi tornare a casa?
- Mamma, no.
-
Tuo padre ha detto ieri sera che sarebbe felicissimo di aiutarti
finanziariamente, se vuoi andartene in qualche posto per conto tuo a
pensarci sopra. Potresti farti una bella crociera. Secondo noi…
- No, grazie, - disse la ragazza, e disincrociò le gambe. - Mamma, questa telefonata mi sta costando un pa…
-
Quando penso che sei rimasta ad aspettare quel ragazzo per tutta la
guerra… insomma, no quando penso a quelle mogli che ne facevano di tutti
i colori…
- Mamma, - disse la ragazza, - è meglio che smettiamo. Seymour può entrare da un momento all’altro.
- Dov’è?
- Sulla spiaggia.
- Sulla spiaggia? Da solo? E come si comporta sulla spiaggia?
- Mamma, - disse la ragazza, - parli di lui come se fosse pazzo furioso…
- Non ho mai detto questo, Muriel.
- Be’, ma lo pensi. Poveretto, se ne sta lì sdraiato, buono buono. Non si toglie nemmeno l’accappatoio.
- Non si toglie l’accappatoio? E perché?
- E chi lo sa? Sarà perché è così bianco.
- Ma santo cielo, se c’è uno che ha bisogno di sole. Cerca di farglielo capire, no?
-
Sai com’è Seymour, - disse la ragazza, e tornò ad accavallare le
gambe.- Dice che non vuole che tutti quegli imbecilli vengano a vedere
il suo tatuaggio.
- Ma non è mica tatuato! S’è fatto tatuare sotto le armi?
- No, mamma. No, sta’ tranquilla, - disse la ragazza e si alzò. - Senti, ti chiamo io domani, magari.
- Muriel. Stammi bene a sentire.
- Sì, mamma, - disse la ragazza, spostando il peso del corpo sulla gamba destra.
- Se si mette a fare o a dire qualcosa di strano devi chiamarmi immediatamente. Sai cosa voglio dire. Hai capito?
- Io non ho paura di Seymour, mamma.
- Muriel, devi promettermelo.
- Va bene, te lo prometto. Ciao, mamma, - disse la ragazza. - Saluta papà -. E abbassò il ricevitore.
- L’acchiappatoio – disse Sybil Carpenter, che abitava nell’albergo con sua madre. – Dov’è l’acchiappatoio?
- Se lo dici ancora una volta, topino, la mamma impazzisce. Diventa matta. Sta’ ferma, su.
La
signora Carpenter stava mettendo dell’olio solare sulle spalle di
Sybil, spalmandolo sulle scapole delicate come ali. Sybil era seduta
precariamente su un grosso pallone da spiaggia, volta verso l’oceano.
Indossava un costume da bagno giallo canarino, a due pezzi, e di uno dei
due pezzi non avrebbe, in realtà, avuto bisogno per altri nove o dieci
anni.
- Era un comunissimo fazzoletto di seta… da vicino si vedeva
benissimo, - disse la donna nella sdraio accanto a quella della signora
Carpenter. - Vorrei proprio sapere come se l’era legato. Le dico: un
amore.
- Ci credo, - consentì la signora Carpenter. - Sybil, vuoi star ferma, per favore ?
- Che cosa acchiappi se non te lo togli? - disse Sybil.
La
signora Carpenter sospirò. - Ecco, - disse. Riavvitò il tappo sul
flacone. - Adesso corri a giocare, topino. La mamma va un momento in
albergo a prendere un martini con la signora Hubbel. Ti porto l’oliva,
eh?
Lasciata libera, Sybil corse fini alla parte piatta e dura della
spiaggia, poi cominciò a camminare verso il Chiosco del Pescatore.
Fermandosi solo una volta a ficcare il piede dentro un castello di
sabbia ormai ridotto in poltiglia, si trovò ben presto fuori dal tratto
riservato agli ospiti dell’albergo.
Continuò a camminare per quattro o
cinquecento metri e all’improvviso partì di corsa, tagliando
obliquamente attraverso la striscia più interna della spiaggia, dove la
sabbia era soffice. Si fermò di colpo quando raggiunse il punto in cui
un giovanotto se ne stava sdraiato sul dorso.
- Che cosa acchiappi se non te lo togli? - disse.
