venerdì 21 dicembre 2012

Due grandi traduttrici e un capolavoro: Susanna Basso intervista Anna Nadotti

Avevo parlato della traduzione di La signora Dalloway a cura di Anna Nadotti qui e qui.

Qualche tempo fa è uscita sulla rivista Tradurre un'intervista della grande traduttrice Susanna Basso alla grande traduttrice Anna Nadotti. Ne riporto un brano, ma vi consiglio di leggerla tutta.


Di quale pagina, tratto, effetto stilistico o singole parole sei più orgogliosa?

Mi rendo conto che per rispondere in modo soddisfacente alla tua domanda avrei bisogno di molto tempo, di tutto il tempo, perché sfogliando il mio diario di traduzione ritrovo traccia di molti ragionamenti, ripensamenti e anche contraddizioni – forse inevitabili per chi traduce. Ci vedo luci e ombre. Ci vedo tutta l’ansia, e il sollievo e la gioia per le soluzioni trovate. Ci vedo infiniti puntini di sospensione… tu dai voce a me, io do voce a te… questo sembrano dirsi chi scrive e chi traduce. E sembra esserci un patteggiamento continuo.
Mi domando se il primo patteggiamento non sia in realtà tra la lettrice che c’è nella traduttrice, e l’autrice/autore. C’è in chi legge un’attesa più robusta, più sostenuta e gratuita che in chi traduce. Credo che solo se questa attesa è soddisfatta possa nascere una grande opera di traduzione. Ma vengo, almeno provo, alla domanda.
Ri-traducendo un capolavoro come Mrs Dalloway, ci si ritrova volenti o nolenti a fare i conti anche con le traduzioni preesistenti. Non solo in sé, ma per ciò che hanno determinato nel formarsi di un canone, di una tradizione. Mi sono interrogata molto su questo, è stata una delle cose più faticose.
Ti faccio un esempio che mi sta a cuore. A p. 38 (edizione Penguin Classic) Woolf scrive: Sally stopped; picked a flower; kissed her on the lips. Nella versione di Alessandra Scalero – l’unica esistente dal 1946 al 1993, quando uscì la traduzione di Nadia Fusini per Feltrinelli, e perciò la versione letta da varie generazioni di lettrici italiane – leggiamo: «Sally si fermò, spiccò un fiore, lo portò alle labbra e lo baciò».
E questo sarebbe stato the most exquisite moment dell’intera vita di Clarissa Dalloway?
Una svista? Un’autocensura? Una censura editoriale?
Le cose andarono diversamente:

Lei e Sally restarono un po’ indietro. Venne allora, passando accanto a un’urna piena di fiori, il momento più perfetto della sua vita. Sally si fermò, raccolse un fiore, la baciò sulle labbra. Fu come se il mondo si fosse capovolto! Gli altri scomparvero, e lei era lì sola con Sally. Ebbe la sensazione di aver ricevuto un regalo, ben incartato, con la raccomandazione di non aprirlo, di non guardarlo – un diamante, qualcosa di infinitamente prezioso,… (mia versione, p. 36).
Inutile dire che la traduzione di Nadia Fusini ha riportato sulla pagina il desiderio tra Sally e Clarissa, tuttavia la critica non ha mai messo a tema il fatto che per mezzo secolo Sally ha baciato un fiore, anziché l’amica Clarissa.
Restituire Sally e Clarissa a se stesse, vederne e ospitarne in traduzione i molteplici sguardi e desideri… non si è mai sole quando si traduce. Aggiungerei che è anche un «modo per cominciare a ragionare su una, radicalmente diversa, economia di condivisione». Sono parole di Nerina Milletti, in un saggio molto interessante, Poetiche e politiche lesbiche, sul formarsi di un canone letterario, che si può leggere in Poetiche politiche. Narrative, storie e studi delle donne, a cura di Cristina Bracchi (Il Poligrafo, Padova 2011).
Un altro termine su cui vorrei soffermarmi è crime: Next, there is no crime, dice fra sé Septimus, «il primo degli uomini chiamato a udire la verità, ad apprendere il significato» (p. 74, ma il termine ritorna alle pagine 99 e 105-108). Sia Scalero che Fusini traducono con «male», «il male non esiste»: una frase famosa, molto citata. Ma Septimus è appena tornato dalla guerra, dalla terra di nessuno dove gli amici esplodono al tuo fianco e i pezzi del loro corpo ti soffocano e ti annichiliscono. Septimus è l’uomo «recentemente portato dalla vita alla morte», perché è una morte giacere sulla panchina del parco «come un copriletto, una coperta di neve che il sole non scioglieva, per sempre integro, per sempre sofferente, il capro espiatorio, l’eterna vittima».
Non siamo nella sfera metafisica o religiosa del «male», a mio avviso. La guerra è il prodotto di scelte umane sbagliate, convulse, violente, è un «crimine» che si ripete. «Tutte le mie belle piazze scomparse» scriverà Woolf nel 1941, e sarà un’altra guerra, un altro crimine ad averle distrutte. Sembra di sentirlo, il dolore di chi in Dalloway scrive:

Non era bellezza pura e semplice – Bedford Place che porta a Russell Square. Erano la linearità e il vuoto naturalmente, la simmetria di un corridoio, ma erano anche finestre illuminate, un pianoforte, un grammofono che suonava; un senso di celato generare-piacere, che tuttavia di tanto in tanto emergeva quando, attraverso finestre prive di tende, finestre lasciate aperte, si vedevano gruppi di persone sedute a tavola, gente giovane che si aggirava con calma, conversazioni tra uomini e donne, cameriere che si affacciavano pigramente (insolito gesto il loro, a lavoro finito), calze messe ad asciugare su un cavalletto, un pappagallo, qualche pianta. Avvolgente, misteriosa, infinitamente ricca, la vita. E nell’ampia piazza dove i taxi transitavano e svoltavano così veloci, coppie di innamorati si attardavano, amoreggiando, abbracciandosi, rincantucciati sotto le chiome di un albero. Una cosa commovente, erano così silenziosi e assorti che gli si passava accanto con discrezione, timidamente, come se ci si trovasse dinanzi a un rituale sacro che sarebbe stato empio interrompere.
Di tale empietà – ripetutamente commessa – il termine «crimine» dà conto: «… noi non siamo salvi / noi non salviamo / se non con un coraggio obliquo / con un gesto /di minima luce», ancora Antonella Anedda.
Qualche passo di cui sono orgogliosa? Mah! già ho citato tante cose. Fin dalla prima pagina ho tentato di affidare la narrazione ai rumori – i rumori nella mia lingua. Le pagine della festa mi sembravano una grandiosa melodia novecentesca. Spero che si senta. E poi, per via del cinema e della poesia, ti segnalo questi due:
Si metteva un cappello, e correva attraverso campi di grano – dov’era stato? – fin su un colle, in qualche posto vicino al mare, perché c’erano navi, gabbiani, farfalle; si erano seduti su uno scoglio. A Londra anche, si erano seduti, e, nel dormiveglia, le giungevano attraverso la porta della stanza da letto gocciolio di pioggia, bisbigli, fruscii fra le spighe di grano, la carezza del mare, tale a lei sembrava, che tutti li accoglieva nella sua conchiglia tornita e mormorava a lei distesa sulla riva, sparsa si sentiva, come fiori gettati su una tomba (p.150).
In tempi immemorabili – quando il selciato era erba, era palude, al tempo delle zanne e dei mammut, al tempo di silenziose aurore – quella derelitta, quella donna – poiché indossava una sottana – con la mano destra tesa, la sinistra stretta al fianco, cantava l’amore – l’amore che è durato milioni di anni, cantava, l’amore che trionfa, e milioni di anni addietro, il suo amante, defunto ormai da secoli, aveva passeggiato, canticchiava, insieme a lei in maggio; ma nel corso delle ere, lunghe come giornate estive, e fiammeggianti, ricordava, solo di aster rossi, se n’era andato; la falce gigantesca della morte aveva spazzato quelle favolose colline, e quando infine anche lei avrebbe posato la testa incanutita e immensamente invecchiata sulla terra, divenuta ormai solo un cinereo nevaio, implorava gli dèi di posarle accanto un fascio d’erica purpurea, lì sull’elevato tumulo che gli ultimi raggi del sole accarezzavano; perché allora la gran parata dell’universo avrebbe avuto fine (p.194).

19 commenti:

  1. Che meraviglia la Woolf. L'ho studiata al liceo, poi l'ho lasciata un po' lì. Ho letto "La signora Dalloway", ma senza troppa partecipazione, come una corsa a vedere come sarebbe finito.
    L'anno scorso ho ripreso in mano "Gita al faro" e mi ha affascinato oltre misura.
    Credo che sia ora di tornare a farsi affascinare da Clarissa, soprattutto ora che questa traduzione la fa apparire più smagliante che mai.

    RispondiElimina
  2. Susanna basso organizzava un corso di traduzione un po'di anni fa a torino,nei miei momenti di indecisione mi sarebbe piaciuto farlo,poi chissa'dove sono finita.lei traduce mcewan di cui sono una grande fan!sto provando ora a leggerlo in originale ma a dire il vero,mi manca susanna!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Questo sì che è un bel complimento per una traduttrice!

      Elimina
  3. Straordinaria intervista che da conto di quanto si perda con una traduzione sbagliata. Gran lavoro quello dei traduttori di dar voce a capolavori che- per quanto riguarda la letteratura inglese- per me, per esempio, sarebbero muti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Eh, già, per mezzo secolo Sally ha baciato un fiore.

      Elimina
    2. Io spero l'abbia tradotto cosi' sotto pressione editoriale e non propria. Non che questo cambi il risultato...