Il
giovanotto sussultò, chiudendosi con la destra i risvolti
dell’accappatoio di spugna. Si rivoltò sullo stomaco, lasciando cadere
un asciugamano arrotolato che gli copriva gli occhi, e alzò lo sguardo
su Sybil, ammiccando.
- Ehi! Ciao, Sybil.
- Non te lo togli?
- Stavo aspettando te, - disse il giovanotto. - Novità?
- Come? - disse Sybil.
- Che novità ci sono? Che c’è in programma?
- Il mio papà arriva domani col nareoplano, disse Sybil, scalciando nella sabbia.
-
Non in faccia, Sybil, - disse il giovanotto, chiudendo la mano intorno
alla caviglia di Sybil. - Be’, era ora che arrivasse, il tuo papà. Sai
che lo aspettavo con impazienza. Con viva impazienza.
- Dov’è la signora? - disse Sybil.
-
La signora? - Il giovanotto si tolse un po’ di sabbia dai capelli radi.
- Difficile dirlo, Sybil. Ci sono mille posti in cui potrebbe essere.
Dal parrucchiere. A farsi tingere i capelli di un bel visone. O a
fabbricare delle bambole per i bambini poveri, in camera sua -. Tornando
a sdraiarsi, ma questa volta sul ventre, il giovanotto chiuse le due
mani a pugno, le mise una sopra l’altra, e appoggiò il mento su questo
sostegno. - Domandami qualche altra cosa, Sybil, - disse. – È bello
quel costume che hai addosso, sai? Se c’è una cosa che mi piace, è un
costume da bagno blu.
Sybil lo guardò a occhi sgranati, poi si contemplò lo stomaco sporgente. - Questo è un giallo, - disse. - Questo è un giallo.
- Ah sì? Vieni un po’ più vicina.
Sybil fece un passo avanti.
- Hai proprio ragione. Ma guarda che stupido sono.
- Non ci vai nell’acqua? - disse Sybil.
- Ci sto pensando seriamente. Sto considerando la cosa con molta serietà, Sybil, se questo può farti piacere.
Sybil
tastò col piede il materassino di gomma che qualche volta il giovanotto
usava per appoggiare la testa. - Gli manca aria, - disse.
- Hai
ragione. Gli manca più aria di quanto io sia disposto ad ammettere -.
Tolse i due pugni di sotto il mento, che lasciò ricadere sulla sabbia. -
Sybil, - disse, - sei proprio in forma. È un piacere vederti. Perché
non mi parli un po’ di te? - Protese le mani davanti a sé e le strinse
attorno alle caviglie di Sybil. - Io sono del Capricorno, - disse. - E
tu cosa sei?
- Sharon Lipschutz dice che l’hai lasciata sedere sullo sgabello del piano vicino a te, - disse Sybil.
- Sharon Lipschutz ha detto questo?
Sybil annuì vigorosamente.
Il
giovanotto le lasciò andare le caviglie, ritirò le mani e appoggiò una
guancia sull’avambraccio destro. - Be’, - disse, - lo sai come vanno
queste cose, Sybil. Ero là seduto che stavo suonando. E tu chissà
dov’eri, in quel momento. E Sharon Lipschutz è venuta lì e a un certo
punto si è messa a sedere vicino a me. Non potevo mica spingerla via, ti
pare?
- Sì, che potevi.
- Oh no. No. Non potevo fare una cosa simile, - disse il giovanotto. - Ma sai cosa ho fatto, invece?
- Cosa?
- Ho fatto finta che fossi tu.
Immediatamente Sybil si chinò e cominciò a scavare nella sabbia.
- Andiamo nell’acqua, - disse.
- Va bene, - disse il giovanotto. - Si può sempre provare.
- Un’altra volta spingila via, - disse Sybil.
- Chi devo spingere via?
- Sharon Lipschutz.
-
Ah, Sharon Lipschutz, - disse il giovanotto. - Come torna spesso quel
nome. Mischiando il ricordo al desiderio -. Si alzò in piedi di colpo.
Guardò l’oceano. - Sybil, - disse, - sai cosa faremo adesso? Cercheremo
di acchiappare un pescebanana.
- Un cosa?
- Un pescebanana, -
disse il giovanotto, e sciolse la cintura dell’accappatoio. Si tolse
l’accappatoio. Aveva le spalle bianche e strette, e le mutandine
azzurre. Piegò l’accappatoio, prima nel senso della lunghezza, poi in
tre parti. Srotolò l’asciugamano che s’era messo sugli occhi, lo stese
sulla sabbia e vi depose sopra l’accappatoio ripiegato. Si chinò,
raccolse il materassino e se lo mise sotto il braccio destro. Poi, con
la sinistra, prese la mano di Sybil.
Insieme si avviarono verso il mare.
- Immagino che ne avrai visti parecchi, di pescibanana, ai tuoi bei tempi, - disse il giovanotto.
Sybil scosse il capo.
- No? Ma si può sapere dove vivi?
- Non lo so, - disse Sybil.
- Ma sì che lo sai. Devi saperlo per forza. Sharon Lipschutz sa benissimo dove abita e ha solo tre anni e mezzo.
Sybil
smise di camminare e strappò la mano da quella di lui. Raccolse una
comune conchiglia e la esaminò con elaborato interesse. La gettò via. -
Whirly Wood, Connecticut, - disse, e riprese a camminare con lo stomaco
bene in fuori.
- Whirly Wood, Connecticut, - disse il giovanotto. - Non è dalle parti di Whirly Wood, Connecticut, per caso?
Sybil
lo guardò. - È lì che abito, - disse spazientita.- Abito a Whirly
Wood, Connecticut -. Corse davanti a lui di qualche passo, si prese con
la sinistra il piede sinistro, e saltellò due o tre volte su una gamba
sola.
- Tutto è chiaro, finalmente, - disse il giovanotto.
Sybil lasciò andare il piede. - Hai letto Il piccolo Sambo? - disse.
- È strano che tu me lo chieda, - disse lui. - Vedi caso, ho finito di
leggerlo proprio ieri sera -. Allungò il braccio e riprese la mano di
Sybil. - Come t’è sembrato? - le chiese.
- Come correvano intorno a quell’albero, le tigri.
- Non si fermavano più. Mai viste tante tigri in vita mia.
- Ce n’erano solo sei, - disse Sybil.
- Solo sei? - disse il giovanotto. - E lo chiami solo?
- Ti piace la cera? - chiese Sybil.
- Mi piace cosa? - chiese il giovanotto.
- La cera.
- Moltissimo. E a te?
Sybil annuì. - Ti piacciono le olive? - chiese.
- Le olive… sì. Olive e cera. Non faccio un passo senza portarmene dietro una provvista.
- Ti piace Sharon Lipschutz? - chiese Sybil.
-
Sì. Sì, mi piace, - disse il giovanotto. - Quel che soprattutto mi
piace di lei è che non fa mai delle brutte cose ai cagnolini nell’atrio
dell’albergo. Quel piccolo bulldog di quella signora canadese, per
esempio. Tu probabilmente non ci crederai, ma ho visto coi miei occhi
certe bambine tormentarlo con un bastoncino. Queste cose Sharon non le
fa. Non è mai cattiva o dispettosa, lei. È per questo che mi piace
tanto.
Sybil taceva.
- Mi piace masticare le candele, - disse finalmente.
-
Lo credo bene, - disse il giovanotto, mettendo i piedi nell’acqua. -
Ahi! È fredda -. Lasciò cadere il materassino. - No, aspetta un
momento, Sybil. Aspetta che arriviamo un po’ più in là.
Si spinsero
avanti finché l’acqua giunse alla vita di Sybil. Allora il giovanotto la
sollevò e la fece sdraiare sul materassino, a pancia in giù.
- Resti con i capelli così, senza cuffia, senza niente? - le chiese il giovanotto.
- Non lasciarmi andare, - ordinò Sybil. - Tienimi forte, adesso.
-
Signorina Carpenter. La prego. Conosco i miei doveri, disse il
giovanotto. - Tu devi solo tenere gli occhi bene aperti per il caso che
passi qualche pescebanana. Questo è un giorno ideale per i pescibanana.
- Non ne vedo neanche uno.
- È comprensibile. Hanno delle abitudini molto singolari. Molto, ma molto singolari.
Continuò
ad avanzare spingendo il materassino. L’acqua non gli arrivava al
petto. – È una vita molto tragica, la loro, poveretti, - disse. - Lo
sai cosa fanno, Sybil?
Sybil scosse il capo.