      Elimina
  4. Stamane all'ora fatidica, mentre i pianeti si allineavano e i Maya sorridevano per la foto ricordo, ho postato un commento che è svanito come la profezia :-(
    Mi dispiace, perchè avevo appena finito la lettura dell'articolo integrale ed ero carica d'entusiasmo. Vabbe', cosa avevo detto? Sì, che mi era piaciuto moltissimo, naturalmente. L'intervista ad una traduttrice, fatta da un'altra traduttrice è il massimo. Le domande giuste e le risposte giuste insomma, che denotano da entrambe le parti un grande amore per il proprio lavoro e anche per la propria lingua, alla fine.
    Non vedo l'ora di rileggere La signora Dalloway nella nuova traduzione.

    Poco fa, nelle offerte Amazon per Kindle, ho visto Cosmopolis di Don DeLillo, S. Pareschi (scritto proprio così). Guarda guarda, mi son detta, mentre il dito cliccava già sull'acquisto. Dopo pochi secondi l'ebook era sul mio reader! Questa sì che è civiltà! Molto meglio della lampada di Aladino, l'unico problema è tenere a freno i desideri (e il dito). ;-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Maledetto blogger! Di solito vedo nei commenti qualcuno che dice "si è mangiato il mio commento" e invece era solo un dispetto dell'orrida piattaforma catorcia. Stavolta però il tuo commento se l'è mangiato per davvero :-(
      Hi hi, Rose, ma tu sei il sogno di ogni libraio!

      Elimina
    2. Naah! io cerco quasi sempre le occasioni, gli sconti, i libri usati. Adesso, con gli ebook, Amazon fa molte offerte. Anche gli altri siti, ma io sono legata a Kindle. Vabbe', non mi lamento, dai. :-)

      Elimina
  5. Io ho letto gita al faro, ma non l'ho amato tanto.
    Ammetto però che intorno a Virginia Woolf continuo a girarci e so che prima o poi la capirò.

    Per adesso però mando i miei auguri di buon natale!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non ho dubbi che ci arriverai, anche se fosse solo per capire definitivamente che non fa per te (ma ne dubito).
      Buon Natale anche a voi!

      Elimina
  6. Non credo di aver mai commentano nessuno dei tuoi post sulla traduzione e questo perche' mi mettono un po' di tristezza... Ho incontrato Nadia Nadotti un po' di anni fa all'Universita' degli Studi di Palermo. Lei teneva un seminario sulla traduzione, io ero una delle studentesse in prima fila che seguiva parola dopo parola le sue spiegazioni sulla traduzione, tra l'altro di "Sugar and other stories" della Byatt. Conservo ancora le pagine di quel seminario. tradussi a mia volta l'estratto che ci era stato proposto. In quel periodo traducevo tanto all'uni, mi stancavo, ma ero molto felice. Sono passati tanti anni. Chissa' quando e se avro' piu' il tempo per entusiasmarmi ancora davanti ad un testo e una pagina bianca da riempire con la sua traduzione.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mel, mi dispiace che ti mettano tristezza, ma non ho capito perché. Se non hai preso quella strada si vede che non era la tua, e poi ti assicuro che l'entusiasmo non c'è mica sempre, anzi...

      Elimina
    2. Silvia, non ho lasciato quella strada, diciamo solo che per adesso e' messa in attesa...come tante altre cose nella mia vita d'altronde. Nel mio cammino universitario ho scoperto in me tante passioni che non sapevo mi appartenessero , una di queste e' quella per la traduzione alla quale si e' affiancata prepotente quella per gli studi di linguistica (ma non solo). Per il momento tutto cio' dovra' aspettare perche' tra tutti gli amori, quello mio piu' grande, mia figlia, ha preso il sopravvento ed e' quello che mi impegna 24/24 x 7/7. Presto (almeno lo spero) avro' di nuovo tempo e spensieratezza per poter approfondire ulteriormente i miei studi e assecondare le mie passioni ;)

      Elimina
  7. Grande intervista! Ho molto da imparare....

    RispondiElimina
  8. Carissima Silvia, i complimenti per il tuo blog te li ho già fatti varie volte via mail, e li rinnovo, ma qui devo rivolgere a te e a chi commenta un grazie particolare. Una specie di grazie-e-buon anno. Perché mi riempie di gioia che la conversazione con Susanna Basso sulla mia traduzione di Mrs Dalloway susciti curiosità, entusiasmo, commenti, e ricordi, come quello di Mel, che conserva le pagine di un quasi antico seminario palermitano. Ricordo anch'io quell'aula magna affollatissima e tutte quelle facce intente... Voglio comunicarvi la sensazione, autorizzata dall'età, che leggere e rileggere, e magari anche tradurre, siano piaceri intensissimi - piacere mentale e fisico, direi - perché condivisi e durevoli e perché evocano ricordi - altro intenso piacere, la memoria condivisa. Sono più che mai convinta che non si sia mai sol* quando si traduce, perché oltre alla scrittrice o scrittore di cui traduciamo le parole aleggiano accanto a chi traduce tutte le potenziali lettrici e lettori. E tu e chi segue il tuo blog lo confemate nel più intelligente dei modi. "Ma noi, quando intendiamo una cosa, e null'altro, l'altro già lo avvertiamo, e sensibilmente". (R.M. Rilke, terza elegia duinese) Anna N.

    RispondiElimina