- Vedi, nuotano
dentro una grotta dove c’è un mucchio di banane. Sembrano dei pesci
qualunque, quando vanno dentro. Ma una volta che sono entrati, si
comportano come dei maialini. Ti dico, so da fonte sicura di certi
pescibanana che, dopo essersi infilati in una grotta bananifera, sono
arrivati a mangiare la bellezza di settantotto banane -. Avvicinò di
mezzo metro all’orizzonte il materassino e la sua passeggera. -
Naturalmente, dopo una scorpacciata simile sono così grassi che non
possono più venir fuori dalla grotta. Non passano dalla porta.
- Non troppo lontano, - disse Sybil. - E poi, cosa fanno?
- Cosa fanno chi?
- I pescibanana.
- Oh, vuoi dire dopo che hanno mangiato tante banane che non possono più uscire dalla grotta bananifera?
- Sì, - disse Sybil.
- Ecco, mi rincresce molto di dovertelo dire, Sybil. Muoiono.
- Perché? - chiese Sybil.
- Ecco, gli viene la bananite. È una malattia terribile.
- C’è un’onda che sta arrivando, - disse Sybil nervosamente.
-
Faremo finta di non vederla. La snobberemo, - disse il giovanotto. -
Due snob -. Prese in mano le caviglie di Sybil e spinse in basso e in
avanti. Il materassino si rizzò sopra la cresta dell’onda. L’acqua
inondò i capelli biondi di Sybil, ma il suo strillo era pieno di gioia.
Con
la mano, quando il materassino fu di nuovo immobile, si tolse dagli
occhi un lungo ciuffo bagnato e piatto, e riferì: - Ne ho visto uno.
- Cos’hai visto, amor mio?
- Un pescebanana.
- Santo cielo, no! - disse il giovanotto. - Aveva delle banane in bocca?
- Sì, - disse Sybil. - Sei.
All’improvviso
il giovanotto tirò su uno dei piedi bagnati di Sybil, che sporgevano
oltre l’orlo del materassino, e ne baciò il collo.
- Ehi! - disse la padrona del piede, voltandosi.
- Ehi cosa? Adesso si torna. Ti basta così?
- No!
-
Mi rincresce, - disse il giovanotto, e spinse il materassino verso la
spiaggia finché Sybil poté scendere. Poi lo tirò fuori dall’acqua e lo
portò a riva.
- Ciao, - disse Sybil, e corse senza rimpianto in direzione dell’albergo.
Il
giovanotto si infilò l’accappatoio, accostò strettamente i risvolti e
si cacciò l’asciugamano in tasca. Raccolse il materassino bagnato, cui
ora aderiva un velo di sabbia, e se lo mise alla meglio sotto braccio.
Si avviò solo, a passi pesanti, sulla sabbia fine e rovente verso
l’albergo.
Al piano seminterrato dell’albergo, dove c’era l’ingresso
riservato dalla direzione ai bagnanti, una donna col naso coperto di
pomata allo zinco entrò nell’ascensore insieme al giovanotto.
- Vedo che mi sta guardando i piedi, - disse il giovanotto quando la cabina si mise in moto.
- Come ha detto, scusi? - disse la donna.
- Ho detto che vedo che lei mi sta guardando i piedi.
- Scusi, ma stavo guardando in terra, disse la donna, e si volse verso la porta della cabina.
-
Se le fa piacere guardarmi i piedi, si accomodi, - disse il giovanotto.
- Ma perdio, abbia almeno il coraggio di farlo senza sotterfugi.
- Scendo qui, prego, - disse in fretta la donna alla ragazza che manovrava l’ascensore.
Le porte si aprirono e la donna uscì senza voltarsi indietro.
-
Ho dei piedi normalissimi e perdio non capisco perché la gente me li
debba guardare con gli occhi fuori dalla testa, - disse il giovanotto. -
Al quinto, prego -. Tirò fuori dalla tasca dell’accappatoio la chiave
della sua camera.
Scese al quinto piano, percorse il corridoio ed entrò al numero 507. La stanza odorava di valige nuove e di acetone.
Il
giovanotto guardò la ragazza addormentata su uno dei letti gemelli. Poi
si avvicinò a una valigia, l’aprì, e di sotto a una pila di mutande e
canottiere trasse una Ortgies automatica calibro 7,65. Fece scattare
fuori il caricatore, lo guardò, tornò a infilarlo nell’arma. Tolse la
sicura. Poi attraversò la stanza e sedette sul letto libero; guardò la
ragazza, prese la mira e si sparò un colpo nella tempia destra.